La kermesse, che quest’anno vede la media-partnership di StartupItalia, compie dieci anni. Al centro l’innovazione. Lella Mazzoli, direttrice del Festival, racconta come cambia l’informazione culturale tra nuovi media, pubblici connessi, profondità e leggerezza.
Il futuro arriverà se impareremo a conoscerlo, una promessa di compimento delle idee migliori per riscrivere il destino e agganciare l’innovazione alla tradizione, la verticalità dei saperi all’orizzontalità della fruizione. Il giornalismo culturale è impegnato nella complessa transizione verso la modernità, per sedurre nuovi pubblici, allargare la community, innovare linguaggi, tra l’opulenza degli inserti cartacei e l’agilità traversale delle piattaforme digitali. Ne abbiamo parlato con Lella Mazzoli, professore emerito di Sociologia della Comunicazione dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e direttrice del Festival del Giornalismo Culturale giunto alla decima edizione, che si terrà a Urbino (7-8-9 ottobre) e del quale StartupItalia è media partner. “Dal Web alla Terza” è il titolo dell’edizione 2022: ricerche, testimonianze e case studies per approfondire la complessa relazione tra la rete e la Terza pagina – lo spazio storicamente dedicato dai quotidiani cartacei italiani alla cultura -, osservando (con piacere) la longevità della carta stampata, laterale ma ancora stabilmente rilegata al dorso del giornalismo online.
Professoressa Mazzoli, di cosa si parlerà in questa decima edizione del Festival?
Dopo tanti lavori e riflessioni, abbiamo ribaltato il titolo del Festival di dieci anni fa, che era dalla Terza pagina al web. Oggi ci interroghiamo sui cambiamenti della rete, nel momento in cui la tradizione si sta riproponendo, con decisione. Dieci anni fa la riflessione era giusta, dalla Terza pagina si procedeva spediti verso il web e la rivoluzione digitale era impetuosa anche per il giornalismo culturale; ma oggi nuovi giornali e riviste cartacee si stanno proponendo sul mercato, una novità che fa riflettere. Non si tratta di un ritondo al passato, il digitale rimane una risorsa straordinaria, una grande ricchezza per la diffusione dei contenuti, ma le modalità tradizionali di fruizioni dell’informazione culturale si stanno difendendo e riposizionando.
“Nuove riviste cartacee si stanno proponendo sul mercato. Il digitale rimane una grande ricchezza, ma le modalità tradizionali di fruizioni dell’informazione culturale si stanno difendendo”
Qual è la relazione tra la tradizione e l’innovazione, parlando di giornalismo culturale?
Una relazione complessa, ma potente. Se la comunicazione tradizionale, che include riviste cartacee, radio, televisione, non tiene conto dell’innovazione e dei nuovi linguaggi, muore. La mia formazione mi porta a valorizzare e fruire della comunicazione tradizionale della cultura, ma ritengo necessario un suo rinnovamento, che tenga conto dei nuovi strumenti disponibili. Oggi una rivista di carta si deve stampare diversamente rispetto a vent’anni fa, perché i contenuti circolano in modo radicalmente nuovo; il contenuto e il contenitore devono dar vita a un ecosistema di comunicazione, lo stesso contenuto deve essere declinato su diversi contenitori, integrando i linguaggi e gli strumenti novecenteschi con la moderna comunicazione digitale iperconnessa.
“Molti addetti ai lavori sono diffidenti, la partita si sta ancora giocando in difesa. Il problema riguarda anche gli editori, che dovrebbero analizzare i dati con più attenzione”
Cambiare gli strumenti, mantenendo intatte identità e qualità?
Sì, ma non un cambiamento gattopardesco; deve essere autentico, profondo, partecipato, anche nei contesti più resistenti. Al Festival abbiamo invitato Marino Sinibaldi direttore del nuovo periodico culturale cartaceo (Sotto il Vulcano, edizione Feltrinelli), per discutere con Vito Mancuso. Una conversazione tra due intellettuali che si sono formati nel solco della tradizione, eppure le loro riflessioni sono diverse rispetto a dieci anni fa, proprio perché è cambiato il mondo e loro ne hanno piena consapevolezza, sapendo trarne i vantaggi.
C’è ancora un po’ di snobismo da parte dei player tradizionali del giornalismo e dell’informazione culturale, verso l’innovazione?
