L’operazione è stata guidata dalla holding che fa capo alla famiglia Pao di Hong Kong. Il marketplace punta all’Estremo Oriente: oggi l’80% del fatturato viene dagli USA.
Aumento di capitale da 4 milioni di euro per Artemest, marketplace italiano attivo nel settore arte e design. Alla testa dell’operazione, il fondo Nuo Capital, legato alla famiglia Pao – Chen di Hong Kong, assieme a Italian Angels for Growth (che aveva già investito in un precedente round) e alla holding svizzera Bagheera.
Scontrino medio da 1600 euro, Artemest ha recentemente vinto il premio Innovator of the year. L’ingresso della holding cinese segna un punto di svolta per la società, proiettandola nel ricco mercato orientale.
Nuo Capital, del resto, è una garanzia. La società guidata da Tommaso Paoli (ex Intesa San Paolo) ha recentemente deciso di puntare 300 milioni su aziende italiane con una strategia di medio-lungo periodo. “Siamo una holding, non un fondo di private equity – aveva dichiarato l’a.d. – e puntiamo a restare oltre dieci anni nelle società in cui investiamo”. Scegliendo accuratamente le realtà su cui scommettere.
“Abbiamo l’ambizione – continuava Paoli nel 2016 – di sviluppare le eccellenze italiane in Asia, creare un ponte grazie alle forti relazioni della famiglia Pao in quelle aree”. Non solo nel design; Nuo Capital, ad esempio, aveva investito già nel 2017 in Terra Moretti, una delle realtà di riferimento del settore vitivinicolo italiano.
Abbiamo intervistato Marco Credendino, uno dei fondatori di Artemest, sulle prospettive del marketplace italiano.
Credendino, un aumento di capitale di 4 milioni, con l’ingresso di Nuo Capital. Si tratta di una holding specializzata nell’esportazione di eccellenze italiane. Puntate con decisione al mercato orientale.
Facciamo un passo indietro. Noi abbiamo sede a Milano, ma lavoriamo poco con l’Europa. L’80% del nostro fatturato viene dal mercato statunitense; il nostro sito, che è in inglese, copre naturalmente anche gli altri mercati anglofoni come Canada, UK, Nuova Zelanda, Australia. Detto ciò, l’ingresso di Nuo Capital ci apre ovviamente le porte di un altro mondo.
Quelle dell’Orinte.
Per noi è di grande interesse il fatto che quelle dell’Estremo Oriente siano le regioni più avanzate in termini di internet penetration ed ecommerce penetration. Oltre a questo e alla dimensione del mercato, la vendita in rete funziona meglio perché lì il lusso si compra molto di più online: agli asiatici manca la proximity, non hanno showroom, negozi fisici, quindi non è davvero possibile fare a meno del web.
In che modo intendete entrare nel mercato cinese?
Nuo Capital ha un ruolo fondamentale a Hong Kong. La famiglia Pao è alla testa di diverse holding attive nel retail, nel real estate e in svariati settori di business. I Pao sono una delle prime dieci famiglie d’Asia e questo ci consente di entrare in contatto con potenziali clienti non solo online ma anche offline.
Anche offline?
L’idea sarebbe quella di entrare nel mercato offline da soli, puntando sulla vendita diretta e senza aprire store fisici; pensiamo, invece, di affrontare l’ecommerce assieme a un partner.
Per l’offline parliamo di B2B, quindi.
Si, particolarmente nel settore dell’hospitality. Puntiamo su architetti e designer. Oggi il B2B è solo una piccola parte del fatturato, una componente che cercheremo di ampliare.
E per quanto riguarda il B2C?
Per il B2C è fondamentale lavorare assieme a un altro player con un ruolo consolidato nel panorama ecommerce locale. Per fortuna abbiamo visto i fallimenti dei competitor che hanno provato ad entrare in Estremo Oriente in maniera indipendente e non ce l’hanno fatta, anche investendo decine di milioni, e abbiamo imparato la lezione.
Avete già individuato il partner?
Siamo al lavoro. Abbiamo un paio di società con cui stiamo costruendo degli accordi, ma non possiamo rivelare i nomi.
Ci saranno delle tempistiche.
Si, partiamo fra poco, a novembre.
Mi conferma la scelta di non aprire un sito in cinese?
Confermo, non lo apriremo.
Domanda secca: in cosa vi differenziate da un marketplace come Architonic?
Loro vendono brand che godono già di una distribuzione offline, prodotti che si possono trovare in negozi fisici, showroom e fiere. Noi ci rivolgiamo a produttori sconosciuti, artigiani, piccole realtà che talvolta lavorano su commissione di quei brand ma, in realtà, sono grandi artisti totalmente indipendenti. Andiamo da loro e gli offriamo la possibilità di vendere i propri prodotti su scala globale; ma anziché aggiungere banalmente solo un canale distributivo, li supportiamo a 360 gradi creando contenuti, gestendo customer care e logistica e tutta una serie di servizi essenziali che una piccola realtà con meno di dieci addetti non sarebbe in grado di sostenere. Insomma, Architonic vende prodotti conosciuti, noi puntiamo sulle eccellenze sconosciute.
Quanti siete in azienda?
Siamo 17 oggi, ma abbiamo intenzione di assumere altre dieci persone.
Che background avete?
Ippolita Rostagno, la mia socia, è un’imprenditrice di successo negli Usa, dove opera da più di 30 anni nel settore dei gioielli e del lusso. Io, invece, lavoravo in un fondo a New York, poi sono passato in Yoox. Avendo studiato il mercato del lusso, soprattutto i competitor di Yoox con posizionamento più alto, ho visto l’opportunità di lanciare un ecommerce nel settore. Ippolita conosceva già un network di produttori, così ci siamo messi assieme.
Quanto avete fatturato l’anno scorso?
1,6 milioni ed era il secondo anno, ma cresciamo a tre cifre.
Avete in programma un altro round di finanziamento?
Si, è previsto nel primo quarter del 2020.