9 dei 10 lavori più richiesti, fino al 2025, saranno nel Tech, ma il gender gap frena la leadership femminile. Lo dicono BCG e Women’s Forum
Da adesso al 2025 nove lavori su dieci tra i più richiesti saranno nel Tech, ma il gender gap frena, ancora una volta, la leadership al femminile. A dimostrarlo, uno studio condotto da BCG in collaborazione con Women’s Forum sugli ostacoli alla crescita dei talenti femminili nel settore tecnologico. Cosa fare per invertire questa tendenza e aiutare il settore ad attirare e far emergere anche le donne di talento?
Leggi anche: Unstoppable Women: il racconto del main stage. Si parla di occupazione, gender gap e nuovi linguaggi di comunicazione
Donne e Tech: il report di BCG e Women’s Forum
Secondo il report stilato da BCG e Women’s Forum, il 60% delle senior manager di Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia ha dovuto rifiutare in passato proposte di carriera a causa di impegni familiari. Il 40% degli intervistati ha, invece, rivelato che le aziende per cui lavorano non hanno programmi per ridurre il gender gap. E’, ancora una volta, la difficile situazione in cui moltissime donne si trovano, soprattutto in settori centrali per la nostra economia, presente e futura, come quello del Tech. Sono più ambiziose degli uomini, ma finiscono per cambiare lavoro meno spesso dei loro colleghi manager perdendo, così, chance di carriera e quando rientrano da un lungo periodo di congedo, raramente rivestono un ruolo superiore, come accade, invece, più frequentemente ai colleghi maschi. La fotografia delle senior manager operanti nel Tech scattata da Boston Consulting Group e Women’s Forum – e contenuta nel rapporto “The Network Effect: How Women Beat the Odds to Get to the Top in Tech” – conferma il gender gap: sebbene la tecnologia sia un settore in cui è possibile dimostrare le proprie capacità sul campo, le donne faticano di più per ottenere lo stesso riconoscimento degli uomini. L’indagine, realizzata su un campione di oltre 1.500 donne e uomini che ricoprono ruoli apicali nel settore tecnologico o nelle divisioni tech delle imprese, è stata condotta in Francia, Germania, Italia e Regno Unito: i Paesi che registrano i livelli di PIL più elevati in Europa.
Secondo il report, il 47% delle donne manager è alla ricerca di una promozione nei prossimi tre anni, percentuale leggermente superiore a quella dei colleghi uomini (42%) coi medesimi obiettivi. Eppure, questa particolare inclinazione alla carriera non si traduce in un percorso professionale in crescita perché le donne in Francia, Italia e Regno Unito tendono a cambiare datore di lavoro meno spesso degli uomini. In Europa, infatti, solo il 17% delle donne manager ha cambiato più di 5 lavori nel corso della sua vita professionale (a fronte di una percentuale di uomini che si attesta al 22%); le donne, inoltre, registrano risultati più bassi dei colleghi anche nel cluster di manager che hanno collezionato tra 3 e 5 significative esperienze professionali: 35% per le donne contro una percentuale che sale al 43% per i manager. “Il mondo della tecnologia offre ai talenti femminili un enorme potenziale di crescita, dato dalla continua ricerca da parte dei tech player di nuove risorse e competenze. Tuttavia, se le donne continueranno a essere sottorappresentate nelle aziende di settore e nelle divisioni tech aziendali, nei prossimi anni il mismatch tra domanda e offerta continuerà ad essere elevato”, ha dichiarato Elena Benussi, principal di Boston Consulting Group.
Congedi: al rientro sono di più gli uomini delle donne promosse
In base a quanto emerso dalla ricerca, due terzi degli uomini e delle donne ritengono che prendere un periodo di aspettativa o lavorare part-time possa danneggiare la carriera ma, nonostante ciò, l’80% delle donne ha scelto queste opzioni di lavoro flessibile (rispetto al 50% degli uomini). Dal report condotto da BCG e Women’s Forum emerge che, benché uomini e donne registrino valori simili quando si tratta di richiedere periodi di aspettativa inferiori a sei mesi (in media il 28%), le percentuali cambiano quando ci si sposta su congedi lunghi (superiori ai 6 mesi), categoria in cui le donne registrano valori più alti. E la questione diventa ancor più significativa se si considera che i congedi più lunghi sembrano avere un impatto maggiore, sia positivo che negativo, sulle carriere degli uomini. Quasi il 30% dei manager, infatti, rientra in azienda con una posizione di livello superiore (contro il 15% delle donne), mentre il 19% lo fa ricoprendo una posizione di livello inferiore (contro il 14% delle donne). E’ quasi il 40% degli intervistati ad aver dichiarato che la propria azienda non dispone di programmi DE&I (Diversity, Equity and Inclusion) che puntano a favorire la diversità di genere nel top management. Guardando, invece, alle imprese che hanno adottato tali policy, emerge che il 21% delle donne manager e il 27% dei colletti bianchi ritiene che tali programmi non siano efficaci.
Gender gap nel Tech: quali possibili soluzioni
“Un maggior numero di donne nei leadership team aiuterà le aziende a costruire vantaggio competitivo di lungo periodo – ha dichiarato Benussi – Un obiettivo importante, in tal senso, sarà quello di non limitare le iniziative di empowerment femminile ad un solo settore, ma tradurle in azioni concrete in diversi settori e a livello internazionale, per avvicinare le donne di tutte le età al mondo STEM”. Tra le possibili soluzioni proposte, dunque, da BCG e Women’s Forum, ci sono alcune raccomandazioni per senior leader, dirigenti e manager HR e DE&I (Diversity, Equity and Inclusion) per favorire il processo di empowerment e promuovere una maggiore rappresentatività delle donne ai vertici del settore tecnologico. Aziende e leader devono agire a tutti i livelli per mettere in atto un sistema integrato di azioni che faccia leva su una serie di strumenti, tra cui: programmi di formazione sulle competenze tecnologiche, tutoring, coaching e mentoring personalizzato. Il rapporto, inoltre, ipotizza sia dei programmi speciali per incentivare i dipendenti a trasferirsi e ad accettare nuove posizioni offrendo supporto ai coniugi, sia iniziative volte ad attirare profili femminili con esperienza che potrebbero aver abbandonato la carriera per dedicarsi alla famiglia. Infine, il ricorso a modelli di lavoro flessibili e attenti ai crescenti e mutevoli bisogni dei caregiver – donne e uomini – che risultano essenziali per accelerare sul fronte dell’inclusività.