L’UE ha bloccato la controversa direttiva sul copyright con un voto in seduta plenaria
Il Parlamento europeo ha bloccato la controversa direttiva sul copyright con un voto in seduta plenaria. Con 318 pareri contrari, 278 a favore e 31 astensioni il testo tornerà in aula a settembre, quando saranno discussi eventuali emendamenti.
La storia
Partiamo da una, necessaria, nota giuridica.
Le “leggi”, in Europa, si chiamano “regolamenti”, e sono vincolanti: le direttive stabiliscono, invece, solo gli obiettivi che devono essere perseguiti dagli Stati membri in maniera autonoma, nel rispetto delle linee guida di Bruxelles. I singoli stati membri adottano, cioè, leggi nazionali, che risultano, di conseguenza, armonizzate.
La proposta di direttiva era stata approvata il 20 giugno dalla Commissione giuridica del Parlamento (JURI). Il voto del 5 luglio in Aula avrebbe potuto aprire la strada a una nuova fase nei rapporti tra editori e big players delle Rete, in particolare Youtube e Facebook.
Proposta divisiva
La direttiva, pensata per tutelare la proprietà intellettuale, gli editori e gli artisti, ha generato invece divisioni, anche inaspettate.
Da una parte, si opponevano Youtube (cioè Google) e Facebook assieme alla créme degli intellettuali, tra cui l’ “inventore” del web Tim Berners Lee e Wikipedia – che ha oscurato temporaneamente il sito.
Dall’altra editori e artisti, compresi nomi del calibro di Paul McCartney, reclamavano contro gli scarsi profitti derivati dalle nuove modalità di fruizione musicale – soprattutto video – a fronte di guadagni astronomici per chi, questi contenuti li ospita sui propri server, e monetizza vendendo pubblicità.
I due articoli della discordia
Gli articoli contestati erano due. Il numero 11 – definito con semplificazione giornalistica “link tax” – prevedeva che un editore potesse chiedere un compenso a un motore di ricerca o aggregatore che pubblicasse anche solo l’anteprima dei suoi contenuti. Il rischio paventato da chi si opponeva era che i big players avrebbero evitato i contenuti a pagamento – quasi sempre di qualità – dando spazio, invece, solo al materiale scadente, meno costoso da produrre e che, proprio per questo, poteva essere gratuito.
Qualcosa del genere era accaduto in Spagna, dove un muro contro muro in tribunale aveva portato all’oscuramento temporaneo di Google News, almeno fino a quando la pace era tornata. Allora si comprese – ma era l’uovo di Colombo – che il servizio offerto dai motori di ricerca consente maggiori introiti anche alle testate, aumentando la visibilità di contenuti che, altrimenti, resterebbero nascosti nel mare magnum del web.
L’articolo 13 trasferiva, invece, la responsabilità del controllo sulle violazioni del copyright dall’utente che postava il contenuto (come accade ora) al servizio che lo ospitava. Oggi Google, Youtube e Facebook sono tenuti a rimuovere il materiale contestato quando, su segnalazione del proprietario dei diritti d’autore, riscontrano una violazione. Se il testo fosse passato in Aula, avrebbero, invece, dovuto agire preventivamente: un controllo troppo costoso da effettuare impiegando dipendenti in carne e ossa e che – questo il timore – sarebbe stato lasciato ad algoritmi. Che in più di una occasione hanno dimostrato un’affidabilità discutibile, soprattutto se impostati su criteri restrittivi volti ad evitare sanzioni.
Ma si trattava solo di ipotesi: e a quel punto, rinnovare la disciplina appena approvata in tutti gli stati sarebbe diventato estremamente complesso. Per farla breve: un’occasione persa per la fretta, dopo quasi 20 anni di nulla.
Cosa accade ora
L’intento di aggiornare la disciplina comunitaria (che risale ai primi anni Duemila, quando il web non era quello che conosciamo) era lodevole. Le modalità, senz’altro, meno.
Il dibattito non ha coinvolto l’opinione pubblica, intesa come summa di fruitori, big players, editori, nonostante il tema della retribuzione del lavoro intellettuale – in primis giornalistico – sia essenziale per la democrazia. Quarto potere oltre ai tre individuati da Montesquieu, “cane da guardia” della democrazia, la stampa si è progressivamente appiattita sotto i colpi del web, che ha reso disponibili a tutti, e gratis, le notizie, che prima si pagavano.
Sfaccettare la questione, integrandola con una riflessione più generale sui monopoli delle supercompany americane sembra la strada migliore per garantire un impianto aggiornato e in grado di durare per – almeno – una decina d’anni. Non molto, ma di più non pare possibile chiedere, considerato il progresso e i ritmi serrati che tecnologia e modalità di consumo hanno mostrato.
La direttiva tornerà in aula a settembre, quando le forze politiche discuteranno gli emendamenti al testo proposto. C’è da augurarsi che, a differenza di quanto accaduto questa volta, si crei un dibattito non solo a ridosso della votazione; un dibattito che avrebbe anche il non trascurabile merito di mostrare, per una volta, che l’Unione Europea non è solo un carrozzone ma anche una realtà tangibile in grado di agire sulle nostre vite. Migliorandole.