Mascherine per agenti e detenuti, cucite con sapienza da altri detenuti: la sartoria sociale maschile del carcere di Milano-Opera si è messa al lavoro per aumentare la protezione di chi vive il carcere e chi vi presta servizio. Si chiama Borseggi, ed è una storia di artigianato nata più di 6 anni fa, già nota per l’etichetta “cose belle fatte in carcere”. Un nome che gioca sul filo dell’ironia ma che anche e soprattutto un riscatto sociale che nel lavoro e nelle competenze trova il suo motore quotidiano.
I detenuti sarti, che normalmente confezionano borse, abiti, cuscini e grembiuli hanno immediatamente riconvertito la produzione dando vita a centinaia di mascherine con tessuti di cotone pesante ed elastici, per gli oltre mille detenuti e con loro con loro anche centinaia di agenti, lavoratori attivi e indispensabili per garantire la sicurezza delle carceri che devono tutelare se stessi e le loro famiglie. Nonostante queste mascherine in stoffa non siano un dispositivo medico-sanitario sono utili come barriera per coprire le vie aeree, se si rispettano tutte le precauzioni dettate dagli esperti, e soprattutto rappresentano un oggetto simbolico, frutto di un gesto di solidarietà e di speranza.
Borseggi, progetto di Opera in Fiore per dare dignità con il lavoro
La sartoria Borseggi, che si racconta anche su Facebook e Instagram, è nata da un’idea della cooperativa sociale Opera in Fiore che dal 2004 promuove l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. “Sono giovani che scontando la loro pena mettono cuore e cervello nel lavoro, e hanno capito subito che il momento critico richiedeva la loro collaborazione. Si sono messi autonomamente all’opera, con il supporto prezioso degli agenti di Polizia Penitenziaria, veri e propri lavoratori di trincea che partecipano e collaborano con grande spirito di dedizione perché i sarti possano continuare a lavorare e gli arrivino i tessuti per continuare a confezionare mascherine” ci racconta Elisabetta Ponzone, socia della cooperativa e referente di Borseggi, progetto nato per aiutare i detenuti attraverso lavoro vero e retribuito a contratto, che occupa giovani tra i 26 e i 35 anni condannati a scontare lunghe pene. Essere occupati in una missione, prendendosi cura di un prodotto artigianale, aiuta anche a riflettere su se stessi, dà obiettivi e dignità alla loro esistenza. Bottega artigianale già attiva da tempo con ritmi di produzione organizzati, si mette alla prova nell’emergenza dimostrando di aver appreso un mestiere e di saperlo adattare con spirito di comunità.
Ci parla anche dell’enorme stress a cui sono già normalmente sottoposti gli operatori degli istituti penitenziari, che aumenta considerevolmente in queste settimane di isolamento. “I detenuti sono preoccupati per la loro salute, sono lontani dai loro affetti e non hanno contatti con le famiglie, e lo sono altrettanto gli agenti”. Per questo un gesto di cura come il confezionamento di una semplice mascherina può dare un segnale positivo anche tra celle e rigorosa quotidianità.