Intervista agli autori del libro Un’ altra didattica è possibile. Esempi e pratiche di ordinaria didattica inclusiva.
Gli anni di pandemia ci hanno permesso di scoprire ciò che in realtà il mondo della scuola denunciava da tempo, senza essere ascoltato, ovvero che la DAD non è il solo e unico fattore che crea disuguaglianza tra gli studenti e le studentesse della scuola italiana. La didattica a distanza si è rivelata un formidabile acceleratore di processi di demotivazione, marginalizzazione e abbandono, tutti problemi però che infettavano da tempo quella tradizionale, fatta di libri, gessetti, lezioni frontali e lavagne. È possibile migliorare la DAD o addirittura puntare a una didattica universale, davvero inclusiva? Lo abbiamo chiesto a Dario Ianes, docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all’Università di Bolzano, nonché co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento e ad Andrea Canevaro, già delegato del Rettore dell’Università di Bologna per gli studenti con disabilità, dove ha insegnato Pedagogia speciale e condirettore di «L’integrazione scolastica e sociale», rivista edita dal Centro Studi Erickson. Entrambi autori del manuale Un’ altra didattica è possibile. Esempi e pratiche di ordinaria didattica inclusiva.
SI Potete spiegare come e perché la DAD si è rivelata fallimentare?
Dario Ianes: La DAD ha enfatizzato e amplificato alcuni problemi della scuola e non solo: la distanza relazionale tra alunni e insegnanti, la socialità, l`impreparazione digitale didattica e organizzativa delle scuole, le difficoltà familiari e abitative, la disponibilità di devices per gli alunni, solo per citarne alcuni. In troppi casi la DAD ha replicato malamente la didattica frontale e nei primi periodi ha perso gli alunni con disabità o DSA.
Andrea Canevaro: La DAD si è modellata secondo una didattica frontale, simultanea. Questa didattica prevede che chi apprende lo faccia in maniera standardizzata: tutti nello stesso modo, con lo stesso e unico ritmo. Chi è fuori dallo standard o è indisciplinato, e allora ha bisogno di severità; o ha problemi che vanno diagnosticati e vanno affrontati da chi ha la preparazione per quella diagnosi. Nel periodo di pandemia, la didattica simultanea, frontale, è stata indicata dai grandi mezzi di comunicazione come naturale, ed ha fatto capire che un grande comunicatore poteva far lezione a tutta Italia. Anche una ministra dell’Istruzione, a suo tempo, ritenendo naturale, l’insegnamento frontale, aumentò il numero degli alunni per classe.
SI: È la storia delle classi pollaio…
Andrea Canevaro: Esattamente. Ed è anche il rinforzo della credenza che naturale, sia qualcosa di fissato per sempre. Escludendo ogni dinamica evolutiva. C’è chi va a scuola per fare lezione e chi va a scuola per prendere lezione. Questa interpretazione riduttiva si riduce ulteriormente con l’interrogazione che accerta che chi impara sappia ripetere ciò che l’insegnante ha detto mentre impartiva la lezione. La credenza naturale, fissata per sempre, ci evita di pensare. Ci permette di lamentarci, di protestare, di vivere la scuola come caso personale. Che si aggiunge al mucchio di casi personali, sovente in conflitto fra loro.
SI: Quali accorgimenti dovrebbero essere posti in essere per evitare che l’esperimento della DAD, che comunque ha contribuito a portare la tecnologia nelle scuole, non debba considerarsi come una parentesi destinata a chiudersi?
Dario Ianes: Per diventare una utile aumentazione della didattica in presenza, bisognerà evolvere la didattica stessa, rendendola più attiva, partecipata, plurale e libera. In questo l`immensa possibilitá del digitale di mettere a disposizione patrimoni di informazioni e anche nuovi modi di collaborare tra alunn* potrà arricchire la didattica in presenza, aumentarla appunto e non sostituirla.
