Intervista a Easton LaChapelle, il ragazzino che a 14 anni si è creato da solo una protesi Robot. Racconta della sua esperienza col Governo USA e gli altri progetti creati con l’azienda che si è creato da solo: Unlimited Tomorrow
Easton LaChapelle è un ragazzo di 19 anni che ha già parecchia storia imprenditoriale alle spalle. A quattordici anni, ha creato la sua prima protesi robotica, una mano bionica confezionata con materiali a basso costo un controller Nintendo, mattoncini Lego, e diversi pezzi stampati in 3D. Quel primo exploit ha messo in moto una catena inarrestabile di eventi che l’hanno portato fra le altre cose, ha progettare un intero arto robotico, da comandare con la mente, essere ricevuto alla Casa Bianca – dove il presidente Obama ha stretto la mano della sua “creazione” – a lavorare per qualche mese alla Nasa e, ultimo ma non meno importante, a fondare una sua azienda, la Unlimited Tomorrow.
L’ho incontrato a Vienna a fine maggio, nel corso del Pioneers Festival dove era uno dei principali speaker. Abbiamo parlato di stampa 3D, Nasa e futuro della robotica.
Easton, oggi hai tenuto il tuo keynote sul palco del festival, all’interno del Palazzo Imperiale di Vienna, davanti a una folla di gente che ti guardava a bocca aperta.
Guardandoti indietro, avresti mai pensato di arrivare dove sei adesso?
Mai, nemmeno nei miei sogni più folli. Voglio dire, mi guardo indietro di cinque anni, e non avrei mai creduto di essere dove sono oggi. Vedere il presidente Obama che stringe la mano a qualcosa che ho progettato, ed avere la possibilità di essere in un posto fantastico come questo, parlare e scambiarsi idee, è fantastico. É difficile dire che cosa porterà il futuro.
Di cosa ti stai occupando al momento?
Sono concentrato soprattutto su Unlimited Tomorrow, l’azienda che ho fondato poco più di un anno fa. È una sorta di continuazione del lavoro che stavo già facendo, ci occupiamo di piattaforme robotiche. Ci sono due volti della società: quello consumer, che riguarda principalmente la stampa 3D di arti robotici, che possono essere usati come protesi o per molteplici altre applicazioni. L’altro lato, che è quello che mi impegna di più al momento, sono i sistemi di controllo avanzato che si integrano con piattaforme esistenti. Si va dai robot che servono per disinnescare le bombe, a macchinari pesanti, ai robot industriali. Un buon esempio è quello degli strumenti per disinnescare le mine. Oggi per il disinnesco vengono usati dei bracci robotici, che hanno fino a 15 movimenti. Si controllano a distanza, usando uno o due joystick. Ma hanno diversi limiti. Prima di tutto, è difficile imparare a usarli. Non è un modo di muovere le braccia naturale, e puoi controllare solo uno o due movimenti alla volta. Così abbiamo messo a punto dei sistemi di controllo più intuitivi, che forniamo come prodotto, assieme a dei servizi che servono a integrare tali sistemi nei robot di disinnesco; questo consente agli arti robotici di lavorare in modo simultaneo, e in maniera molto accurata e precisa. Funzionano trasformando dei movimenti completi reali del corpo umano, in dei movimenti simili fatti dai robot. Abbiamo dei sistemi di feedback che ti consentono di percepire, se stai tirando il filo o stai afferrando qualcosa. Molte delle nostre “braccia” sono simili a quelle umane, con delle appendici per afferrare di tipo antropomorfo.
I tuoi arti robotici potrebbero essere usati anche in altri settori, per esempio, in medicina?
Sì, l’industria medica presenta moltissime possibilità per questo tipo di prodotti. Oggi chi ha un arto mancante può usare una soluzione low-cost come protesi, ma che è meglio di qualsiasi cosa ci sia in giro. Usando la stampa 3D, le nuove tecnologie possono consetire di creare dei “pezzi” estremamente personalizzati, ad una frazione del costo, e oltre a ciò, grazie alla personalizzazione, riusciamo a fare entrare il tutto in uno spazio ridotto, così da renderlo più funzionale. Al momento lavorando su un esoscheletro, un ausilio robotico per aiutare chi è paralizzato a camminare di nuovo. Il bello della tecnologia è che può aiutare a recuperare parti della propria vita, o del proprio corpo, che sono state rese inutili a causa di una disabilità. Il mondo medico, tuttavia, presenta anche delle particolarità che non rendono semplicissimo avvicinavisi. Ci sono un sacco di leggi di cui tenere conto, in particolare per quanto riguarda la responsabilità legale degli individui e della società. Il fatto di proporre un prodotto in modalità open source, come facciamo noi, aiuta a diminuire la responsabilità, e porla più sulle spalle dell’individuo, che dell’azienda.
Ci parli un po’ della tua collaborazione con la Nasa?
Ho lavorato alla Nasa per circa sei mesi, al Johnson Space Center. Mi hanno chiamato e chiesto se volevo andare a lavorare da loro per l’estate. Li ho lavorato sul progetto Robonaut, che in sostanza, è un astronauta robot. Ce ne sono un paio, oggi, a bordo della stazione spaziale. Per me, è stato un periodo che mi ha fatto aprire gli occhi. Mi ha fatto capire una cosa molto importante: che non volevo lavorare per il governo. Stare in un edificio senza finestre, davanti a un computer, otto ore al giorno, senza poter mai vedere quello che avevo creato, non era proprio il mio genere di vita. Non poteva costruire nulla. Non potevo vedere quello che avevo progettato. Preferisco cercare di trasformare le mie idee in realtà, piuttosto che lavorare al sogno di qualcun altro.
Cosa ne pensi del movimento dei maker e della stampa 3D in generale. È tutto oro quello che luccica, o c’è un po’ di hype?
Penso sia un fatto molto positivo. Sta fornendo risorse e modelli di apprendimento, a chi voglia cimentarsi in questo campo. Ci sono dei mentor e degli spazi dove imparare a usare la stampa 3D. Penso che la parte migliore, sia che ti dà la possibilità di confrontarti con persone con i tuoi stessi interessi, con cui puoi iniziare a collaborare. La stampa 3D, di sicuro, cambia completamente tutta la filosofia di progettazione. E grazie a miglioramenti nella tecnologia di stampa, in qualsiasi tipo di progetto, siamo ora in grado di avere delle strutture interne complesse all’interno dei pezzi prodotti. Si possono creare delle cose fantastiche in questo modo.
Hai già fatto tanto: cosa vuoi diventare da qui a 20 anni?
Per me è importante poter usare la tecnica in maniera positiva. Poter aiutare le persone, sia che siano paralizzate, o gli manchi un arto, o siano anche gente perfettamente normali. Si può adoperare la tecnologia per migliorare il corpo umano, e questo ha tutta una serie di applicazioni in molteplici industrie. Per dire, nelle catene di montaggio si può pensare di potenziare il corpo umano per aiutarlo a sollevare carichi pesanti. L’importante è avere ben chiaro cosa si vuole ottenere dalla robotica. Ci sono un sacco di esperimenti in corso nel settore, ma credo che molti di essi non vero valore pratico.