L’agenzia presenta Aitken, macchina modulare da 3,69 petaflops che servirà ad aiutare 1.500 scienziati nei complicati calcoli per l’allunaggio del 2024. E a molti altri progetti
La Nasa deve tornare sulla Luna entro il 2024. Questo l’ordine dell’amministrazione Trump, ribadito più volte negli ultimi mesi e amplificato dal capo dell’agenzia spaziale Jim Bridenstine. Ma prima di riportare l’uomo sul satellite – anzi, la prima donna, col programma Artemide – occorre preparare la missione con simulazioni e modelli matematici che mettano in sicurezza l’equipaggio e consentano di replicare l’avventura a cinquant’anni dal primo passo di Neil Armstrong e Buzz Aldrin.
Il supercomputer della NASA
Per questo l’agenzia ha appena lanciato un nuovo supercomputer, battezzato Aitken (qui sopra) e collocato all’Ames Research Center, nella Silicon Valley. Sfoggia un’architettura modulare che ha un vantaggio non da poco, in questi tempi di emergenza climatica: utilizza meno elettricità e dunque meno energia rispetto a (mostruose) macchine simili consentendo comunque ai ricercatori di far girare complesse simulazioni di rotte, traiettorie e allunaggi impattando meno sul pianeta.
Le potenzialità di Aitken
Aitken può infatti spingersi a una capacità di calcolo teoria di 3,69 petaflops, monta 221 TB di memoria, 1.150 nodi e 46.080 core per svolgere i suoi calcoli. A muoverlo un sistema Hpe Sgi 8600 basato sulla seconda generazione di processori Intel Xeon.
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A concludere il gioiello, in termini di reti e collegamenti, lo standard InfiniBand di Mellanox. Non servirà solo a occuparsi del ritorno sulla Luna, primo punto all’ordine del giorno specialmente per quanto riguarda le procedure di avvicinamento, allunaggio e decollo per il rientro (il 2024 preteso da Donald Trump significa più o meno domani mattina per i tempi spaziali), ma anche ad altri progetti legati alla struttura del Sole o a mezzi di trasporto avveniristici. Sarà comunque a disposizione di 1.500 scienziati e ingegneri da tutto il Paese.
Non è ovviamente il primo progetto ecofriendly della Nasa. L’agenzia spaziale alterna piani avveniristici a mosse molto pratiche, per cambiare volto alle diverse sedi in cui opera. Qualche anno fa aveva per esempio proposto Procsima, un sistema di propulsione pensato per raggiungere Proxima Centauri (la stella più vicina alla Terra dopo il Sole) in 42 anni, al 10% della velocità della luce grazie a un raggio laser e un fascio di particelle neutre che avrebbero dovuto spingere le sonde verso distanze ai limiti dell’immaginazione.
La missione verde dell’agenzia
Ma a parte i progetti avveniristici, Nasa ha appunto messo in pratica numerosi progetti per mitigare l’impatto delle sue ricerche e dei suoi impianti. Fra i molti quelli legati alla riduzione degli agenti inquinanti e contaminanti attraverso un mix di microorganismi proprio nel centro di Ames, uno dei dieci maggiori impianti di ricerca situato all’aeroporto Moffett Field, sempre in Silicon Valley.
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D’altronde, diventare più verde è per la Nasa un obbligo e non certo un’operazione di “greenwashing” d’immagine: un ordine presidenziale esecutivo, il 13423 del 2007 firmato da George W. Bush, poi rimpiazzato nel 2015, prevede per l’agenzia federale una serie di azioni: dalla mobilità ibrida all’uso di carburanti alternativi passando per la riduzione dell’intensità energetica e delle emissioni di CO2, l’incremento di approvvigionamento da fondi rinnovabili, il taglio nell’uso dell’acqua e così via.
Il nuovo supercomputer, per esempio, collocato all’esterno degli edifici principali, sfrutta un sistema misto di raffreddamento ad aria, acqua e ovviamente di ventilatori. Ricalca un altro progetto dell’agenzia, quell’Electra sperimentato nel 2016 che ha condotto al risparmio di due milioni di Kilowattora di potenza e oltre tre milioni di galloni d’acqua solo nel 2018. Si tratta per altro del primo pezzo di un sistema potenziale di 16 moduli che potranno così aumentare di anno in anno la capacità di calcolo a disposizione degli studiosi.
Il propellente verde
Non solo riduzione delle emissioni a Terra, come si diceva, anche in ambito informatico. Un altro programma, il Green Propellant Infusion Mission gestito per conto dell’agenzia dalla Ball Aerospace, lascia per esempio ben sperare rispetto a un approccio sempre più sostenibile ed efficiente ai voli spaziali. La serie di missioni, svolta con piccoli mezzi spaziali grandi come frigoriferi, ha il compito di sperimentare in orbita un propellente verde a bassa tossicità che potrebbe migliorare le performance delle future missioni sulle lunghissime distanze utilizzando un minore quantitativo di carburante.
Uno dei piccoli mezzi è partito lo scorso giugno a bordo di un Falcon Heavy di SpaceX dal Kennedy Space Center in Florida. “Con un propellente verde, il carico dei veicoli di lancio e quelli spaziali sarà più sicuro, veloce e meno costoso” scrivono dall’agenzia. Dalla riduzione dell’impatto, a Terra come nei consumi spaziali, passa buona parte del futuro dell’esplorazione spaziale.