Andrea Canevaro: Ascoltiamo le voci, riviviamo le emozioni dell’Albero Azzurro. Quello che nacque anni fa, nel 1990. La trasmissione si appoggiava a tanti contesti: ai singoli contesti da dove un pubblico bambino la vedeva e ascoltava. Ciascuno veniva invitato a esplorare la sua casa per cercare… una patata, e, avendo ricevuto il permesso, utilizzarla per costruire un timbro e decorare un foglio. La DAD può fare riferimento ai contesti, che la didattica simultanea trascura, cancella.
SI: In che senso? Ci aiuti a capire…
Andrea Canevaro: Questi oggetti fungono da mediatori che guidano i gesti, che diventano così anch’essi mediatori. Un chiaro esempio di apprendimento per affiancamento è l’apprendistato, che ebbe giuste critiche per il possibile sfruttamento che poteva permettere, ma che non venne criticato invece per la proposta formativa, che può essere coniugata in molti modi. Coloro che lavorano negli atéliers si definiscono con una pratica educativa altra da quella dell’insegnante in aula. La loro prassi prevede quella che viene chiamata la relazione di contiguità (essere accanto a), o anche relazione di atélier, di laboratorio. Le persone sono accanto, le età sono diverse, qualcuno ha assunto un compito che è quello di lavorare una materia, di costruire qualche cosa, un oggetto, di elaborare: è il laboratorio, al cui centro vi è un’attività finalizzata, che deve produrre oggetti, lavori. Tutta l’organizzazione del tempo, dello spazio, dei materiali, dei gesti, è determinata dalla finalità del laboratorio, una finalità produttiva.
SI: Lei prima ha parlato di contesti…
Andrea Canevaro: Infatti. Assume molta importanza il contesto, ovvero una costruzione diversamente articolata che si definisce nel tempo attraverso la delimitazione e la semantizzazione degli spazi, delle azioni dei suoi utilizzatori, delle parole che vengono scambiate e degli oggetti utilizzati. I campi, le serre, i laboratori, gli spogliatoi, gli spazi per riporre gli attrezzi, gli spazi aperti al pubblico, le azioni fra e negli spazi, con gli attrezzi, nella terra con le piante, con il cibo, i modi delle interazioni, gli scambi verbali, tutto questo costruisce il contesto. Ogni soggetto umano ha bisogno di sviluppare la propria esistenza in un contesto. L’apprendimento è individuale, ma l’individuo è un essere umano sociale. L’aria è respirata e composta da tutti. Potremmo mangiare senza gli altri? Laboratori e sartorie, fabbriche, negozi e scelte. Anche solo una caramella porta a qualcun altro.
Le stelle nella galassia sono circa cento miliardi.
Il numero dei neuroni del nostro cervello? Cento milioni.
Il numero degli esseri umani vissuti finora? Cento milioni.
È possibile non contaminarsi?
L’inclusione ha bisogno di legalità diffusa. I progetti di vita personalizzati inclusivi in un territorio, sono un formidabile contributo alla legalità. Alimentano la fiducia. Producono una dinamica evolutiva capace di andare oltre il singolo individuo, che sviluppa un proprio progetto di vita. E che può sviluppare innovazioni.
Bisogna inventarsi qualcosa. Assumere il rischio di impresa innovativa.
SI: Cosa vuol dire?
Andrea Canevaro: Rispondo citando Banerjee A. V., Dulfo E. (2012; 2010), L’economia dei poveri. Capire la vera natura della povertà per combatterla, Milano, Feltrinelli, p.222: “[….] una lezione di vera imprenditorialità [abbiamo potuto averla osservando] attentamente quattro donne sedute sul marciapiede, con il viso rivolto alla strada […]. Le donne stavano senza fare nulla, ma di tanto in tanto, quando il traffico si fermava, si alzavano, grattavano via qualcosa dalla strada e lo riponevano dentro alcune buste di plastica, per poi tornare a sedersi. […] Ogni mattina prima dell’alba le donne si recavano in spiaggia a raccogliere sabbia bagnata; poi, prima che iniziasse il traffico dell’ora di punta, la spargevano uniformemente sulla strada. Le auto, passando sopra la sabbia, la asciugavano con il calore delle ruote. Tutto quello che le donne dovevano fare era dunque grattare via di tanto in tanto lo strato superiore di sabbia asciutta. Alle nove o alle dieci, avendo già raccolto una buona quantità di sabbia, ritornavano allo slum e la rivendevano in piccole confezioni realizzate con giornali vecchi. Le donne del posto usavano la sabbia asciutta per lavare i piatti”1 . Accadeva a Bombay, il vecchio nome dell’odierna Mumbai.
