L’astrofisica Patrizia Caraveo ci racconta la straordinaria vita della biologa molecolare americana e della sua instancabile lotta contro la discriminazione di genere attraverso le pagine del libro The Exceptions: Nancy Hopkins, MIT and the Fight for Women in Science, scritto dalla giornalista Kate Zernike
Cosa ci fa un banale metro a nastro, quello che sui cataloghi di ferramenta trovate descritto come flessometro, nel museo del prestigioso MIT? La chiave per risolvere l’enigma è nel pezzetto di nastro adesivo che riporta un nome. Si tratta di Nancy Hopkins, la protagonista della nostra storia, che, probabilmente, volendo evitare che il metro, prestato a qualche collega, cambiasse inavvertitamente proprietario, l’aveva etichettato. La ragione che ha portato il nastro al museo risale a 30 anni fa ed è raccontata nel libro The Exceptions: Nancy Hopkins, MIT and the Fight for Women in Science, scritto dalla giornalista Kate Zernike.
Il libro inizia con Nancy studente, talmente entusiasta che non si accorge della discriminazione di genere nell’educazione americana, anzi è convinta che la parità uomo donna sancita dalla costituzione sia una realtà. Lei sogna il premio Nobel, fa il dottorato con James Watson (uno degli scopritore della struttura a doppia elica del DNA) e decide di andare allo MIT nonostante i consigli contrari di Barbara McClintock, una genetista Premio Nobel, che le aveva detto di evitare le università perché era molto probabile che avrebbe subito discriminazione. Quando arriva al Cancer Center dello MIT nel 1973 è la seconda donna tra i professori del dipartimento di biologia, ma la cosa non la preoccupa. Nancy Hopkins è una biologa molecolare nota ed apprezzata, ma inizia a capire che per fare carriera nell’Università il merito non è tutto. Nelle sue note racconta di come sia stata sorpassata da colleghi maschi con meno titoli di lei, come non le sia stato confermato l’insegnamento di un corso di biologia che aveva contribuito a progettare, di come abbia ricevuto insistenti attenzioni non richieste. Ma lei non molla. Dopo 20 anni di onorato servizio allo MIT, ha deciso che vuole studiare la genetica dei pesci zebra e ha bisogno di un laboratorio un po’ più grande. Chiede giusto una ventina di metri quadrati in più per le taniche dei pesci, ma le sue richieste vengono cassate. Ricevuto l’ennesimo rifiuto una sera del 1993 Nancy, esasperata, prende il metro (che in effetti è in pollici e non in cm) e inizia a misurare le dimensioni dei laboratori e degli uffici della palazzina dove lavora e i risultati sono chiarissimi: i ricercatori maschi hanno decisamente più spazio delle signore. Nancy è una scienziata e fa un po’ di statistica. I colleghi giovani, che sono all’inizio della carriera, hanno circa 185 m2, i full professor ne hanno tra 270 e 560, lei si doveva accontentare di 140.
Non sta zitta, fa causa comune con altre 15 professoresse che afferivano alla School of Science dello MIT e insieme vanno dal preside di scienze che le incoraggia a proseguire perché si è convinto che la discriminazione esiste davvero. Lui può vedere i dati sugli stipendi (informazione riservatissima) e si rende conto che tutte le professoresse sono pagate meno dei professori. Il lavoro sfocerà in un rapporto pubblicato nel 1999 che mette in luce decenni di marginalizzazione delle donne e che porterà all’ammissione da parte dello MIT della effettiva esistenza della discriminazione di genere che si rifletteva in stipendi inferiori uniti a meno disponibilità di fondi e di spazio.
Non è una cosa di poco conto da parte di un’istituzione rispettatissima che ha accolto le prime donne nel 1873, grossomodo un secolo prima dell’università di Harvard, letteralmente dall’altra parte della strada. Hopkins, suo malgrado, diventa famosa e viene intervistata da tutte le testate ed i media del mondo. L’autrice del libro è proprio la giornalista che la intervistò per il Boston Globe e che ora, a un quarto di secolo di distanza, mette la storia del nastro nel contesto della legge del 1972 che proibisce la discriminazione in base al sesso nelle istituzioni che ricevono fondi federali. Mentre è vero che la famosa misurazione è avvenuta 30 anni fa, vale la pena di leggere il libro perché la storia che racconta è ancora tristemente attuale.
A gennaio la Scripps Institution of Oceanography di San Diego ha pubblicato un rapporto dove dice che le scienziate hanno circa la metà dello spazio dei colleghi uomini. Forse invece di usare un metro a nastro hanno usato un misuratore laser, ma la sostanza è la stessa. Non resta che augurarsi che, una volta messa a fuoco l’esistenza di un problema si agisca per trovare le soluzioni necessarie. Nancy Hopkins ha scritto che lo scorrere del tempo non risolve i problemi della parità di genere in modo automatico: bisogna continuare a monitorare le situazione e a tenere traccia dei dati. Appena si abbassa la guardia il cammino verso la parità si ferma, e c’è il pericolo di tornare indietro. E le scienziate sono stanche di essere delle eccezioni.