Manel, ossia convegni in cui presenziano solo uomini. Se ci s fa caso ce ne sono ancora molti. C’è chi ha cominciato a dire di no. E’ da questi no che si può cominciare a cambiare le cose
E’ notizia di oggi che il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha rinunciato a partecipare a un tavolo di lavoro cui avrebbero partecipato solo uomini: “Mi scuso con organizzatori e partecipanti, ma la parità di genere va praticata anche così: chiedo di togliere il mio nome alla lunga lista.Spero in un prossimo confronto. Non dimezzato, però”.
Un gesto significativo che riporta l’attenzione su una questione centrale: l’assenza di donne in moltissimi luoghi dove non solo si prendono decisioni ma dove si discute di come e se pendere queste decisioni.
Che cos’è un Manel
C’è una parola inglese che viene comunemente usata quando a un convegno partecipano solo uomini: manel che deriva dalla unione tra la parola “man” e la parola “panel”.
Riflettendoci (fateci caso) ce ne sono tante di fotografie di tavoli di lavoro con soli uomini o dove le donne solo l’esigua minoranza. Per invertire la tendenza a volte basta un no.
Gesti semplici che possono però cambiare abitudini sbagliate che ci dicono che le donne sono bravissime a organizzare, a rendere l’evento perfetto, ma poi non compaiono mai in prima fila. Non fanno vedere quanto sono brave.
Ne avevamo parlato in questo articolo di Patrizia Caraveo, scienziata di fama mondiale che ci raccontava del disagio che si prova ad essere l’unica rappresentante donna a convegni: “Anche nei campi dove le donne sono in numero adeguato, la scelta degli speaker di grido cade sempre sui soliti noti. Quando mi capita di essere nel comitato organizzatore di una conferenza, o di conoscere qualcuno che ne fa parte, non manco di fare notare che, oltre a tenere conto del bilancio tra le nazionalità e tra i campi di interesse, bisogna prestare attenzione all’equilibrio di genere (e alle minoranze)”. “Oltre ad eliminare atteggiamenti sanzionabili (ma purtroppo comuni), – scriveva Caraveo – si tratta da dare a tutti e a tutte le stesse possibilità di crescita eliminando le discriminazioni (forse inconsce, forse no) che rendono difficile la progressione di carriera delle donne che spesso denunciano di dover lavorare in un’atmosfera poco amichevole che tende ad isolarle”.
Ricordiamo che ci sono associazioni e gruppi di lavoro (Unstoppable Women è tra questi ma voglio evidenziare anche il bellissimo lavoro di 100 esperte) che si occupano di dare voce a donne di talento che sono preparate e pronte per parlare di qualsiasi argomento di interesse pubblico, che si tratti di politica o scienza, che si tratti di sport o economia. Le donne ci sono, e non sono poi così “introvabili”.
Lo scienziato che boicotta i Manel
Il ministro Provanzano – per fortuna – non è il solo ad aver deciso di non voler partecipare a eventi con soli rapprsentanti uomini.
Un nome tra tutti è quello dello scienziato Francis S. Collins, direttore del National Institute of Health (N.I.H.), una istituzione prestigiosa e importantissima che domina il panorama ricerca biomedica americana e che ha scelto di boicottare i manel. La sua decisione è arrivata dopo la pubblicazione di un testo della National Academy of Sciences, Engineering and Medicine intitolato “Sexual Harassment of Women: Climate, Culture, and Consequence in Academic Science, Engineering, and Medicine” dove si denunciava una situazione imbarazzante dove circa il 20% del personale diceva di avere subito pressioni o di essere stato discriminato. Collins, molto provato da quanto letto, ha deciso che era arrivato il momento di fare un piccolo gesto e lo ha fatto mettendo nero su bianco un suo codice di condotta che potete leggere in questo articolo dal titolo Time to End the Manel Tradition. Ne proponiamo un estratto augurandoci che siano in molti a seguire questa strada.
”Too often, women and members of other groups underrepresented in science are conspicuously missing in the marquee speaking slots at scientific meetings and other high-level conferences. Starting now, when I consider speaking invitations, I will expect a level playing field, where scientists of all backgrounds are evaluated fairly for speaking opportunities. If that attention to inclusiveness is not evident in the agenda, I will decline to take part. I challenge other scientific leaders across the biomedical enterprise to do the same. The diversity of bright and talented minds engaged in biomedical research has come a long way – and our public engagements need to catch up. Breaking up the subtle (and sometimes not so subtle) bias that is preventing women and other groups underrepresented in science from achieving their rightful place in scientific leadership must begin at the top”