Il cognitive computing connette le scienze cognitive e l’informatica, con l’obiettivo di simulare processi di pensiero umani attraverso modelli computerizzati. L’analisi di P101, fondo di venture capital
Ciascuno di noi genera quasi un gigabyte di dati ogni giorno. Questa immensa mole di dati contiene un’incredibile quantità di informazioni che oggi possiamo estrarre e conoscere solo grazie al cognitive computing. Il cognitive computing connette le scienze cognitive (ovvero lo studio dei processi del cervello umano) e l’informatica, con l’obiettivo di simulare processi di pensiero umani attraverso modelli computerizzati. Insomma, usando algoritmi di auto-apprendimento che sfruttano sistemi di data mining, pattern recognition e l’elaborazione del linguaggio naturale, il computer può imitare il modo in cui funziona il cervello umano.
Diagnostica medica, retail, energia
Gli impieghi immaginabili dei computer cognitivi sono molti e appartengono agli ambiti più diversi: nel campo della diagnostica medica, le applicazioni basate su cognitive computing potranno affiancare i medici nell’analisi dei dati relativi agli esami di laboratorio del paziente, interpretandoli alla luce delle ricerche più aggiornate, fornendo risposte utili a elaborare diagnosi precise e terapie efficaci. Possibili usi si possono prevedere anche nel retail, con la realizzazione di “personal shopper virtuali” capaci di sfruttare i Big Data e tutte le informazioni che ogni persona lascia lungo il proprio percorso, incrociarli con quelli riguardanti il contesto in cui si opera e arrivare così ad offrire al cliente il prodotto giusto al momento giusto, il consiglio perfetto. In altre parole, grazie alla tecnologia, si arriva a pensare come i propri clienti proponendo così esperienze di shopping completamente personalizzate. O ancora, le multinazionali dell’energia, che si trovano a “interrogare” e analizzare una gran mole di dati disponibili sotto forma di tabelle, immagini, progetti, testi, potranno finalmente accelerare il lavoro (e tagliare i costi) utilizzando un linguaggio naturale, che il computer sarà in grado di capire.
Il passaggio successivo alla trasformazione digitale
Non è un caso che le grandi realtà dell’informatica come IBM, Microsoft, Cisco e Google hanno già lanciato alcuni promettenti progetti. E in Italia? «Dei sistemi cognitivi tutti parlano in Italia, ma di fatto il Paese è ancora indietro in termini di applicazioni» dichiara Enrico Cereda, AD di Ibm Italia, in un’intervista per Repubblica. «Tecnicamente, rappresentano il passaggio successivo alla trasformazione digitale che buona parte delle imprese, pubbliche e private, stanno affrontando in questi anni. Chi prima o chi dopo è da qui che deve passare». Proprio in Italia, Ibm realizzerà il primo Centro di eccellenza europeo di Watson Health, all’interno del progetto Human Technopole. Tra gli ambiti in cui opererà il Centro di Watson Health, vi sono gli strumenti di oncologia predittiva, gli studi sulle malattie neurodegenerative e le terapie virali, con la possibilità di utilizzare tutti i brevetti IBM, nella prospettiva di creare un circolo virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato.
Vantaggio competitivo senza precedenti
Il cognitive computing, o la terza era dell’informatica (dopo quella delle macchine capaci di fare di conto dei primi del Novecento e quella dei sistemi programmabili degni anni Cinquanta), apre nuovi scenari e nel prossimo futuro avrà un impatto rivoluzionario. Le tecnologie cognitive potranno infatti (anzi, lo stanno già facendo) risolvere problemi che i sistemi di analisi tradizionali non sono in grado di affrontare. Il fatto che tali macchine siano in grado di confrontarsi con dati così numerosi ed eterogenei che non potrebbero mai essere analizzati in altro modo è ciò che di disruptive c’è in questo settore, e che permette alle società e istituzioni che utilizzano tali sistemi di ottenere un vantaggio competitivo senza precedenti.