Intervista al presidente di Italia Startup sul 2015 delle startup italiane, dai round milionari con investitori internazionali alle exit più significative. Ma «nel 2016 dobbiamo puntare a 1 miliardo di investimenti»
Il 14 dicembre Milano diventerà per un giorno la capitale delle startup italiane, con le 100 migliori del 2015 e dove sarà scelta la migliore di tutte. In giuria all’Open Summit di Startupitalia ci sarà anche il presidente di Italia Startup, Marco Bicocchi Pichi.
Un passato da manager in multinazionali dell’informatica e della consulenza strategica, Bicocchi Pichi è imprenditore e business angel. Dopo le dimissioni di Riccardo Donadon è lui da giugno la nuova guida di Italia Startup, l’associazione di riferimento per l’ecosistema startup in Italia. Abbiamo tracciato con lui un primo bilancio di questo 2015.
Com’è stato il 2015 delle startup secondo il suo osservatorio?
«L’evento più significativo rispetto al 2014 e vedere che sta iniziando ad arrivare qualche round importante, penso all’ultimo in ordine di tempo, Moneyfarm, ma anche Satispay e Doveconviene. Ci sono stati molti round a sei zeri, anche con la partecipazione di investitori internazionali».
Quali sono le 3 startup che hanno fatto meglio nel 2015, e perché?
«Difficile fare classifiche. E anche nella mia veste di presidente di Italia Startup preferirei non farle. Posso dire che in questo anno abbiamo visto delle cose interessanti, da parte di Musement, ad esempio nel settore del turismo. Ecco, diciamo che mi ritrovo in quelle scelte a scaleIT, le startup che sono entrate nel club della crescita insomma. Le migliori startup sono quelle che riescono a emergere nelle scale up. Penso anche al fenomeno FacilityLive, che in questi anni ha raccolto già 15 milioni, è nella European Internet Foundation (EIF) ed è stata inclusa dalla Borsa di Londra nel suo Elite Program (nato per guidare le aziende alla quotazione, ndr). E poi, come ho già detto, Moneyfarm e le startup che si stanno affermando a livello internazionale nel Fintech. L’evento dell’anno è comunque l’exit di Candy Crush, venduta per 6 miliardi. Una startup di un italiano, anche se cervello in fuga».
Quindi, non proviamo neanche a chiederle quale di queste sceglierebbe come migliore di tutte…
«Lo vedremo a Milano il 14 dicembre (sorride)».
Parliamo dell’Open Summit, allora. Cosa si aspetta da questo evento?
«Sono convinto che sarà una grande opportunità di networking e di festa, utile a superare qualsiasi gelosia o divisione. Mi piace molto il concetto di “open”, fare le cose insieme. Anche nel ricordo di Enrico Gasperini: facciamo bene, facciamo insieme».
Cosa può migliorare nel 2016?
«Il 2016 è l’anno decisivo di Italia2040 (il progetto sul dopo Expo presentato ieri a Milano dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, ndr). Possiamo superare le divisioni e lavorare per un unico obiettivo internazionale, che è anche di ecosistema soprattutto. E poi c’è solo una grande battaglia da vincere, quella del tax expens investment: lo Stato deve agire come investitore, non guardare a quanto si spende adesso ma a quanto può ritornare indietro di questi investimenti.
Miliardi di exit sono miliardi di tasse pagate in capital gain
ovvero una tassa del 26%, non proprio briciole. Lo stato sembra sempre che dia soldi, ma poi alla fine ne riprende. E’ di fatto un socio importante di tutti gli imprenditori italiani. E va bene così, perché se cresce l’impresa cresce il Paese. Proprio per questo lo Stato deve riuscire a smuovere la ricchezza finanziaria degli italiani, farli investire in Italia, essere competitivi. E poi dobbiamo puntare al miliardo di investimenti. Anche se…»
Anche se?
«Sono d’accordo con Marco Cantamessa, ma l’investimento privato non si smuove solo continuando a produrre. Possiamo far crescere la domanda anche con la comunicazione, soprattutto intesa come grande operazione culturale. Ho letto proprio in questi giorni di un sondaggio secondo cui 1 imprenditore su 4 sostiene che Internet non gli riguardi. E’ un grave errore, perché se pensiamo che l’innovazione non ci riguardi allora stiamo dicendo che non ci interessa il futuro. La Francia, ad esempio, non solo investe in startup 5 volte tanto quello che investe l’Italia, ma ha messo in bilancio 15 milioni per promuovere la partecipazione delle startup francesi agli eventi mondiali più importanti, dal Mobile World Congress di Barcellona al Web Summit di Dublino. Noi possiamo e dobbiamo fare molto di più».
Aldo V. Pecora
@aldopecora