La tecnica pare rivoluzionaria ma fu inventata dagli antichi romani. “Se le persone sapessero cosa c’è davvero dietro ai prodotti che acquistano, spenderebbero in maniera completamente diversa”
Novemila litri d’acqua, o, se preferite, sessanta vasche da bagno. Quando compriamo un paio di jeans, nel conto va messo anche quello che serve per produrli. «Chiedersi da dove viene quello che compriamo ha il potere di cambiare il corso della moda». Parola di Matteo Ward, 30 anni, Ceo e cofondatore della startup italiana Wrad. Un marchio, una filosofia: allineare gli acquisti ai nostri valori etici.
Che cos’è Wrad, la startup della moda sostenibile
L’illuminazione Ward l’ha avuta dopo anni passati a lavorare per marchi molto conosciuti. Così, tra un discorso e l’altro, e assieme ai soci Victor Santiago e Silvia Giovanardi, nel 2015 crea una pagina Instagram attorno a cui si raccoglie una piccola comunità di persone interessate a saperne di più sui costi ambientali e sociali dell’essere fashion victim: è nata Wrad.
«E’ andata proprio così. Un bel giorno ci siamo trovati attorno a un tavolo a considerare che facevamo parte di una delle industrie più inquinanti del pianeta – racconta il founder – Nella moda c’è un problema di asimmetria informativa: se le persone sapessero cosa c’è realmente dietro ai prodotti, e che qualcuno muore a causa del modo in cui si produciamo e consumiamo, si approccerebbero agli acquisti in maniera completamente diversa».
Da pagina Instagram a startup innovativa il passo è breve
Nel 2016 quella che era una pagina Instagram cambia pelle e si trasforma in startup innovativa grazie alla collaborazione di alcuni partner, prima tra tutti Susanna Martucci, Ceo di Perpetua. «Appena diventati azienda, iniziamo un programma di ricerca e sviluppo per portare innovazione nel campo tessile. E scopriamo che i Romani tingevano le stoffe utilizzando i minerali, ad esempio la grafite». Martucci, già attiva nel settore, spiega che oggi viene scartata in grandi quantità: è un sottoprodotto di molte lavorazioni industriali, e deve, peraltro, essere smaltita. Perché non provare a recuperarla?
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«Con Susanna in due anni e mezzo siamo riusciti a inventare una nuova supply chain circolare capace di rimettere in gioco la grafite avanzata dalle lavorazioni e a utilizzarla per poter trattare e tingere tessuti” prosegue Ward.
A questo punto la startup innovativa cambia nuovamente pelle, e diventa brand, cominciando a disegnare prodotti in proprio. Il primo risultato è una maglietta grigia, Graphi-Tee.
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Ad aiutare il giovane imprenditore veneto sono state le donne di Monterosso Calabro, paesino di 1600 anime in provincia di Vibo Valentia. «Lì c’è la miniera di grafite da cui attingevano ai tempi di Roma. Le donne, senza che nessuno lo sapesse, di generazione a generazione si sono tramandate l’usanza di tingere i tessuti con i minerali, e ce l’hanno insegnata». A oggi, dicono in azienda, il progetto avrebbe consentito il recupero di 16 tonnellate di grafite destinata ad essere sotterrata. «Ma abbiamo anche recuperato un pezzo di storia tessile italiana che altrimenti sarebbe andato sepolto in discarica”.
«Una t-shirt che dura 200 anni? Impossibile»
Le magliette di Wrad non sono per tutti. Almeno, non per chi è abituato a spendere pochi spiccioli. «Ma il punto è che nessuna maglietta costa davvero tre euro. Il prezzo lo stanno pagando direttamente l’ambiente e la persona che l’ha cucita. Oltre al fatto che un capo realizzato con cura dura di più, mentre una t-shirt in poliestere si butta dopo tre utilizzi e resta nell’ambiente come rifiuto per 200 anni. E noi, che negli ultimi due decenni ci siamo dimenticati di chiedere ai brand come è possibile che ogni settimana arrivino sugli scaffali migliaia di capi che costano così poco, siamo sommersi da questa schifezza”.
L’energia dei teenagers ci salverà dal futuro?
Chi è più sensibile a queste tematiche? Ma i giovani, naturalmente. “Millenials e Generazione Z si stanno dimostrando sempre più interessati alla provenienza di quello che indossano” spiega Francesca Romana Rinaldi, docente di Strategy and Fashion Management alla Bocconi, a margine di un convegno sulla sostenibilità organizzato da Endeavor nel corso della Milano Design Week.
“I giovani prediligono i brand che riescono a creare un legame emotivo con loro, anche attraverso eventi, influencer, video”. Ma la sostenibilità paga? “Direi di sì, non è solo un’ottima mossa di marketing: a fronte di un investimento iniziale, può consentire risparmi importanti sul piano dei processi, pensiamo ad esempio all’utilizzo di energia rinnovabile. Ma ci sono alcune condizioni-chiave: bisogna unire etica ed estetica, e raccontarlo bene. Non si tratta solo di tracciabilità, trasparenza e circolarità, ma anche di realizzare prodotti piacevoli: in mancanza di uno di questi elementi, il circolo virtuoso non si attiva”.
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Intanto, Wrad viaggia col vento in poppa. Primo round nel 2016 da 300mila euro, secondo in arrivo. Tutti i capitali, per ora, arrivano dalla “tripla F” che ha fatto la fortuna di tanti startupper: family, friends and fools. Quest’anno si punta a raggiungere il break even. E con un fatturato che, a febbraio, ha già raggiunto quello del 2018, la direzione pare proprio quella giusta.