Secondo il professor Stefano Zamagni, autore del libro “Disuguali”, occorre adoperarsi con coraggio per trasformare dall’interno il modello economico che si è consolidato negli ultimi quarant’anni. Nel nostro longform domenicale ci spiega perché è sbagliato pensare che la politica dei sussidi e degli incentivi contribuisca a eliminare la sperequazione sociale
Nel 2021 in Italia, il 10% della popolazione più abbiente disponeva del 50% della ricchezza totale. Non siamo sicuramente i peggiori in termini di disuguaglianze, Russia e Stati Uniti fanno peggio anche perché il 28,6% del nostro Pil è indirizzato verso la spesa sociale. Per avere un’idea, la media europea è del 26,8%. Ogni anno ci concentriamo sull’aumento del Pil come se questo possa aiutare a ridurre le disuguaglianze ma la storia economica insegna che non è così. Le legge di Ocun del 1962 affermava se il Pil aumentava dell’1% anche l’occupazione sarebbe aumentata in proporzione dello 0,20%. Oggi sappiamo che non è più vero perché il mondo è cambiato, viviamo nell’epoca della globalizzazione e della rivoluzione digitale. Sono cambiate le regole del gioco ma la politica non si è adeguata ed oggi paghiamo lo scotto. Il professor Stefano Zamagni è professore di Economia politica presso l’Università di Bologna, apprezzato il tutto il mondo per aver promosso i principi di una “economia civile”. Nel suo ultimo libro “Disuguali” (ed. Aboca) affronta il tema delle disuguaglianze.
“Povertà e diseguaglianze non sono la stessa cosa, non riconoscerle vuol dire somministrare la medicina sbagliata al paziente”
Professore, spesso viene confusa la disuguaglianza con la povertà, perché è un problema?
Perché viene somministrata la medicina sbagliata al paziente come accade per il reddito di cittadinanza…
Ci aiuti a capire…
Secondo le Nazioni Unite si parla di povertà assoluta quando non si raggiungono i 2,2 dollari al giorno che è la cifra mediamente sufficiente per acquistare 1200 calorie necessarie per sopravvivere. Attenzione, calorie, non proteine, vitamine etc. La disuguaglianza invece misura la distanza sociale tra gruppi che vivono all’interno della medesima società. Prendiamo un’azienda, se ogni anno l’amministratore delegato guadagna sempre di più ed il dipendente sempre uguale, aumenta la disuguaglianza. Non è che il dipendente non possa comprare 1200 calorie, anzi, di solito sono persone che hanno anche proprietà.
Perché questa distinzione è importante?
Perché cambia la politica da applicare. Se ad un povero trasferisco del reddito, gli servirà a poco se non per tamponare situazioni contingenti. Alle persone povere servono capitali e non quelli finanziari. Servono capitale umano, educativo, relazionale, sociale. Se una persona è abbandonata a sé stessa, è inutile dargli un voucher. Chi afferma che il reddito di cittadinanza risolve il problema della povertà, dice una falsità. Al contrario, se devo combattere le disuguaglianze allora un aumento dello stipendio va a diminuire il divario. Quello che preoccupa della disuguaglianza è l’aumento sistemico ed endemico della distanza che separa le persone all’interno del medesimo gruppo.
“La politica dei sussidi è inefficace, è come trasportare acqua in un secchio bucato”
Però gli ultimi dati Istat fanno ben sperare. La disuguaglianza è scesa dal 30,4 al 29,6% ed il rischio povertà dal 18,6% al 16,8%, merito dei sussidi delle politiche sociali.
E’ come trasportare l’acqua in un secchio bucato, quando arrivi a destinazione l’acqua non ci sarà più perché le politiche redistributive intervengono a cose fatte, servono politiche predistributive per risolvere il problema
“Per ridurre le disuguaglianze bisogna agire con politiche predistributive non solo redistributive”
Dovremmo avere un secchio nuovo?
Le disuguaglianze di oggi sono diverse da quelle di ieri perché sono cambiate le regole del gioco economico finanziario. In passato il tuo stato sociale dipendeva da accadimenti naturali, ad esempio in che tipo di famiglia nascevi. Oggi puoi nascere in una famiglia “normale” e nel corso degli anni ti puoi trovare in situazione crescente di disuguaglianza. Prendiamo i paradisi fiscali, quarant’anni fa non esistevano. Oggi ho la possibilità di non far tassare gli extra profitti e questo impatta sulla povertà e disuguaglianze. Se vogliamo ridurre le disuguaglianze non bastano politiche redistributive, bisogna arrivare a politiche predistributive ovvero agire sulle regole del gioco ma il singolo Stato non ha il potere di cambiare niente.
In effetti la capitalizzazione di Apple è più alta del Pil dell’Italia.
Esatto. Se però il G20 decidesse di cambiare le regole allora vedrà che anche le grandi corporation si adeguerebbero, ma non c’è la volontà politica. Prendiamo il democratico Clinton che nel 1999 ha abolito la legge Glass-Steagall. Era una legge voluta da Roosevelt dopo la crisi del 1929 che vietava alle banche di utilizzare i risparmi dei clienti per trading speculativo. Ebbene, meno di dieci anni dopo l’abrogazione di questa legge, si è verificata la più grande crisi finanziaria mondiale. Perché questo avvenne? Perché le cinque più grandi corporation bancarie dissero a Clinton che se non avesse rimosso la legge ci sarebbero state grosse ripercussioni.
