“I soldi non servono a niente se distruggiamo l’ambiente sociale”. Monito di Stefano Bartolini, uno dei massimi esperti mondiali di economia della felicità, docente all’Università di Siena e già consulente per OCSE e Banca Mondiale. Così in piena crisi economica globale e con le pressioni inflazionistiche costanti, una soluzione potrebbe arrivare dalle comunità
All’aumentare del reddito non corrisponde un aumento della felicità. Lo ha dimostrato scientificamente Stefano Bartolini, docente di economia della Felicità all’Università di Siena. Classe 1959, questo accademico è impegnato da sempre a leggere la contemporaneità. E’ un costruttore di mondi migliori possibili. Il suo studio è basato sui fatti, numeri, analisi. È infatti professore associato presso il Dipartimento di Economia Politica e Statistica all’Università di Siena. Crede molto nel suo lavoro a tal punto che è stato istituito un corso specifico in Economia della Felicità. Sono anni che il professore cerca di rispondere ad una semplice ma vitale domanda “è possibile conciliare la prosperità economica con la sostenibilità dell’ambiente, delle relazioni, del tempo libero e della felicità?”. Il suo primo libro, pubblicato nel 2013, Manifesto della Felicità edito da Donzelli, ha riscosso un successo mondiale, tradotto in francese, spagnolo, albanese, inglese e perfino in giapponese. Non è un caso che abbia collaborato con l’OCSE e la Banca Mondiale e sia stato visiting professor anche all’Università di Waseda a Tokio. Con il suo ultimo libro, intitolato “Ecologia della felicità. Perché vivere meglio aiuta il Pianeta” edito da Aboca, il professore traccia una road map sul tipo di mondo che potremmo costruire. Un vero e proprio manifesto politico ricco di spunti per le future classi dirigenti, utile per affrontare il momento di crisi globale.
“Condividere rende felici e non inquina, possedere non rende felici ed inquina”
Professore, i soldi non fanno la felicità dice un vecchio proverbio ed in effetti i suoi studi lo dimostrano.
È vero. È dimostrato che aumentare il livello di reddito non si traduce con un aumento della felicità, anzi, spesso accade il contrario.
Però non possiamo nemmeno dire che i soldi non servono…
No certo, un livello minimo è necessario, tradotto in parole povere, arrivare a fine mese senza ansia
Ci sono dei valori monetari minimi?
No, perché è difficile calcolare uno standard, spesso tra regione e regione i prezzi sono diversi. Ma il punto è un altro.
Quale?
Il fatto che i soldi facciano la differenza dipende dalla qualità dell’ambiente sociale e naturale. Perché negli anni ’70 era sufficiente che lavorasse una persona sola in una famiglia? In quegli anni i soldi non erano importanti?
Direi di no, anzi, anche quello fu un periodo di alta inflazione.
Esatto. Oggi servono più soldi rispetto agli anni ’70 perché abbiamo distrutto l’ambiente sociale. Prendiamo una famiglia di quell’epoca rispetto ad oggi. Un bambino tornava da scuola, pranzava e poi andava a giocare nel quartiere tranquillamente, c’era una rete sociale di “sorveglianza”, di aiuto reciproco. Tutto questo non c’è più. Oggi i bambini sono soli, davanti ad uno schermo, non hanno più autonomia, hanno bisogno di supervisione e di essere tenuti impegnati il che vuol dire spendere più soldi. Inoltre, tenendoli davanti ad uno schermo sono esposti a messaggi pubblicitari che inducono nuove spese quindi dobbiamo lavorare sempre di più. È un circolo vizioso.
“La vita oggi costa di più rispetto al passato perché abbiamo distrutto l’ambiente sociale. Dobbiamo spendere di più per compensare le nostre insoddisfazioni”
Nel suo ultimo libro “ecologia della felicità” parla anche del tema della terza età.
Anche quello è un tema e torniamo sempre all’ambiente sociale. Prima c’era un tessuto sociale di quartiere, oggi l’anziano è sempre più solo e sappiamo tutti che la solitudine e l’infelicità generano malattie. Quindi servono badanti ed ancora costi che gravano sulle famiglie.
Proprio per dare più soldi alle famiglie, in campagna elettorale si parla molto di “flat tax”, abbassare le tasse per dare più soldi alle persone…
Sì, ma la flat tax favorisce i redditi alti e la storia economica insegna che non funziona. Il famoso detto “trickle down effect” ovvero effetto sgocciolamento: dando più risorse a chi guadagna di più genera benefici anche ai redditi bassi ma sappiamo che non funziona così, in basso arrivano poche gocce. Poi c’è un altro aspetto da tenere presente in ottica ambientale e di sostenibilità. Il lusso è estremamente energivoro ed anche questo è provato, più salgono i redditi e più aumentano i consumi energivori rispetto alla media.
“Ridurre le tasse non è la soluzione perché andrebbe ad alimentare il circolo vizioso nel quale siamo intrappolati danneggiando ulteriormente l’ambiente”
Starà seguendo la campagna elettorale: cosa manca secondo lei nel dibattito politico?
