“Arriveremo a una cifra di investimenti paragonabili a quelli degli USA”. Il neo presidente ci racconta che cosa dobbiamo aspettarci dal mercato Angel europeo nei prossimi 4 anni
Luigi Amati fondatore e amministratore delegato di Meta group, membro del consiglio di amministrazione di Iban e co-fondatore di Italian Angels for Growth, è il nuovo presidente di BAE, la confederazione europea di associazioni e federazioni nazionali di Business Angel.
Business Angel Europe mette insieme le associazioni nazionali e i network di Business Angel più attivi e sviluppati e rappresenta il 90% del mercato dell’Angel organizzato in Europa per un ammontare complessivo d’investimenti stimato in 7 miliardi di euro all’anno. Abbiamo sentito il neo presidente per capire quali saranno gli obiettivi della prossima amministrazione
“Promuovere le attività di angel investing e avvicinare in termini quantitativi gli investimenti europei a quelli americani, coinvolgere sempre più donne, aumentare la collaborazione fra federazioni e club europei. Questi sono i principali obiettivi che ci poniamo per i prossimi 4 anni, inoltre punteremo a ridurre la frammentazione che al momento riscontriamo sul territorio nazionale e lavoreremo ad abbattere le barriere interne all’Europa” racconta Luigi Amati che aggiunge: “Il potenziale cui ci troviamo di fronte è ampio, in molti Paesi europei compresa l’Italia serve però cambiare la cultura e avvicinare il mondo delle startup a quello degli investimenti e soprattutto convincere i tre milioni di High Net Worth Individuals europei (persone con un patrimonio superiore ad un milione di euro) ad investire il 10% del loro patrimonio nell’economia reale delle imprese innovative”.
Intervista
Luigi Amati, che cosa ci dobbiamo aspettare lato investimenti in startup per i prossimi quattro anni in Europa?
Il BAE è nato nel 2012 con lo scopo di essere il punto di riferimento per le associazioni nazionali di Business Angels. Siamo convinti che questo sia un settore su cui puntare l’attenzione perché ha un grossissimo potenziale che non è stato ancora sfruttato. Rispetto agli investimenti che avvengono negli Stati Uniti e alla Gran Bretagna siamo molto indietro: in America ogni anno gli Angels investono circa 25 miliardi di euro in startup innovative, in Inghilterra oltre 1 miliardo in Italia solo 50 milioni. Una cifra troppo bassa in paragone alla popolazione. Arrivare a una cifra di investimenti paragonabile a quella americana non è impossibile ed è un risultato che ci poniamo di avvicinare per i prossimi 4 anni.
Come mai si registra un gap così importante tra Europa e Stati Uniti?
Si tratta di una questione culturale. In Italia in particolare si tende a finanziare le imprese con il debito e a rimanere nell’ambito degli investitori cosiddetti 3F (Family, Friends and Fools – la famiglia, gli amici e gli sciocchi) e non guardare a startup innovative con alto potenziale di scalabilità e ad investitori informali ma esperti quali sono i business angels. Bisogna anche ricordare che in Italia ci troviamo di fronte a un panorama frammentato per quanto riguarda le associazioni, si tratta di invertire questa tendenza e cercare di unire le forze. Proprio per questo con BAE organizziamo ogni anno eventi di cui uno internazionale che quest’anno si terrà in Polonia, proprio perché vogliamo creare attenzione sul tema anche in Paesi dove per il momento è quasi completamente assente la cultura dell’Angel Investing. In Italia terremo a breve un seminario sulle donne Business Angels in collaborazione con IBAN, il 26 giugno a Milano.
Quali obiettivi vi ponete a livello europeo?
Il primo obiettivo è quello di riuscire ad avere un impatto sempre più importante. Come avviene negli Stati Uniti. Per questo serve maggiore organizzazione e diffusione di know how nei Paesi di riferimento. Il motore delle startup sono i business angels e devono esserlo sempre di più. Vogliamo lavorare a un mercato unico, serve abbattere le frontiere e arrivare a quello che chiamerei “passaporto europeo del business angel” ovvero a permettere ad ogni business angel di investire ovunque in Europa senza differenze fiscali e legali, questo aiuterebbe a diffondere tra le stesse startup e tra gli imprenditori la propensione alla scalabilità a livello internazionale.
Quali possibilità per l’Italia?
Credo che sia un segnale importante il fatto che la fiducia dei membri della commissione del BAE sia caduta su di me e su un nome italiano. Sicuramente questo darà all’Italia la possibilità di crescere e di essere al centro di alcuni eventi importanti. Un ruolo importante lo avrà la politica. In Italia sul tema startup si è fatto tanto ma si può fare di più guardando a soluzioni sulla tassazione come quelle adottate in Gran Bretagna.
In che cosa si distinguono le startup italiane rispetto al panorama europeo? Quali le caratteristiche positive e quali quelle negative?
Le imprese italiane si distinguono per la qualità dei contenuti. Le nostre startup sono perfettamente allineate agli standard di qualità delle altre startup europee e americane. Creatività, attenzione e lavoro di squadra sono il nostro punto di forza. Manca la propensione alla scalabilità internazionale. Guardiamo troppo al mercato nazionale e la tassazione non aiuta. E’ su questi aspetti che bisogna lavorare creando connessioni tra business angels e venture capitalist.