Questo è un esempio di operosità produttiva: un incastro, o un intreccio, di singole operosità che, incastrandosi o intrecciandosi, diventano produttive.
SI: Cosa si intende per didattica universale?
Dario Ianes: La didattica universale è quella che dà a tutti la possibilità di esprimere il proprio potenziale in termini di apprendimento e di appartenenza relazionale nel gruppo. Dunque è una didattica che offre molte e diverse occasioni di apprendimento, differenziate e plurali, in modo tale da rispondere adeguatamente alle diverse abilità, stili di apprendimento, intelligenze, talenti e interessi.
Andrea Canevaro: Una didattica non lineare ma eco sistemica. L’inclusione (di persone con disabilità) ha insegnato ad avanzare accettando il rischio del procedere a tentoni. Avanzare nell’incertezza. Un ulteriore paradosso: riusciamo a raggiungere obiettivi di qualità quando partiamo con l’idea di essere nell’incertezza. Se siamo troppo sicuri e ci crediamo forti, rischiamo di non sopravvivere. Sembra un’affermazione esagerata? Il debole homo sapiens è ancora al mondo. Il più forte uomo preistorico, l’uomo di Neanderthal, no.
La contrapposizione forte/debole non aiuta a comprendere. Nessuno si sente incoraggiato dal fatto di essere definito debole.
SI: Quale contrapposizione usare?
Andrea Canevaro: La contrapposizione più interessante, e probabilmente utile, è fra “sistema chiuso” e “sistema aperto”. Quando un sistema – organizzativo del pensiero, dell’istituzione, della vita associativa – può essere definito chiuso? Quando ritiene di non dover misurarsi in nessun cambiamento, con l’idea di aver raggiunto uno stato sufficientemente perfetto. È un sistema fermo. Un sistema aperto non si sente arrivato. Accoglie nuove sfide che affronterà non solo con ciò che già conosce o possiede, ma anche con qualcosa di nuovo. Siamo all’innovazione, più possibile per il sistema aperto che per quello chiuso. Potremmo decidere che l’innovazione non ci interessa. Questo è certamente possibile. Ma questa scelta contiene il rischio, non sottovalutabile, di rimanere nel passato. Melvyn Goodale, della University of Western Ontario, non sarebbe molto d’accordo ad escludere l’innovazione. L’esclusione cancellerebbe il suo lavoro di ricerca sull’organizzazione funzionale delle vie visive nella corteccia cerebrale. I suoi studi tentano di comprendere come si possano formare immagini cerebrali senza passare dalla vista, e utilizzando l’esplorazione attiva tattile. Le ricerche sull’ecolocalizzazione realizzate con la collaborazione di ciechi sono possibili certamente grazie alle neuroscienze. Ma senza l’impiego dell’informatica, dell’elettronica e di molte innovazioni, queste ricerche sarebbero impossibili. Non possiamo rinunciare all’innovazione. Che si sviluppa se siamo sistema aperto. Aperto agli altri, con le loro diversità. Le conquiste fatte da chi non vede, possono essere messe a disposizione di altri, che pure vedono.
SI: Il libro è una raccolta di casi: traspare che la didattica universale sia una sorta di abito sartoriale da confezionare in base all’alunno. Ma se è così, non potrà mai essere qualcosa di valido per tutti?
Dario Ianes: L`alunno dovrebbe essere messo nella condizione di confezionare il proprio abito in accordo con il docente e nell`ottica comunque di partecipare ad un corpo collettivo, ad una totalità di appartenenza, ad una squadra coesa e solidale. Una didattica aperta e universale non significa che ogni alunn* prende ciò che vuole, come in un supermaket, ma significa che, all`interno di una cornice di senso didattico e relazionale, guidato e sostenuto dall`insegnante è libero di operare scelte via via più consapevoli e responsabili.
