Più di dieci anni fa Francesco Ficarelli ha avuto un’idea. Che è poi diventata il suo lavoro
Su StartupItalia ci piace raccontare le storie di chi ha un’idea, magari germogliata durante una pizza con gli amici, e fa di tutto per farla diventare realtà. Capita, ad esempio, con le software house indie, che nel nostro paese animano un’ecosistema in continua crescita (se non ci credete date un occhio a questo). Il settore, è vero, vale più di cinema e musica messi insieme, ma in Italia molti trend (con soldi e investimenti connessi) arrivano anni e anni dopo. Tocca dunque rimboccarsi le maniche e, a nostro avviso, è proprio quello che hanno fatto i ragazzi di HeartBit Interactive, startup indie composta da quattro persone, che dieci anni fa ha lanciato il primo capitolo della saga Doom & Destiny su Xbox 360. Da pochi giorni il terzo capitolo – Doom & Destiny Worlds – è disponibile su Nintendo Switch. Per l’occasione ci siamo presi il lusso di una lunga chiacchierata con Francesco Ficarelli, 35 anni e cofondatore di HeartBit Interactive insieme Matteo Nicolotti, per recensire il titolo e condividere con i nostri lettori uno spaccato illuminante del gaming italiano.
Doom & Destiny: le origini
Le cose capitano per caso e, a volte, succede che funzionino. La storia di questa minuscola software house prende il via a Pontenure, alle porte di Piacenza, dove dieci anni fa i due cofondatori hanno deciso di crederci sul serio. «Prima di incontrare Matteo avevo già realizzato una demo – ci ha raccontato Francesco -. Tutto era cominciato a 22 anni circa: stavo giocando e mi stavo lamentando di alcune meccaniche. Con me c’era un amico che disse :”Fatti un videogioco tuo allora”. E così ho fatto: mi sono messo a smanettare su RPG maker. Scrissi una piccola avventura, la stessa che stavo giocando a D&D. All’epoca ero il dungeon master e mi divertivo con quattro amici. Dopo un pò di tempo portai a loro la demo per fargliela provare. La immediata reazione fu: “Ehi, ma noi non siamo nel videogioco”. Così, invece di proporre un’avventura fantasy, ho pensato di buttarci dentro proprio i miei quattro amici».
Chi ha già giocato a uno dei capitoli della saga li conosce bene: sono Nigel, Mike, Johnny e Francis e viaggiano sempre in compagnia. La saga è un RPG vecchio stile, con una storia di fondo divertente e autoironica, piena di battute e citazioni colte riprese dall’universo videoludico e non solo. Tra amici, si sa, ci si prende anche a male parole e infatti Doom & Destiny sa far sorridere con le stesse prese in giro che rimbombavano nelle conversazioni da ragazzi. Stupido di qua, scemo di là. Ma torniamo alle origini: Francesco, appassionato di gaming, non aveva nessuna competenza sul coding quando ha sviluppato concretamente la sua idea. Eppure qualcosa è riuscito a costruire.
Leggi anche: Da Piacenza a Nintendo: Doom & Destiny Advanced, l’avventura di 4 nerd
Partire da zero
«Ho usato RPG maker: non c’era bisogno di programmare. Bastava seguire la logica di costruzione. La svolta è arrivata a furia di far testare il prototipo – ha commentato – soprattutto su forum e vari siti». E poi, provvidenziale, l’incontro con Matteo, compagno di classe di uno dei protagonisti del videogioco che, guarda caso, all’epoca era appena tornato dall’India dove aveva lavorato nel settore. «Gli ho proposto la demo e mi ha scritto subito: possiamo portarlo su Xbox 360». Da allora sono passati dieci anni, festeggiati poche settimane fa, costellati da sei titoli pubblicati dalla software house piacentina.
Doom & Destiny Worlds: il gameplay
Doom & Destiny, Doom & Destiny Advanced e Doom & Destiny Worlds sono i tre capitoli della saga italiana che, a detta degli stessi creatori, possono essere giocati in qualsiasi ordine. «Sono disconnessi – ha rassicurato Francesco -. L’unico elemento in comune sono i protagonisti, sempre gli stessi. Ma non hanno memoria delle avventure precedenti. Nel corso degli anni abbiamo raggiunto i tre milioni di download in tutto il mondo».
A differenza dei primi due Doom & Destiny, quest’ultimo svela un perfezionamento nel lavoro del team, sia dal punto di vista della storia sia sotto l’aspetto tecnico. Invece di procedere su una trama lineare, il terzo capitolo è una sorta di mini open world dove viene lasciata ampia libertà al giocatore di raccogliere oggetti e risorse, craftando a più non posso. Disponibile in italiano è stato definito da uno dei suoi ideatori come un «Minecraft RPG». Grafica retro, combattimenti a turni, insomma quel che basta per ore e ore di spasso in console. Tutto parte senza alcuna logica: ci risvegliamo su un isola deserta, completamente nudi e occorre darsi da fare. Scopriamo di trovarci in una sorta di arcipelago, con tante isole da esplorare, piene di belle cose e mostri pronti a farci le penne.
Divertimento da Switch
«Mentre i precedenti erano RPG classici, con una storia lineare da seguire, in questo episodio abbiamo un mondo aperto – ci dice Francesco -. E poi siamo molto soddisfatti del multiplayer locale: è un traguardo aver resto l’avventura possibile fino a quattro giocatori». Tanto che l’atterraggio recente su Switch dovrebbe trovare terreno fertile per tutti i possessori di console ibride con pad da smezzare per buttarsi in questa follia nerd. Prima di congedarci dalla software house ci siamo voluti soffermare su un aspetto centrale per chi sogna di lavorare nel mondo dei videogiochi. L’Italia è un paese per sviluppatori?
Pensare in grande. Da subito
«Fare videogiochi, a prescindere dal paese, è complicato. Il mercato si sta saturando – è l’analisi spietata – D’altra parte da noi si è sempre più attenti a titoli tripla A che alle produzioni indie. In più c’è la barriera linguistica: un bel prodotto recensito dalla stampa italiana fatica a farsi notare all’estero. Ecco perché chi ha uno progetto videoludico deve pensarlo subito per il mercato internazionale». In percentuali questa software house ha un 15% di attività in Italia, mentre oltre il 50% del fatturato arriva dagli USA e il restante da paesi europei come la Germania. Che dire infine del tasto più dolente? Si parla ovviamente di soldi: quanto è difficile ottenere finanziamenti? «Seguire i bandi è un mestiere. Di recente ci sono state iniziative importanti a fondo perduto. Una volta aperte le domande, però, le risorse si sono prosciugate in un soffio. Budget esaurito: l’offerta, purtroppo, non copre ancora la domanda».