Molti addetti ai lavori sono diffidenti, la partita si sta ancora giocando in difesa, sebbene in modo meno accanito rispetto a qualche tempo fa. Ci sono anche intellettuali che riconoscono e seguono con attenzione i cambiamenti. Ma il problema riguarda anche gli editori, che dovrebbero raccogliere e analizzare i dati e le ricerche che anche noi offriamo, con maggiore attenzione. Le metriche riguardano principalmente gli orientamenti per la lettura tradizionale, ma le parole della cultura viaggiano veloci in tanti altri modi, basti pensare ai podcast, prodotti editoriali con una struttura e un ciclo di vita molto differenti.
La modalità “broadcast” per la diffusione dei contenuti è arrivata al capolinea?
La logica broadcast non può più funzionare, ci rivolgiamo a un pubblico molto eterogeneo, oggi la comunicazione culturale deve essere destinata e adatta ai diversi pubblici. Le moderne piattaforme digitali consentono di raggiungere audience molto segmentate, definite, apparentemente irraggiungibili in modo così preciso con i canali tradizionali.
TikTok sta diventando una leva del settore culturale. Come interpreta questa sorpresa?
Quando è nato TikTok, un social che si caratterizzava principalmente per la sua lievità, se mi avessero detto che sarebbe diventato uno strumento di promozione culturale, non ci avrei creduto. Invece oggi su TikTok si parla di libri in modo approfondito, con linguaggi nuovi. Se sei abbastanza bravo nell’utilizzare gli strumenti che ti mette a disposizione la piattaforma, è frequente raggiungere milioni di visualizzazioni. Ma ancora una volta servono competenze, apertura, spontaneità, credibilità per cercare i nuovi pubblici, allargare la community. Se il mondo dell’informazione culturale non abbraccia queste trasformazioni, non sarà in grado di rispondere alle esigenze della contemporaneità. Per questo avremo anche i TikToker al Festival.
“Su TikTok si parla di libri con linguaggi nuovi raggiungendo milioni di visualizzazioni. Ma servono competenze, apertura, spontaneità, credibilità per allargare la community”
La preoccupano gli indicatori della povertà culturale di tanti italiani, che spesso trova libero sfogo sui social media?
Sui social c’è senza dubbio molta superficialità e troppa brevità di argomentazioni, ma grazie a questi strumenti moltissime persone hanno ricominciato a scrivere. Non si è mai comunicato e scritto così tanto come in questa epoca. Grazie al web vi sono infinite possibilità di approfondimento, anche il modo tradizionale di fare ricerca a livello accademico è cambiato, potendo attingere alla grande biblioteca del mondo. I social media e la rete sono la porta per accedere ad una ricchezza di informazioni di qualità, senza precedenti. È la conferma che l’innovazione può essere messa al servizio della tradizione. Bisogna accompagnare il lettore e il fruitore di contenuti. Le parole chiave sono conoscenza e competenza. Anche nel mondo social questo è possibile con una corretta formazione.
Quali sono i modelli sostenibili per l’industria della comunicazione?
Resiste ancora l’idea, sbagliatissima, che l’informazione debba essere sempre gratuita, un peccato originale che risale al 1995 con l’avvento della rete. Quel cambiamento rivoluzionario per accedere alle informazioni ha spinto gli editori a commettere questo grave errore, sottostimandone gli effetti. Sono convinta che l’unica strada percorribile sia quella di abituare, progressivamente, i lettori a pagare i contenuti di qualità, lasciando comunque la possibilità di informarsi sulla free press, nella quale lavorano ottimi giornalisti. Abbiamo visto che i paywall non hanno funzionato molto bene fino ad ora, credo ci vorrà molto tempo per cambiare l’attuale impostazione.
“Sono convinta che l’unica strada percorribile sia quella di abituare i lettori a pagare i contenuti di qualità”
Il fattore tempo chiama in causa le giovani generazioni. Il Festival sarà dedicato anche a loro?
I giovani, essendo i lettori del presente e del futuro, sono al centro del nostro interesse e analisi. Al Festival, infatti, parleremo di come informarsi in un ambiente digitale e dei nuovi modelli di business dell’informazione culturale; abbiamo invitato direttori di testate tradizionali, ma ci saranno anche i TikToker. Vogliamo fornire una fotografia dell’esistente tenendo conto di chi saranno i lettori di domani; ragioneremo sul futuro della lettura con Angelo Piero Cappello, direttore del Centro per il Libro e la Lettura, e presenteremo un progetto di ricerca su ragazzi dai 15 ai 20 anni.