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Compie dieci anni Settenove, il primo progetto editoriale nato in Italia per prevenire le discriminazioni e la violenza di genere, attraverso tutti i generi letterari, e specialmente attraverso la narrativa per bambini e adolescenti: 83 i titoli sino ad ora pubblicati. Alla testa c’è Monica Martinelli: studi di Giurisprudenza e, in parallelo, studi artistici, nel 2013 Monica lascia il posto di lavoro in una casa editrice bolognese e insegue il progetto di una casa editrice sua e di  frontiera, che faccia dei libri per bambini e adulti i germogli di un mondo rinato in cui la violenza di genere non c’è più, sostituita dall’equità, dal rispetto, da nuovi equilibri, appunto, tra i generi. La sua casa editrice, che nasce a Cagli, in provincia di Pesaro Urbino, sceglie un nome simbolico, che è un manifesto, Settenove appunto. «Riprende un anno speciale, il 1979, anno in cui l’ONU adottò la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, individuando per la prima volta negli stereotipi di genere l’origine della violenza», racconta Monica Martinelli.

Monica, quanto è stato complicato dare vita a una casa editrice così visionaria, in anni in cui le questioni di genere, oggi caldissime, erano praticamente ignorate?

Come tutte le micro case editrici l’inizio si preannunciava difficile e tale è stato, ma alla fine è risultato più facile di quanto io mi fossi aspettata. Da subito abbiamo contato su uno zoccolo duro di lettori e lettrici che l’ha sostenuta. 

Subito, nel 2014, lei è stata tra le donne invitate dal Presidente della Repubblica al Quirinale per le celebrazioni dell’8 marzo. E nel 2015 Settenove si è aggiudicata il Premio Andersen, il riconoscimento più prestigioso ai migliori libri per ragazzi. 

L’abbiamo vinto con Io sono così, un libro per bambini nel quale un personaggio si descrive nominando le cose che ama fare. Giocare ai pirati, cucinare, fare a botte con il fratello, sentirsi dire che ha i capelli del colore del cielo senza stelle, correre in bicicletta… Si tratta di un maschio oppure di una femmina? Chi legge se lo chiede, ma non lo capisce e solo alla fine la sorpresa si svelerà: si tratta di un piccolo libro illustrato, semplice ma molto potente, che racconta un’infanzia fuori dagli schemi, esattamente come la vivono i bambini, e che fa comprendere quanto sono rigidi e forti gli stereotipi di genere che abbiamo interiorizzato.

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Vi proponete proprio di fare sì che le persone prendano consapevolezza degli stereotipi e degli squilibri di potere nei quali viviamo immersi con una certa tranquillità. Questo causa danni anche molto pesanti. 

Tutti siamo d’accordo nel ritenere che non bisogna picchiare le donne, eppure nelle famiglie sopravvivono forme di violenza non riconosciute come tali e, anzi, addirittura normalizzate e legittimate. Penso, per esempio, alla violenza economica, che anche sul piano sociale è sottovalutata in maniera incredibile.      

La caratteristica di Settenove è più la proposta che la denuncia. Lavorate per  incoraggiare un’educazione paritaria e promuovere modelli positivi di collaborazione e rispetto, coinvolgendo donne e uomini. L’ultima nascita in casa Settenove?

Abbiamo aggiunto una collana di libri dedicati alla storia, che ha la direzione scientifica della SIS, la Società Italiana delle Storiche, e che punta a intrecciare le vicende di donne e di uomini restituendo al passato la sua complessità, per porgere un racconto nuovo della storia: siamo tutti cresciuti su testi che mettevano in luce un personaggio femminile ogni mille maschili, condottieri, santi, papi, imperatori, come se gli uomini fossero stati i soli a realizzare la storia. Per esempio in Medioevo, altri sguardi, altri racconti (per bambini dai 10 anni in su. ndr), ricostruiamo la figura delle commercianti genovesi: potenti e protagoniste, maneggiavano abilmente il denaro, avevano la capacità giuridica di sottoscrivere contratti ed esercitavano la loro posizione di influenza sulla società.    

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Voi lavorate molto con gli insegnanti. Cosa vi chiedono?

A chiederci formazione sono quanti sentono di fare qualcosa di significativo per smontare gli stereotipi e prevenire la violenza, persone interessate, appassionate, ma che non hanno gli strumenti per interpretare questioni complesse come quelle di genere: noi cerchiamo di raggiungere il maggior numero di persone attraverso un linguaggio accessibile. Perché, secondo noi, solo in questo modo possiamo fare accadere il cambiamento sociale. Oggi c’è molta più consapevolezza. All’inizio della nostra avventura gli insegnanti che ci contattavano erano pochi. Ci chiamavano dicendo: non sappiamo come fare, ma sappiamo che è importante. Direi che in questi dieci anni abbiamo assistito a una rivoluzione copernicana: oggi facciano formazione a diversi gruppi di insegnanti, a librai, a sistemi bibliotecari. Capita che lavoriamo anche con le assistenti sociali, per scardinare eventuali visioni stereotipate delle relazioni famigliari, un processo che è cruciale nell’affrontare sul terreno le violenze che si scatenano dentro le case.

Dal vostro particolarissimo osservatorio, come avete visto cambiare il Paese? 

Il terreno si è smosso moltissimo, sono successi tanti cambiamenti, ma mi sembra tutto sia a un livello ancora abbastanza superficiale: credo che dobbiamo attendere che le trasformazioni siano assorbite a un livello più profondo perché diventino autentiche e spontanee. Non è detto, insomma, che anche le generazioni più giovani, quelle più aperte e che, per esempio, non si riconoscono nel binarismo di genere, abbiano scardinato autenticamente quelle dinamiche di potere che delle volte rischiano di sfociare nella violenza.