Andrea Canevaro: È importante richiamare il concetto di intenzionalità, che può fornire un ruolo decisivo al compito di dar senso nella “lettura” degli eventi2, più leggibile – vedremo – nella filiera dell’agroalimentare, e lo proponiamo in termini che chiamiamo mediatori suggerendo la logica del domino. In questa logica, lo stesso imprevisto può assumere il gusto della sfida positiva. E aiutare a non pregiudicare chi ha una disabilità complessa.
Il modo di dire una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso può farci capire che l’intenzionalità delle due mani non è a prescindere, ma si costituisce in funzione del viso che va lavato. E che un gesto può comporsi di due gesti che si uniscono in funzione di un progetto, costituendo un triangolo progettuale. I gesti convergono in un progetto. Una fattoria sociale è un progetto che si rivela e si conferma stagione dopo stagione, con i rituali ricorsivi che “contengono” chi appare con un’intelligenza atipica.
SI: Leggendo i casi raccolti nel libro, pare emergere che la didattica inclusiva sia lasciata alla buona volontà degli insegnanti, non sia qualcosa di codificato dal legislatore. E’ così? I docenti stanno occupando vuoti mai presi in considerazione dalle – seppur tante – riforme scolastiche?
Dario Ianes: Il legislatore non può e non deve dettare la linea metodologica agli insegnanti, deve creare le condizioni per il loro sviluppo professionale e scientifico continuo e sostenere le sperimentazioni e le innovazioni che nascono nelle scuole autonome.
Andrea Canevaro: Il mondo della scuola riflette il mondo della società. Che vive un tempo di transizione. “Il sole non nasce per una persona sola, la notte non viene per uno solo. Questa è la legge, e chi la capisce si toglie la fatica di pensare alla sua persona, perché anche lui non è nato per una persona sola” [A. CERVI (2010; 1955), I miei sette figli, Torino, Einaudi, p. 5]. Siamo nell’ora, secondo una interessante espressione francese, “entre chien et loup”, in cui la poca luce non ci permette di capire se incontriamo il migliore amico dell’uomo, un cane, o un pericoloso lupo.
“Nell’arco di tempo che, quotidianamente, si richiude su se stesso, nella catena senza fine delle ore luminose e oscure, ce n’è una, la più confusa ed evanescente, che è l’impalpabile limite fra la notte e il giorno. C’è un’ora, appena prima dell’alba, che già il mattino è arrivato, ma è ancora notte. Nulla di più misterioso e incomprensibile, nulla di più enigmatico ed oscuro, che questo strano passaggio dalla notte al giorno” [L. S. Vygotskij (1973), La tragedia di Amleto, traduzione di A. Villa, Roma, Editori Riuniti, p. 27].
SI: Tutto ruota insomma attorno al concetto di intenzionalità…
Andrea Canevaro: È importante richiamare il concetto di intenzionalità, che può fornire un ruolo decisivo al compito di dar senso nella “lettura” degli eventi, leggibile – ad esempio – nella filiera dell’agroalimentare, e lo proponiamo in termini che chiamiamo mediatori suggerendo la logica del domino. In questa logica, lo stesso imprevisto può assumere il gusto della sfida positiva. E aiutare a non pregiudicare chi ha una disabilità complessa.
Il modo di dire una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso può farci capire che l’intenzionalità delle due mani non è a prescindere, ma si costituisce in funzione del viso che va lavato. E che un gesto può comporsi di due gesti che si uniscono in funzione di un progetto, costituendo un triangolo progettuale. I gesti convergono in un progetto. Una fattoria sociale è un progetto che si rivela e si conferma stagione dopo stagione, con i rituali ricorsivi che “contengono” chi appare con un’intelligenza atipica.
SI: Con la pandemia abbiamo avuto conferma che la scuola è arretrata, ben poco equa e con tanti alunni emarginati o che abbandonano: quali sono i principali problemi della scuola italiana e quale dovrebbe essere la riforma principale da attuare, magari coi fondi del PNRR?
