Secondo un’indagine condotta tra i consumatori britannici dalla Food Standards Agency (Fsa), il 60% non vuole consumare prodotti cell-based. Carlotte Lucas di The Good Food Institute Europe, spiega l’impatto che il restante 40% potrebbe avere sul pianeta.
Ai britannici non piace la carne in vitro. Lo ha dimostrato un’indagine condotta dalla Food Standards Agency (Fsa) sulle popolazioni di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Nonostante la lotta (persa) da Boris Johnson contro il junk food, la popolazione della Gran Bretagna sembra riluttante a cedere su alcune certezze come la carne rossa. Ne era molto appassionata anche la defunta Regina Elisabetta (che però non poteva mangiarla al sangue per ragioni di protocollo).
Ma agli inglesi sembra non importare molto il nuovo corso che il sistema alimentare sta prendendo a livello globale, favorendo prodotti come la cultured meat. Si parla di carne in vitro dal 1930, ma per molti sembra ancora fantascienza. Qualcosa a cui guardare e sorridere.
L’indagine della Food Standards Agency
Con un’indagine condotta da Ipsos tra ottobre 2021 e gennaio 2022, Fsa ha chiesto il parere di 5.769 adulti su sostenibilità, sicurezza alimentare e dieta. I risultati hanno messo in luce che il 60% dei consumatori non vuole saperne di consumare carne coltivata in laboratorio.
A causa della Brexit, le normative hanno reso difficile la penetrazione di prodotti cell-based nel mercato inglese, soprattutto se di origine europea. Mentre si lavora per creare una legislazione più agile, ci si chiede però se il mercato britannico sia pronto a questa novità. Pare che solo il 28% degli intervistati lo sia e che solo il 9% sia pronto a provarla.
Meno carne rossa in Uk
Sappiamo che il trend flexitariano continua a crescere. Carne (soprattutto rossa) e pesce stanno lasciando il posto ad altri alimenti di origine vegetale. Lo afferma l’86% degli intervistati, che nell’ultimo anno ha tagliato i consumi di prodotti di origine animale, compresi chicken nuggets, prosciutto o bacon. Il 36% ha tagliato i consumi di pesce. Alla base ci sono scelte salutistiche, poi ambientali.
Ma la Gran Bretagna è un mercato per le alternative plant-based alla carne animale. Nel 2019 si è stimato che questo mercato potesse valere 489,2 milioni di dollari, con una previsione di crescita di 726,8 milioni nell’anno successivo.
Poi è arrivato il Covid e l’attenzione a ciò che portavamo a casa è cresciuta. Con essa, anche i numeri di questo mercato. Tuttavia, nonostante il 39% degli intervistati non abbiano mai provato un prodotto alternativo alla carne, c’è grossa preoccupazione per il benessere degli animali da allevamento e per la propria salute.
Intanto, Ivy Farm apre la più grande azienda di carne coltivata in Europa, proprio accanto al dipartimento di ingegneria della Oxford University. L’indomani dell’annuncio, l’azienda ha esplicitamente chiesto che il governo britannico supporti l’introduzione della tecnologia legata alla carne coltivata e che la Food Standards Agency ne approvi la salubrità.
L’intervista a Carlotte Lucas di The Good Food Institute
“Se anche solo il 40% dei britannici scegliesse la carne coltivata, questo farebbe un’enorme differenza per l’impatto climatico del nostro sistema alimentare”. Lo sostiene Carlotte Lucas, corporate engagement manager di The Good Food Institute Europe, organizzazione non governativa che lavora per sdoganare l’agricoltura cellulare, carne in vitro compresa.
Infatti, “dato che la carne coltivata è identica al manzo, al maiale, al pollo e ai prodotti ittici che le persone amano, questa modalità può fornire il cibo che i consumatori desiderano, ma sostenibile”.
Secondo un recente studio, la carne coltivata potrebbe ridurre le emissioni climatiche fino al 92%, l’inquinamento atmosferico fino al 93% e utilizzare il 78% di acqua in meno rispetto agli animali da allevamento. Inoltre, ci sarebbe un calo dello sfruttamento del suolo fino al 95%, contribuendo a prevenire la deforestazione e a creare spazio per allevare in modo sostenibile.
Inoltre, nella filiera della carne cell-based non vengono usati antibiotici, fattore che può aiutare a prevenire lo sviluppo della resistenza antimicrobica negli esseri umani. Secondo le ultime stime, questo fenomeno causa circa 33 mila morti all’anno nella sola Unione Europea.
Rendere la carne coltivata un’opzione per tutti
Le azioni per promuoverla devono partire da più fronti. Uno di questi riguarda l’industria. “Le startup in tutta Europa stanno svolgendo un lavoro pionieristico nello sviluppo della carne coltivata, ma servirebbe che un maggior numero di aziende della supply chain si impegnasse per renderla accessibile e disponibile ai consumatori”, spiega Lucas.
“Una sfida fondamentale è quella di abbassare il costo del brodo ricco di sostanze nutritive, utilizzato per coltivare la carne. The Good Food Institute ha recentemente collaborato con EIT Food per offrire un premio di 100.000 euro agli innovatori in grado di sviluppare opzioni più accessibili che possano essere commercializzate rapidamente”.
Ma per un cambiamento importante, proprio come sostengono i portavoce di Ivy Farm, ciò che conta sono le azioni della politica. “Abbiamo bisogno che i governi di tutta Europa investano nell’infrastruttura e nella ricerca necessarie per rendere la carne coltivata un’opzione per tutti, proprio come hanno investito nello sviluppo delle energie rinnovabili”.