In un anno nero per la cultura, inevitabilmente colpita dalla pandemia COVID-19 ma troppo spesso trattata e percepita come bene non essenziale, si alza una voce dal coro che risponde al nome di Amleta, per dirci che in Italia le attrici, le drammaturghe, le registe sono solo il 30% del totale. Se consideriamo i soli Teatri Nazionali in Italia – in questi mesi sono stati nominati i nuovi direttori del Teatro di Roma e del Piccolo Teatro di Milano – non troviamo ad oggi nessuna donna che ricopra il primo ruolo direttivo.
Una scelta che incide inevitabilmente sulla narrazione del mondo femminile e più in generale sull’educazione socio culturale di ognuno di noi. Per questo Amleta, cambiando il genere di uno dei personaggi più noti del teatro, nasce con un obiettivo: riscrivere narrazioni più equilibrate ricordando l’importanza di rappresentare e rispettare le donne, in scena e nella società, ma anche ridisegnare i parametri di selezione, puntare al merito e alla trasparenza. Associazione di Promozione Sociale dal’8 dicembre, Amleta ha trovato spazio e tempo per crescere proprio durante il fermo delle attività, ma era da tempo che scalpitava per venire alla luce. Di fatto è una gemma del “Tavolo di Genere“ di “Attrici e Attori Uniti”, movimento di attrici e attori costituitosi durante il lockdown di marzo 2020.
Inizia tutto nel backstage
Sarebbe un errore se ci limitassimo a pensare alla cultura solo nella sua messa in scena. Prima di tutto perché quello che vediamo come spettatori è il risultato di un lungo, insieme tangibile e intangibile lavoro di backstage, ma anche perché dire “cultura” significa restare in superficie, se non ci addentriamo nelle dinamiche di produzione – sconosciute ai più – tipiche del teatro, del cinema, del linguaggio televisivo o, ancora, pubblicitario. Non è solo un ragionamento per addetti ai lavori: interessa tutti noi, come potenziali e reali fruitori di quei messaggi, e perchè attraverso ciò che vediamo sul grande o piccolo schermo formiamo una coscienza personale e collettiva.
Amleta vuole proprio creare consapevolezza, ad ogni livello. Ce lo racconta Cinzia Spanò, presidente di Amleta e rappresentante del gruppo di 30 fondatrici, tutte attrici, registe, drammaturghe. “Che messaggi può dare un mondo raccontato, in tv, al cinema e a teatro da uno sguardo per il 70% maschile? Ce lo siamo chieste e proprio da qui siamo partite: dai dati e da questo deficit cristallizzato, dove le drammaturghe sono il 15% e i testi maggiormente portati in scena sono scritti praticamente solo da uomini di ogni epoca. Ci trasciniamo stereotipi che continuano ad offrire spaccati di verità facendo ciò che è contrario rispetto alla missione della cultura, quello di diventare invece uno specchio della realtà, permettendoci di acquisire strumenti di osservazione della vita”.
Conoscere per agire
Come recita nel suo statuto, Amleta è nata per raccogliere dati ed evidenziare, monitorare, esaminare le differenze di trattamento tra donne e uomini nel mondo dello spettacolo. Fa quello che nella vicina Spagna è voluto e finanziato direttamente dal nuovo Ministro della Cultura, che attraverso fondi pubblici ha commissionato una ricerca per capire come e dove si decide l’offerta culturale del paese. In Italia per la prima volta con approccio sistematico e organico lo fa Amleta. “In Italia non è più accettabile che le nomine dei teatri siano sottoposte platealmente a criteri di spartizione politica o a pressioni generate all’interno e all’esterno dei Cda. Vogliamo che mai più una nomina, una pubblica chiamata o un bando possa essere considerato accettabile se non prevede la candidatura di una o più donne” hanno spiegato con una conferenza stampa online, corale e partecipata da molti voti del cinema e del teatro.
Due approcci: cultura e azione
Il rischio, ci dicono, è che gli uomini continuino a raccontare le donne in modo parziale, incompleto, sbagliato. Uno sguardo unilaterale difficilmente sensibilizza attorno a temi come le disparità, le discriminazioni, il gendergap, gli abusi, l’omofobia, la transfobia, il patriarcato e l’emarginazione. Ci spiega Cinzia che proprio su questo terreno si muove Amleta, “Con due approcci: quello dell’azione e quello culturale. Abbiamo condiviso i dati raccolti e particolarmente completi e dettagliati con il Consiglio Superiore dello Spettacolo e con la FLC CGIL, per arrivare presto al MIBACT. Vogliamo che i criteri di accesso inclusivi e trasparenti, che siano basati su un semplice principio giuridico presente nella Costituzione e che dovrebbe guidare questo e altri passaggi della vita del nostro Paese: il principio di pari opportunità. Sul piano culturale è necessario anche che le donne acquisiscano sempre più consapevolezza: per questo motivo stiamo costruendo una rete di professioniste – tra loro avvocate, giornaliste, scrittrici, direttrici, filosofe, registe – che ci aiutino ad inoculare anticorpi in questo ecosistema, per arrivare alle giovani generazioni di colleghe e dire loro che non sono sole, e che se vivono discriminazioni, pressioni, abusi verbali, psicologici o fisici, questi non appartengono ad alcuna sfera di normalità. Sono reati, e vanno condivisi per essere denunciati e rompere il circolo vizioso”. Comportamenti di prevaricazione, spesso giustificati come ingredienti del “genio creativo” nascondono in realtà pura discriminazione, dinamiche patriarcali e maschiliste ancora troppo radicate. “Per questo ci siamo costituite associazione, perché vogliamo poter essere ovunque sia necessario e interloquire con quanti più soggetti possibile e perché vogliamo utilizzare tutti gli strumenti che l’Italia e l’Europa mettono a disposizione per perseguire gli obiettivi di parità di genere”.
Per unirsi ad Amleta o saperne di più si può scrivere ad [email protected].