Si parla della guerra in corso ma non si parla del dopo Ucraina che sarà fondamentale. La guerra è un’enorme minaccia dal punto di vista del cambiamento climatico perché è una delle attività più energivore. Gli eserciti sono energivori anche quando non combattono quindi la questione è, quale pace per il futuro? Sarà una pace armata o una pace basata sul disarmo reciproco? Fa molta differenza. Una pace armata in cui ognuno delle due parti sospetta dell’altro sarebbe un disastro dal punto di vista del consumo di risorse. Una pace invece basata sullo smantellamento delle minacce reciproche potrebbe offrire maggiori prospettive per tutti. Di questo non si parla ma è un tassello fondamentale perché da questo dipendere il nostro futuro.
Il tema energetico è preponderante nella campagna elettorale, cosa ne pensa?
Parlando di crisi energetica, la situazione attuale è paradossale perché con i prezzi delle materie prime così alti, si sta materializzando il mondo sognato dagli economisti ambientali i quali dicevano che il mondo stava andando a rotoli perché inquinare non costava. Sostenevano infatti l’idea della carbon tax, pensavano che alzando i costi delle materie prime, avremmo prodotto di meno ad aiutato il pianeta. Siamo esattamente in questa situazione e cosa sta accadendo? Riaccendiamo le centrali a carbone, riattiviamo le centrali nucleari, non accade niente di quello che avevano previsto il che ci mette davanti un dato di fatto. È impossibile consumare così tanta energia senza fare a meno dei combustibili fossili per mantenere l’attuale livello produttivo. Tutto il nostro paradigma economico è basato sul fatto che l’energia debba costare poco altrimenti andiamo incontro ad uno shock economico
“ È una favola pensare che puntando sulle rinnovabili possiamo mantenere inalterati i nostri stili di vita”
Ma lei non tiene conto delle energie rinnovabili.
Il punto è che noi coltiviamo l’illusione di risolvere la questione climatica mantenendo intatto il nostro stile di vita, il che vuol dire continuare ad essere energivori e produrre tutto quello che serve usando le rinnovabili. Questa è una favola. Non è possibile né adesso né in futuro. Dovremmo popolare tutto il nostro territorio di pale eoliche e pannelli solari e non basterebbe comunque. Il problema energetico ed il problema climatico sono due facce della stessa medaglia, sono risolvibili solo consumando meno energia ed a questo punto si pone il problema di quale società vogliamo per il futuro
“Doveva essere un sistema economico pensato per le persone invece siamo finiti a lavorare per far funzionare il sistema. Le grandi dimissioni ovunque sono segnali che ci manda la società”
In effetti stiamo avvertendo segnali di cambiamento. Le grandi dimissioni negli Stati Uniti, la couch generation in Cina, mancanza di manodopera anche in Italia, cosa vuol dire tutto questo?
La società sta chiedendo qualità della vita perché il sistema attuale che abbiamo creato non è in grado di offrirla. Doveva essere un sistema economico pensato per le persone invece siamo finiti in un sistema dove le persone devono essere fatte per alimentare il sistema economico. La gente non vuole vite dominate dalle esigenze economiche, vuole dare priorità agli affetti, agli interessi personali e questo non solo è possibile ma è la strada per diventare sostenibili.
Chiedimi se sono felice diceva un vecchio film, forse dovremmo chiedercelo più spesso?
Guardi, i miei studi hanno dimostrato che non è possedere che rende felici, bensì condividere, relazioni, beni comuni etc. La chiave di tutto è la protezione dei beni comuni. Quando siamo soli, quando siamo immersi in rapporti conflittuali tendiamo a compensare il malessere comprando. In sostanza dico che il consumismo è una reazione al disgregamento del tessuto sociale. Di fronte al declino della ricchezza comune ci rimane solo la ricchezza privata ma questo genera un mondo dove il consumo rappresenta la salvezza ma è altrettanto insostenibile per l’ambiente.
D’accordo ma lei sta parlando di “decrescita felice” già teorizzata da Serge Latouche, un messaggio difficile da comunicare alla politica, no?
È qui che si sbaglia. Io propongo di crescere ma in quello in cui abbiamo veramente bisogno, miglior qualità della vita collettiva, tempo, città migliori, la risposta non può essere consumare di più.
Però viviamo in società sempre più competitive, già a scuola impariamo a diventare migliori, andrebbe rivisto tutto il sistema.
Questo è un grosso problema. Stiamo andando contro la natura che è profondamente sociale e cooperativa. Se abbiamo distrutto i beni communi è perché abbiamo costruito una società basata sulla competizione. Durante il covid abbiamo visto che è possibile collaborare, ci siamo adeguati al distanziamento, ad igienizzarsi le mani, a mettere le mascherine, è possibile invertire la tendenza.
Gli ambientalisti dicono che dobbiamo fare rinunce per lasciare un mondo decente alla prossime generazioni…
È un ragionamento sbagliato. Dobbiamo vivere meglio noi per far vivere meglio le future generazioni. Questo cambia molto il messaggio ecologista e lo rende appetibile politicamente, non parliamo di rinunce ma di lavorare per costruire una società dove si possa vivere meglio.