Per avere mezzi con autonomia sufficiente, la sfida è ottimizzare le batterie utilizzando materiali non troppo costosi e facili da reperire
Sono una sostenitrice della mobilità elettrica e, da anni, guido un’auto ibrida. Sono convinta che i mezzi di trasporto elettrici, siano essi bus, camion, auto, scooter, monopattini, bici a pedalata assistita, siano una soluzione per cercare di abbassare la produzione di anidride carbonica, ovviamente a patto che l’energia elettrica sia prodotta in modo rinnovabile. Per avere mezzi con autonomia sufficiente, la sfida è ottimizzare le batterie per immagazzinare abbastanza energia in volumi ridotti e dal peso non esagerato, utilizzando materiali non troppo costosi e facili da reperire. Bisogna anche investire con decisione nelle infrastrutture per la ricarica rapida.
Tuttavia, il numero sempre crescente di veicoli elettrici che sono (o presto saranno) sul mercato testimonia quanto le case costruttrici abbiano fiutato il business dell’elettrico non più visto come uno sfizio per pochi ma piuttosto come una soluzione adatta alle esigenze di tutti.
La corsa contro il tempo di Daimler e Tesla per produrre il primo camion elettrico, che ha visto la vittoria della casa tedesca, testimonia che siamo entrati nell’era della mobilità elettrica. Tuttavia, ci sono mezzi di trasporto che sono estremamente difficili da convertire all’elettrico, vuoi perché hanno bisogno di moltissima autonomia (come le navi), vuoi perché non possono essere troppo pesanti pur dovendo avere molte ore di autonomia (come gli aerei).
In effetti, gli aerei sono un caso molto interessante. Mentre è vero che il trasporto aereo contribuisce alla produzione totale di anidride carbonica per appena il 2%, la lotta al cambiamento climatico si fa anche con gli zero-virgola. Che fare, allora? Rinunciare ad usare l’aereo? Io non sono di questo parere e sono sicura che tutti coloro che hanno preso l’aereo per i loro spostamenti di fine anno sono d’accordo con me. Ho quasi litigato con un vecchio amico francese che cercava di fare sentire colpevoli dei colleghi giapponesi dicendo loro quante tonnellate di CO2 erano state emesse durante il viaggio in aereo che avevano fatto per venire a prendere parte alla riunione della nostra collaborazione a maggioranza europea, ma con addentellati in tutto il mondo.
Per progettare e costruire grandi osservatori internazionali bisogna viaggiare, cercando di farlo nel modo migliore possibile. Si può iniziare dalle piccole cose come accettare di pagare il contributo extra che alcune compagnie più attente all’ambiente chiedono su base volontaria ai loro passeggeri che, in questo modo, partecipano ad un programma di rimboschimento in qualche parte del mondo. E’ un primo passo, ma, onestamente, non so quanti lo facciano. Diciamo che, per fortuna qualche buon esempio “istituzionale” si trova. Consideriamo il caso del prossimo campionato europeo di calcio UEFA Euro 2020 che verrà giocato in 12 diverse città europee. Le prescelte sono Copenaghen, Bucarest, Amsterdam, Dublino, Bilbao, Budapest, Glasgow, Bruxelles, Baku, Roma, Monaco di Baviera, San Pietroburgo e Londra. Il gruppo A, dove giocherà l’Italia, si terrà tra Roma e Baku, in Azerbaigian. La scelta di avere sedi multiple implicherà moltissimi viaggi (per lo più in aereo) sia delle squadre, sia delle ben più numerose tifoserie. Il Presidente della UEFA ha annunciato che, per pareggiare l’emissione prevista intorno alle 400.000 tonnellate di CO2, verranno piantati 60.000 alberi in tutta l’Europa. Un bel gesto a seguito di una decisione che molti hanno criticato, proprio per la proliferazione di viaggi che comporta. Tuttavia, credo sia ingiusto puntare l’indice solo su UEFA Euro 2020, è tutto il grande business dello sport che si sposta in continuazione: pensiamo al campionato di Formula 1 oppure alla coppa del mondo di sci. Muovono miliardi, ma producono anche tonnellate di CO2 ( e non so se piantano alberi).
Per diminuire l’inquinamento da viaggi aerei, bisognerebbe agire alla radice e fare sforzi per rendere più ecologico il carburante.
Una collaborazione tra le Università di Harvard e Stanford propone un approccio circolare basato sul riutilizzo della CO2, che grazie all’uso di elettricità e di un nuovo catalizzatore, può essere trasformata in modo efficiente in CO (liberando un atomo di ossigeno). Questo è il primo passo per produrre carburante sintetico, ma, fino ad ora, il processo di trasformazione della CO2 in CO richiedeva molta energia elettrica e solo una piccola frazione delle molecole di CO2 diventavano CO. Inoltre, una frazione di CO2 perdeva entrambi gli atomi di ossigeno e diventava carbonio puro che si depositava sugli elettrodi e danneggiava la cella elettrolitica. La reazione ha bisogno di un catalizzatore ed è qui la novità. Invece dei catalizzatori al Nichel i ricercatori hanno dimostrato che l’ossido di cerio risolve entrambi i problemi perché porta al 100% la percentuale di CO2 che diventa CO senza liberare il deleterio carbonio.
Visione artistica di una pompa resa inutilizzabile dai danni dovuti all’utilizzo del catalizzatore al nichel mentre quella basata sul Cerio (e sulle…
Usando energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili, si potrebbe puntare a utilizzare l’anidride carbonica presente nell’aria come base per sintetizzare il combustibile che poi, bruciando, la immetterà nuovamente nell’atmosfera. Non si tratterebbe però di un’aggiunta ma piuttosto del riciclo e questo azzererebbe l’impatto dell’utilizzo del combustibile nei viaggi aerei. Sembra una prospettiva allettante e le università di Harvard e Stanford stanno cercando investitori interessati.