Prototipazione veloce, stampa 3D e progettazione. Makers, startuppers e curiosi si incontrano a Rovereto per fare innovazione. Secondo I principi dell’Adult Creative Learning
Un’officina per le imprese, un laboratorio artigiano, un posto dove incontrarsi per imparare, e creare innovazione: all’incubatore green Progetto Manifattura di Rovereto (TN) ha aperto Wìtlab, più di 300 metri quadri per uno dei più grandi Fablab d’Europa, un’iniziativa al 100% privata. Siamo andati in Trentino a visitarlo e a conoscere i fondatori, che trascorrono i pomeriggi tra stampanti 3D e tagliatrici laser, mettendo la loro esperienza a disposizione di appassionati, startupper e giovani studenti.
Perché Wìtlab? Il nome nasce dalla fusione di Witted Srl, una delle startup insediate a Progetto Manifattura e da Fablab. Ma c’è di più. <<Tutti i Fablab del mondo devono rispettare il decalogo della Fablab Foundation, dotandosi di strumenti come le stampanti 3D>>, spiega Andrea Saiani, 32 anni, co-fondatore di Wìtlab (e Witted) insieme a Emanuele Rocco e Leonardo Benuzzi.
Noi volevamo qualcosa di più e l’abbiamo trovata nella logica dell’Adult Creative Learning, l’apprendimento attraverso attività pratiche.
<<Un concetto che il MIT esportò da Reggio Emilia, ispirandosi a Reggio Children per l’Adult Creative Learning. Lo abbiamo riportato a casa”>>.
Entrati al Wìtlab colpisce subito la divisione in aree funzionali: immagina, crea, gioca, condividi, rifletti. Una spirale che permette di iniziare il percorso creativo in due modi, spiega Saiani, <<potrei essere uno studente che non sa nulla ma vuole imparare, farsi venire un’idea, perciò comincerò da ‘immagina’. All’altro capo della spirale c’è uno startupper, che ha l’idea per il suo progetto ma non sa come realizzare il prototipo. Può partire dal coding, dal manufacturing, o dall’area di condivisione>>.
Accanto alle stampanti 3D c’è una cassettina piena di oggetti “sbagliati”, pezzi di polilattato, di plastica. Così Wìtlab manda un messaggio preciso, mi spiega Emanuele Rocco, 40 anni, fisico con esperienza di ricerca ad Harvard e oggi Royal Fellow:
L’approccio è quello del tinkering, provare a fare. Tutti arrivano qui con la paura di sbagliare e la cassetta sta lì per questo, fa capire che se sbagliano non succede nulla, si butta via e si ricomincia.
E continua: <<Quando entrano al Wìtlab, specialmente i più giovani, sembra vogliano chiederci dove sono le istruzioni. Nei laboratori scolastici non li fanno provare a fare le cose e questo si ripercuote sugli adulti che diventeranno, terrorizzati all’idea di sbagliare>>.
Al Wìtlab ci sono ragazzi delle superiori che un mese fa non sapevano fare nulla di pratico e oggi lavorano a un prototipo, vogliono fare impresa. Uno di loro, 17 anni, sta scrivendo il brevetto per la sua invenzione. Non ci sono limiti né scuse, Emanuele me lo ribadisce: <<Non c’è nessun ‘in America è meglio’, qui abbiamo il massimo della tecnologia a pari investimento, il segreto sta nel coinvolgere le persone e spiegare loro le nuove tecnologie. Che si tratti del maker, del politico, di un nonno; chi vuole capire può venire qui e toccare con mano>>.
Toccare ad esempio la tagliatrice laser che troneggia vicino alle stampanti 3D, circondata da fogli di pelle e statuine in legno incisi, uno strumento dedicato alla prototipazione veloce. <<Cambiando le punte possiamo metterci dentro le schedine di elettronica e inciderle. Si può fare anche fuori da un Fablab, certo, ma servirebbero mesi. Qui in 20 minuti è fatta e uno studente può vedere subito il risultato – racconta Emanuele – “La tecnologia è quasi vecchia ormai, ma precisa: la risoluzione è di 10 micron, dieci volte maggiore rispetto alla massima risoluzione ottenibile da una stampante 3D>>.
Sul futuro i fondatori hanno le idee chiare: fare scouting e partecipare alle fiere, per dotare Wìtlab di tutte le ultime tecnologie, di prodotti ancora alla fase di developer kit. <<Vorrei che il Trentino, grazie anche alla presenza di Wìtlab, continuasse a produrre ottime aziende hardware che portino innovazione sul territorio e rimangano in Italia>>, spiega Andrea. “In termini di opportunità non abbiamo nulla da invidiare ad altri paesi. Certo mancano gli investitori, ma più che altro ci manca la propensione al rischio. Io, Emanuele e Leonardo abbiamo vissuto per anni all’estero: se qui chiudi un’impresa sei marchiato come fallito e nessuno ti darà più credito, bancario o personale. In Inghilterra e USA aprire e chiudere è all’ordine del giorno e molto più facile, come lo è assumere.>>
Ma grazie agli aiuti territoriali, ai BIC, agli incubatori, oggi se si vuole cambiare il mondo si può decidere di farlo da qualsiasi paese.