Nel 2010 Haiti è stato colpita dal secondo terremoto più devastante per numero di morti mai registrato. L’economia è collassata e i guasti alla rete elettrica hanno avuto ripercussioni anche sulle filiali delle banche, concentrate soprattutto nella capitale Port-au-Prince: i pochi sportelli che riuscivano a tenere aperti si sono subito affollati di risparmiatori. Nel paese caraibico, tra i più poveri al mondo, il 90% della popolazione era unbanked, ovvero senza alcun conto in banca. È in condizioni simili che Pascale Elie ha deciso di fondare la prima startup fintech del paese, HaitiPay, basandosi sulla diffusione dei cellulari e sulla rete telefonica per consentire alle persone di gestire i propri pagamenti in sicurezza. Tutto questo mentre il paese faceva i conti con la difficile e lunga ricostruzione.
HaitiPay: Davide contro Golia
Raccontata da Rest of World, quella HaitiPay non rientra tra le storie che vanno subito al lieto fine, con l’innovazione dirompente che conquista clienti, fette di mercato e attira finanziamenti immediati. Pur essendo stata la prima a innovare in questo ambito, Ellie si è presto scontrata con le difficoltà di un’economia non certo accogliente nei confronti dei nuovi attori. Banche e compagnie di telecomunicazioni controllano ancora oggi il settore dei pagamenti digitali e HaitiPay è stata costretta a seguire un percorso turtuoso soltanto per guadagnarsi la possibilità di stare sul mercato con i propri prodotti.
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Fondata dopo la tragedia del terremoto, HaitiPay ha lanciato un portafoglio digitale pionieristico nel paese, attraverso il quale chiunque possedesse uno smartphone poteva farsi pagare, inviare denaro, acquistare prodotti nei negozi e ricevere le rimesse dai parenti all’estero. Il tutto senza affidarsi alla precaria connessione ad internet, ma soltanto alla rete telefonica.
I finanziamenti ai più forti
La Bill & Melinda Gates Foundation, forse la più potente al mondo nel campo della filantropia, è stata tra le prime a precipitarsi per sostenere l’economia di Haiti. Nel ricostruire la vicenda, Rest of World ha spiegato che l’accesso ai finanziamenti – messi a disposizione anche da questa organizzazione – ha sbarrato le porte ad HaitiPay, dal momento che i criteri per ottenere i milioni di dollari di finanziamenti prevedevano, ad esempio, la garanzia di registrare almeno 100mila transazione nel giro di sei mesi. Non è stato dunque sorprendente che ad aggiudicarsi tali somme siano state due aziende già attive: la jamaicana Digicel e la sua principale competitor, la statunitense Voilà. Da soli questi due attori servivano 3 milioni di utenti in un paese da quasi 10 milioni nel 2010.
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I due soggetti più forti hanno presto scelto di unirsi per formare un vero e proprio monopolio fintech ad Haiti. La nuova società, MonCash, ha avuto successo non tanto per particolari innovazioni, ma perché ha ripercorso la stessa strada di altre fintech che hanno spopolato nei paesi in via di sviluppo, come M-Pesa in Africa. Appoggiandosi alle grandi società di telecomunicazioni, queste startup avevano la strada spianata per operare sul mercato. A complicare ulteriormente le cose ci si è messa la legge, che ad Haiti impone a tutte le società che operano nel settore degli e-payment di farsi affiancare da un istituto bancario. La startup ha impiegato due anni per guadagnarsi un partner.
HaitiPay: USA e migranti
Una volta messasi in regola con le norme per operare sul mercato, HaitiPay ha iniziato a farsi strada, ricevendo un grant da mezzo milione di dollari dalla U.S. Agency for International Development per avviare l’estensione del servizio in tutta Haiti. A metà del 2018 ha ricevuto il sostegno di due acceleratori di startup per potenziare il business, ma il nodo è rimasto sempre quello dell’accesso ai finanziamenti. Come sempre accade, è quello il gap da colmare per iniziare a scalare. Così la founder ha deciso di spostarsi negli Stati Uniti, registrando la sua azienda nel Wyoming per poter dar il via a un giro di incontri con potenziali investitori. Elie ha grandi speranze anche sugli esuli haitiani che oggi vivono negli Stati Uniti, soprattutto in Florida e nello stato di New York: 1,2 milioni di persone che spediscono al paese di origine rimesse dal valore di 3 miliardi di dollari, pari a un terzo del PIL di Haiti.