Mai un gesto così femminile e privato come liberare i capelli, farli ondeggiare sulle spalle e, sì, anche tagliarne qualche ciocca o l’intera chioma, è apparso così potente: si tagliano ciocche le ragazze che stanno occupando le piazze delle più grandi città iraniane, lo fanno le loro sorelle esuli in Occidente, lo stanno facendo, in segno di vicinanza, migliaia e migliaia di donne ovunque nel mondo e molte attrici, musiciste, sportive sul web. Alla Triennale di Milano, nei giorni scorsi, milanesi e viaggiatrici si sono tagliate una ciocca e l’hanno depositata in un’urna perché fosse consegnata al consolato generale della Repubblica Islamica dell’Iran in segno di solidarietà con quanti e quante manifestano ormai da qualche settimana rischiando la vita e, insieme, in segno di protesta contro le durissime repressioni (secondo l’Iran Human Rights almeno 154 persone, compresi bambini, sono state uccise finora, molti incarcerate, inclusi giornalisti). Lo stesso gesto simbolico viene ripetuto in questi giorni nelle stanze del Museo Maxxi di Roma.
Mahsa Amini, morta perché indossava impropriamente l’hijab
Del resto proprio i capelli che le sfuggivano dall’hijab indossato impropriamente, a detta della polizia morale di Teheran, sono stati la causa del pestaggio subito da Mahsa Amini, la ragazza curda presa in consegna dalla stessa polizia mentre era in vacanza a Teheran, morta tre giorni dopo e diventata simbolo di una generazione che non vuole più chinare il capo (in alto un sua foto non datata, fornita a Iran Wire dalla sua famiglia). In suo nome e perché i responsabili dell’omicidio vadano sotto processo, oggi le ragazze e le donne iraniane, affiancate dai fratelli, dai mariti, dagli amici occupano le piazze delle maggiori città, trasformando il gesto privato di tagliarsi i capelli in un manifesto, affinché in quel gesto si riconosca il diritto non più negoziabile di esprimersi in libertà, di uscire come si vuole, vestirsi nel modo che pare in uno Stato totalitario che ha sempre represso con la violenza ogni sussulto di diritto. Del resto, se negli anni passati le donne protestavano contro l’obbligo del velo, oggi l’azione collettiva di toglierselo è solo la punta dell’iceberg: “Quello contro cui si protesta è l’intero sistema di oppressione messo in piedi dal regime iraniano, di cui il velo rappresenta un simbolo sia religioso che politico”, ha commentato la sociologa iraniano-francese Azadeh Kian, una delle voci più ascoltate nel mondo, che ha poi aggiunto: “Se queste donne avranno successo e sapranno dimostrare alle loro figlie di aver sconfitto l’islam politico con tutte le sue costrizioni, allora il vento del cambiamento non si limiterà all’Iran ma soffierà su tutta la regione”.
“Se queste donne avranno successo, allora il vento del cambiamento non si limiterà all’Iran ma soffierà su tutta la regione”
“Per la libertà, per le donne, per la vita!”
Ma se insieme a quei capelli – prima nascosti sotto il velo e oggi liberati – sembra essersi irreversibilmente liberata anche la forza di tante, una forza anch’essa prima tenuta segreta e oggi offerta al mondo a viso aperto, è forse un urlo l’aspetto più dirompente nelle piazze: si tratta dell’urlo monotono “Per la libertà, per le donne, per la vita!” che viene instancabilmente ripetuto in coro dalle donne e da sempre più uomini, a legare le tre dimensioni – libertà, donne, vita – in una catena consequenziale e affermare che non può esserci mai vita se le donne non sono libere di abitarla: perché i diritti di ciascuna donna sono i diritti di tutti e, se vengono soffocati, ognuno, ognuna di noi ne subisce il danno per intero e si ritrova più fragile, ma appena vengono liberati diventiamo tutte, tutti quanti più forti.