Quando si pensa all’arte antica si fa fatica a associare le parole AI e blockchain. Eppure le potenzialità di questi strumenti sono enormi per la salvaguardia del patrimonio artistico
Oggetti, reperti e documenti, provenienti dal mondo antico sono fortemente interessati agli sviluppi delle nuove tecnologie. Importanti filoni di studio si stanno dedicando a trattamento, conservazione e fruizione del bene culturale e non mancano progetti -di grandissimo interesse, anche per il portato di innovazione del contenuto scientifico- che vedono la copartecipazione del MiBACT. La Realtà Aumentata, l’Intelligenza Artificiale, l’ecosistema dell’Internet delle Cose stanno conquistando il mondo antico. I beni culturali -ad esempio, attraverso un progetto che prevede lo sviluppo di una piattaforma web di catalogazione e gestione dati- arricchiscono la loro biografia con informazioni aggiuntive, divenendo più appetibili e fruibili dal pubblico.
Nel caso di un’opera d’arte, poi, tecnologie quali realtà aumentata o piattaforme di AI estendono il potenziale comunicativo ed espressivo dell’opera stessa, che, in un certo senso potrà meglio “raccontarsi”. “In effetti l’evoluzione che la tecnologia sta portando, in particolare grazie alla blockchian, rende questo ultimo periodo molto più appassionante per gli addetti ai lavori beni culturali, perché siamo in un ambito in cui finalmente il software si può toccare con mano” spiega Pierpaolo Foderà, CEO di ADAMANTIC, l’azienda di sviluppo software che sta realizzando la Piattaforma di Digital Asset Management per un progetto pilota, di notevole valore, di gestione del patrimonio culturale.
Il progetto comprende un’esperienza del tutto inedita, quella dei cantieri-scuola presso Palazzo Rivaldi a Roma (progetto commissionato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali), in cui si realizza la missione di questa originale impresa di sviluppo di soluzioni software per enterprise: “Nostro interesse è proprio quello di trovare l’applicabilità della tecnologia nei contesti tradizionali ed innovare, ossia rendere più efficienti, i processi e l’impiego degli strumenti: in questo contesto, abbiamo sviluppato un progetto teso ad una finalità piuttosto ambiziosa, che prevede l’estensione dell’area museale tradizionale, arricchendo di contenuti extra la tradizionale visita d’arte” sottolinea Foderà.
Rendere digitale un’opera d’arte
I presupposti per rendere digitale un’opera d’arte o un monumento (e, in generale, un “asset fisico”) risiedono nella sua univocità e unicità. Non è facile governare tale concetto nel mondo dei bit, dove la copia è indistinguibile dall’originale. Una volta identificato univocamente un asset, nel nostro caso l’opera, può essere catalogato in un sistema digitale (una piattaforma web, in questo caso) che consente agli studiosi e ricercatori di usufruire di tutte le informazioni e concorrere ad arricchire la storia dell’asset con ulteriori dati. Ogni analisi, che abbia in esame un determinato oggetto di studio, viene quindi inserito nello storico dell’oggetto stesso, a disposizione sia delle future ricerche che dell’esperienza vissuta dai visitatori appassionati d’arte.
Documenti, foto, video, relazioni con altre opere o approfondimenti sul periodo storico, attività documentata di restauro o, perfino, localizzazione all’interno dell’area monumentale o archeologica, sono tutti elementi che vanno a valorizzare il patrimonio artistico, restituendo pregio al bene culturale e integrando l’esperienza del pubblico, con la possibilità di approfondire nuovi aspetti e risvolti. Non solo: ricerche e studi degli addetti ai lavori, che governano tutto lo storico del bene con appositi strumenti di aggiornamento, assumeranno un profilo più sistematico, semplificando lo stesso modus operandi degli specialisti di settore. Ma non è tutto, la digitalizzazione degli asset fisici potrà subire una seconda rivoluzione tecnologica, e questa volta arriverebbe da un settore apparentemente inconciliabile con l’arte, quello della finanza.
Blockchain e opera d’arte
Come sappiamo la tecnologia blockchain certifica da oltre un decennio le transazioni economiche su piattaforma bitcoin, e lo fa tanto bene da essere riconosciuta come la tecnologia di certificazione democratica più trasparente e sicura al mondo. Trasferire tale livello di garanzia, sicurezza, irripudiabilità e inviolabilità delle informazioni registrate anche al mondo dell’arte, significherebbe trasformare radicalmente metodi e misure previste, ad esempio, nel contrasto alla contraffazione e al mercato illegale di opere d’arte. Quanto è importante che le informazioni storiche afferenti ad un bene artistico siano tenute al riparo da manomissioni? Quanto è determinante che la stessa opera d’arte, in qualità di asset digitale univoco, sia riconducibile ad un legittimo “proprietario”, per quanto attiene anche a studi e ricerche rispetto al bene stesso, su un registro distribuito e certificato in blockchain? O che il valore economico ad essa associato sia validato da operatore d’arte, competente e ufficialmente riconosciuto, e venga registrato indelebile con la sua firma inoppugnabile?
Si tratta di domande retoriche, dalla risposta ovvia, ciò che ancora non è colto e diffuso presso l’opinione pubblica, però, e, spesso, anche presso gli stessi operatori del settore, è che lo strumento da adottare, frutto dell’evoluzione tecnologica, ora è disponibile e il percorso aperto. Questo contesto vede ADAMANTIC, in qualità di maggiore player nazionali attivo nell’applicazione della tecnologia blockchain ai beni culturali, protagonista, a fianco del MiBACT, della fase progettuale della piattaforma web già predisposta alle future implementazioni, tese a rendere concretamente reale lo “strumento” del software.