La società che recensisce tutto online ha deciso di ridurre gli investimenti all’estero. Yelp ha avvisato i city manager italiani con una video call, da quanto risulta a Startupitalia.eu
Una video call. Durata qualche minuto. Secondo quanto hanno detto a Startupitalia.eu alcune persone vicine allo staff di Yelp Italia, tanto è bastato ai manager californiani per avvertire i 4 community manager italiani che l’azienda avrebbe fatto a meno del loro lavoro secondo i nuovi piani di sviluppo. Con loro altri 171 dipendenti in tutta Europa. Licenziati? Non al momento. Da quanto ci risulta sono tutti assunti a tempo indeterminato con srl locali. Ed è praticamente impossibile capire modalità e tempistiche. Quello che è certo è che Yelp, da subito, si concentrerà solo sugli Stati Uniti. Facendo a meno del resto, dove il loro business model non ha funzionato. Via mail l’azienda ci ha confermato il piano di ritiro.
Arrivato in Italia a settembre 2011, Yelp è noto come un sito che recensisce tutto. Ristoranti, parrucchieri, carrozzerie, veterinari. Tutto. Nato nel 2004, è stato tra i primi siti ad espandersi a livello globale dopo la bolla dotcom. 4mila dipendenti in 32 paesi nel mondo e 550 milioni di fatturato nel 2015. Una crescita del 42%. Ma quasi solo negli Usa. I risultati fuori dagli States sono sempre stati negativi. Dal 2010 ad oggi. E l’azienda ha deciso di prendere le contromosse.
Yelp non ha in Italia una struttura vera e propria. C’è una Srl, ma non ha una sede. Ma ha 4 community manager divisi tra Roma, Firenze e Napoli e un sito che fa circa 600mila utenti unici al mese. Loro e gli altri 175 colleghi non rientrano nei piani di Yelp, che ha deciso di tagliare questi costi fuori dagli Stati Uniti, come recita la nota ufficiale agli investitori.
Cosa fa un community manager e perché ne faranno a meno
La loro figura è un po’ quella intorno alla quale ruota il marketing di Yelp. Il community manager è un ambasciatore dell’azienda. In ciascuna città, più o meno. Organizza incontri, feste, qualunque cosa possa tenere viva l’attenzione del pubblico verso la vita e il tempo libero di una località. Il community manager ideale, aveva detto nel 2011 a Wired Italia Miriam Warren che lavora a Washington, «scrive bene, è una sorta di diplomatico, un Pr, si rapporta con chi gestisce i negozi».
Questo modello, che negli Usa va bene ed è solido, ha fallito in Europa. Secondo quanto risulta a Startupitalia.eu, ai dipendenti la difficoltà dell’azienda a crescere in Europa era chiara da anni. «Gli eventi dovevano essere creati a budget zero e per tutti era una ricerca disperata di sponsor per finanziarli. Era impossibile farli. In Europa non si trovano così facilmente finanziatori di eventi che investono così nel loro marketing». In questi eventi si sarebbero dovuti incontrare gli appassionati delle recensioni.
Vedersi dal vivo in luoghi mirati, creare una community offline che rafforzasse quella online. Yelp, che negli Usa non ha quasi rivali, in Europa ha dovuto scontrarsi con modelli di giganti come Tripadvisor. Che fa sempre recensioni, ma con tutt’altro modello. E dopo 5 anni di tentativi, il conto della sfida si è fatto salato.
La posizione ufficiale di Yelp: «Colpa nostra»
Jeremy Stoppelman, ceo di Yelp, ha giustificato così la scelta della società: «Mentre il nostro business domestico continua ad andare bene, quello internazionale ha ridotto le prospettive di crescita». Il risultato? «Abbiamo deciso di ridurre gli investimenti fuori dal mercato domestico. Non è stata una decisione facile e potrà avere un impatto sui 175 dei dipendenti all’estero. Il loro lavoro è stato eccellente. Non altrettanto la nostra strategia».
Ma c’è di più, e lo ha detto l’azienda contattata da Startupitalia.eu. «Abbiamo intenzione di mantenere i nostri impegni e la nostra crescita negli uffici di Londra e Amburgo e di mantenere attivi i siti e l’app. Ci stiamo ritirando da tutti gli altri paesi, compreso l’ufficio di Dublino. In Italia non abbiamo alcun ufficio da chiudere».
Yelp resterà attiva in Europa. Aspettando un ritorno
Intanto i dipendenti sono chiusi a riccio. Nessuno parla. Nessuno è autorizzato a rilasciare alcuna dichiarazione. In Italia e all’estero. Anche con gli ex dipendenti è difficile parlare.
Alcuni ci hanno detto che non possono dire nulla perché alla chiusura formale del contratto hanno dovuto firmare un ulteriore contratto in cui si impegnavano per due anni a non parlare dell’azienda con la stampa in alcun modo. Quello che si sa è solo che e che siti e app resteranno attive. Ufficialmente in attesa di un possibile ritorno dell’azienda in Europa.
Il caso della dipendente licenziata dopo un post
Yelp non è nuova a far discutere di sé per questioni che riguardano i suoi dipendenti. Lo scorso febbraio licenziò una sua dipendente (in realtà una nuova dipendente, assunta dopo l’acquisizione di un’altra startup) per aver contestato su Facebook la sua paga? Aveva scritto così: «Hai appena speso 300 milioni di dollari per comprarti una app che ti porta il cibo e casa e una delle tue impiegate non ha nemmeno i soldi per fare la spesa». Fuori in pochi giorni. Licenziamento confermato dall’azienda. Il ceo Jeremy Stoppelman negò che fosse motivato da quel post ma si rese necessario per eseguire il piano di riassetto dovuto all’acquisizione dell’azienda di cui era dipendente la 25 enne.
Ad ogni modo resta da registrare l’ennesimo scricchiolio in alcuni modelli di quella che chiamiamo economia digitale. Difficile non ricordare i fatti più recenti come Foodora, Pizzabo o Uber per citarne solo gli ultimi. Mentre pare che gli ex dipendenti da tutta Europa di Yelp si stiano organizzando su Facebook per uscire nelle prossime settimane con un post pubblico da diffondere alla stampa europea in cui racconteranno le loro esperienze. E le loro condizioni di lavoro.