Dario Ianes: In estrema sintesi ed in ordine sparso: edilizia e infrastrutture, formazione universitaria dei docenti, reclutamento con concorsi programmati e sistemativi, valorizzazione culturale ed economica della scuola e del suo personale, sviluppo professionale continuo e di carriera, servizi di supporto tecnico-metodologico agli insegnanti, riforma del sistema degli insegnanti di sostegno/assistenti all`autonomia e comunicazione, attenzione ossessiva alla dispersione e al ruolo di ascensore sociale della scuola.
Andrea Canevaro: Le vicende umane sono state sovente caratterizzate da debolezze che hanno rappresentato lo spunto per risolvere problemi di tanti e non solo di chi vive esplicitamente una fragilità. La storia del mondo e dei viventi non ha una progressione certa e in qualche modo meccanica. Il funzionamento creativo si avvale, per evolvere, del bricolage … La condivisione del percorso di emancipazione o una logica “della corporazione dei camionisti”? che inchiodò il Cile con uno sciopero ad oltranza, basato anche su giuste rivendicazioni, ma con conseguenze che portarono alla dittatura di Pinochet. A volte, chi rappresenta le fragilità agisce con la logica dei camionisti cileni.
Si: Cosa ci dovrebbe suggerire ciò?
Andrea Canevaro: Questo suggerisce di curare particolarmente chi deve dirigere una scuola, superando decisamente le reggenze scolastiche. La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, (Nazioni Unite, 3. 5. 2008) riguarda 650 milioni di individui nel mondo. E’ un mondo in cui la mobilità delle popolazioni è in continuo aumento; in cui la media della durata della vita, in paesi come il nostro, è aumentata (invecchiamento della popolazione); in cui si calcola che, in media, un individuo che viva 70 anni, avrebbe 7 anni – anche comulativi – di condizione di disabilità. La disabilità, come emerge dalla Convenzione, è un concetto in evoluzione. L’art. 1 ribadisce che la disabilità è il risultato dell’interazione tra le caratteristiche delle persone e le barriere attitudinali e ambientali che incontrano.
E’ inscindibile dalla qualità della vita; che può dipendere:
– da una rete sociale attiva,
– dall’accessibilità dell’informazione,
– dall’esigibilità dei diritti (non per un procedimento giudiziario apposito, ma già pre-senti, in una società inclusiva,
– e da una buona accessibilità di prodotti di mercato facilitanti e dalla complementarie-tà con i servizi sociosanitari con competenze specifiche.
SI: In genere è la scuola a dare i voti: voi però che voto dareste alla scuola italiana?
Dario Ianes: Sono contrario ai voti, si devono dare feedback specifici, positivi e/o negativi, che aiutino il cambiamento.
Andrea Canevaro: Alberto Manzi, il maestro televisivo di Non è mai troppo tardi, non dava voti ma valutava così: Fa quel che può. Quel che non può non fa. Il panorama delle scuole è a macchia di leopardo e questo vale anche per l’inclusione. L’immagine della scuola desolata, della scuola-cimitero è spesso quella che leggiamo sulla stampa o nei social; ma se andiamo a guardare e abbiamo la pazienza di vedere, c’è dell’altro e molto positivo. Lo dimostrano tanti insegnanti di quegli anni e di oggi. Interessante è, da li, allacciare i fili, annodare continuamente, concretamente. E crescere. In termini moderni lo chiameremmo cablaggio. E si può fare, sul territorio, anche in piccoli comuni, in realtà locali. Dobbiamo sapercelo dire e saperlo trasferire. Come scriveva Pablo Neruda:
Non aspettare che ci sia sereno / o cada una tiepida pioggia / o l’orchestra dei fiori / incominci a suonare / o i già muti pesci / tacciano ancor di più. / Fa che ti basti / che cominci il giorno / e che sia fatto chiaro /come pagina bianca / voltata dopo la nera. / Allora tieni la faccia / più alta che si può / e tenta / perché tentar non nuoce.