“Il Papa ha detto ‘se la politica non si libera dal gioco del potere economico finanziario, non si sarà futuro per la democrazia’. Impossibile non concordare”
Lei nel suo libro “Diseguali” cita Papa Francesco, sembra un grande economista…
Nell’enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco, nel capitolo cinque scrive “se la politica non si libera dal gioco del potere economico finanziario, non si sarà futuro per la democrazia”. E’ proprio questo il punto. Stiamo qui a discutere se ridurre di uno o due punti percentuali il cuneo fiscale, ma sono quisquiglie che servono per distogliere l’attenzione dei cittadini dalle grandi questioni. Bisognerebbe dire ai governi di cercare alleanze per affrontare insieme le questioni globali che hanno impatto sulle diseguaglianze, invece ci rinchiudiamo nei nazionalismi.
“Vogliamo una società meritocratica o meritoria? Le parole sono importanti”
Il ministero dell’istruzione ha puntato molto sulla parola “merito”, può essere un modo per ridurre le disuguaglianze?
Su questo c’è stato un gran polverone frutto dell’ignoranza. La parola merito lasciata così, è ambigua. Si parla di meritocrazia o meritorietà? Perché la meritocrazia è il male assoluto, vuol dire dare potere a chi ha merito ed è nemica della democrazia. Come diceva Aristotele, il potere non va dato al più bravo ma al popolo secondo regole democratiche. Io insegno all’Università, quando do 30 e lode ad uno studente, non gli conferisco anche il potere di giudicare i suoi compagni o decidere le linee d’insegnamento, semplicemente perché farebbe scelte legate a sé stesso ed al gruppo che rappresenta. La meritorierà invece è frutto di giustizia perché vuol dire dare a ciascuno la sua parte di merito. Se lavoriamo bene insieme, ed il premio è una torta, questa verrà divisa equamente tra chi ha contribuito al risultato. Se per merito intendo meritocrazia allora le disuguaglianze aumenteranno perché i “meritevoli” gestiranno le regole del gioco.
“La giustizia andrebbe riformata per influire sulle disuguaglianze. E’ il bene che sconfigge il male, non ho mai visto il male correggersi da solo”
La nostra società non sembra meritoria. Se mi comporto bene, pago le tasse, non prendo multe, non ho alcun beneficio. Al contrario se faccio un piccolo sgarro, vengo punito pesantemente. Un sistema sociale che premia i meritevoli potrebbe diminuire le disuguaglianze?
Certo. Aristotele diceva che la virtù è più contagiosa del vizio. Purtroppo, tutto il sistema di giustizia sociale è sbagliato
Cosa intende?
Lei conosce Giacinto Dragonetti?
Non mi dice niente….
E Cesare Beccaria?
Si certo, dei Delitti e delle Pene.
Ecco si è dato la risposta da solo.
Cioè?
Nel 1764 Beccaria scrisse “dei delitti e delle pene” con l’idea di punire quelli che sbagliano secondo criteri di gradualità. Due anni dopo, 1766, a Napoli, Giacinto Dragonetti, allievo di Antonio Genovesi il fondatore dell’economia civile pubblicava “delle virtù e dei premi”. Questo libro viene tradotto subito in tre lingue incluso l’inglese ed infatti troviamo Dragonetti citato nella dichiarazione d’indipendenza americana di dieci anni più tardi. La sua idea di giustizia è quella di dare premi ai comportamenti virtuosi, i buoni esempi vanno fatti conoscere, bisogna premiare i buoni. Poi ovvio che i pericolosi vanno puniti però prima bisogna sanzionare chi potendo, non fa del bene. Invito tutti a leggere Gilbert Chesterton che racconta la storia di un giudice inglese Basil Grant che venne cacciato dal sistema giudiziario. Lui anziché processare e sanzionare chi commetteva reati minori, sanzionava chi non faceva del bene. Chesterton scriveva “arriverà il giorno in cui la società capirà che abbiamo bisogno di giudici come Basil”. Abbiamo le carceri che hanno un costo esagerato, sono piene e non rieducano. E’ il bene che sconfigge il male, non ho mai visto il male correggersi da solo.
Cerchiamo dei lati positivi in tutta quest’analisi. Converrà con me che le innovazioni e le tecnologie sono strumenti che possono influire in positivo sulle disuguaglianze.
Ovviamente. Come una vanga può essere utile a dissodare il terreno e non per uccidere qualcuno
Noto del sarcasmo professore…
Fino ad oggi le nuove tecnologie, l’era digitale in generale, ha preso una piega contraria al lavoro. Non è la tecnologia in sé che fa la differenza, sono le regole del gioco come abbiamo detto prima. Abbiamo affidato la gestione del comparto tecnologico a GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) che controllano il 90% del mercato. Bezos ha appena licenziato diecimila persone di Amazon e subito dopo ha fatto una donazione di milioni di dollari. Non è ipocrisia? Non ha licenziato quelle persone perché non servivano, bensì per creare extra profitti per gli azionisti. Ancora una volta è colpa dei governi che lasciano spazio agli oligopoli che invece vanno spezzati.