Sono circa 800 nel nostro paese, in massima parte con pochi dipendenti. Un imprenditore milanese prova a unire business e ricadute sul territorio
“Ma questa Nespresso è italiana, vero?” chiese la mamma dubbiosa, sorseggiando un caffè. Non immaginava certo, la signora, una risposta negativa. Dalla domanda della genitrice, ignara che l’azienda pubblicizzata da George Clooney facesse capo alla multinazionale elvetica Nestlè, nacque l’idea; il resto l’ha fatto la visione di un imprenditore che ha scommesso sul caffè in capsule quando si trattava ancora di un prodotto prettamente aziendale, consumato, cioè, in prevalenza negli uffici.
Un brand in franchising partito d Buccinasco, in provincia di Milano e arrivato fino al Marocco, Kuwait City e Singapore. E pronto a espandersi in altri paesi. Lui è Umberto Gonnella, fondatore e amministratore delegato, l’azienda è 101Caffè, franchising specializzato nella vendita di capsule e cialde della bevanda calda più amata nel mondo occidentale, inseparabile compagna di notti insonni e risvegli precoci.
L’idea, si diceva, è nata sulla scia del successo di Nespresso. Naming italianeggiante, brand – però – svizzero. “Non si può negare che è stato il lavoro di marketing di Nestlè a livello globale ad aprire un mercato, quello delle cialde/capsule, prima marginale – racconta a StartupItalia! – E dato che mancava un soggetto nostrano in un settore che da sempre rappresenta un vanto per il paese, ho pensato di provarci io”.
Sette anni fa i primi negozi, anticipando un trend importante. La domanda di caffè macinato e in grani è calata in tutta Europa – lo testimonia la chiusura degli stabilimenti dove si producevano gli storici marchi Hag e Splendid nel torinese – ma al pubblico la bevanda continua a piacere.
Caffè: il macinato scende, ma le capsule vanno forte
“Invece di trasferire la produzione all’estero, mi sarei augurato che la fabbrica venisse riconvertita per la produzione di queste tipologie di prodotto” commenta Gonnella. Perché 57 persone rischiano di restare disoccupate. Ma cialde e capsule vanno forte. E potrebbero rappresentare il futuro anche per una serie di piccole ma significative realtà locali.
“Non dimentichiamo che l’Italia è la patria del caffè. Ci sono circa 800 torrefazioni. Quelle grandi sono una decina, conosciute a livello mondiale. Per il resto si tratta perlopiù di piccole realtà, che vanno dai dieci dipendenti alle ditte individuali, in cui dietro alle macchine lavora una sola persona”. Ogni miscela ha il suo sapore, che deriva dal grado di tostatura e dalla sapienza di chi effettua il processo. Si fatica a sopravvivere.
“E invece stiamo parlando di una ricchezza, in termini di gusto ma anche in termini economici. Per queste attività il problema è uno solo: arrivare al cliente finale. Un problema che noi li aiutiamo a risolvere”. Da qui la scelta di affidarsi a torrefazioni italiane. Quelle del territorio, caratterizzate da dimensioni ridotte e che non possono interfacciarsi con i colossi della grande distribuzione perché non dispongono dei budget e dei volumi giusti, e tantomeno dispongono di una rete di agenti di vendita.
L’azienda di Gonnella, un passato nell’informatica, utilizza packaging riciclabile, fattura 11 milioni e recentemente ha stretto un accordo con Food Empire, multinazionale quotata alla Borsa di Singapore presente in 50 paesi dell’area asiatica per puntare con decisione all’Oriente. Lui ripete il refrain di tutti gli imprenditori che esportano: “C’è grande domanda di Italia all’estero, soprattutto nel food. Ed è un peccato lasciare certi prodotti agli imitatori che di tricolore hanno poco, per non dire nulla”.
I consumatori cominciano ad apprezzare anche le miscele meno pregiate
Produzione in Italia, confezionamento in Italia, funding dall’estero. Ricetta vincente? Nel food, la risposta parrebbe affermativa. Anche se Gonnella ha scontato la ritrosia a investire degli istituti di credito nostrani. “Quelli che – commenta – a parlargli di business plan bisogna fargli la traduzione”. E invece si tratta di un mercato che cresce a due cifre, con i grandi gruppi che fanno la fila per entrare nel settore.
Coca Cola ha appena comprato Costa Coffee per 5,1 miliardi di dollari, mentre Lavazza sta per finalizzare l’acquisto di Mars Drinks per puntare al mercato vending delle macchinette. Per non parlare degli accordi tra società con business diversi come quello di Uber con la startup Cargo.
Il futuro, a quanto pare, ha l’aroma dei chicchi più pregiati. E le opportunità si stanno ampliando, se è vero che i consumatori hanno imparato a conoscere e ad apprezzare anche le miscele meno nobili, come la “robusta”. Se poi l’amore per il caffè si accompagna a ricadute significative sul territorio e l’occupazione, la tazzina non può che essere dolce. Anche per chi lo prende amaro.