Un’organizzazione di Boston, attiva dal 1990, serve pasti personalizzati ai malati poveri. E con un nuovo programma sperimentale insieme a un gruppo di ricercatori promette di insistere sulla strada della massima attenzione alimentare
Il cibo è la prima medicina per il corpo. Sì, è vero: dev’essere – ed è – anzitutto fonte di nutrimento e sostentamento. Poi, in seconda battuta, di piacere e soddisfazione. Ai limiti del godimento. Ma una sua gestione scientifica, anzi medicale, può condurre a miglioramenti sensibili nei livelli di salute pubblica. Lo provano molti studi ma uno, molto piccolo e significativo e in partenza negli Stati Uniti a Boston, Massachusetts, promette di sposare alimentazione, sociale e medicina.
Tutto è iniziato con l’Aids
Al centro c’è Community Servings, un’associazione no profit che da 25 anni consegna pasti a domicilio ai malati poveri. Ha iniziato nel 1990 con quelli affetti da Aids per poi allargare a uomini, donne e bambini alle prese con cancro, diabete, problemi cardiovascolari, renali e di altro genere. Al momento copre mille persone in 20 città americane. Già ora i pasti sono cuciti su misura dei pazienti assistiti, oltre che sul loro retroterra culturale. Presto la personalizzazione promette di andare ancora più in profondità grazie allo studio sperimentale messo in cantiere con un ricercatore del Massachusetts General Hospital e la fondazione Blue Cross Blue Shield of Massachusetts. Cercheranno di curare le persone con il cibo.
Attenzione. Nulla di alternativo o di pericolosamente scivoloso. Si tratta di pazienti che continueranno a seguire le terapie appropriate alle loro patologie. Semplicemente, il piccolo studio-pilota guidato dal dottor Seth A. Berkowitz su 50 pazienti affetti da diabete e in stato di povertà, che abbiano cioè difficoltà a mangiare nel modo giusto, punta ad aprire la strada. A cosa? A un’altra indagine a più ampio spettro che possa capire quanto i pasti ricamati su misura riescano a migliorare le condizioni di salute degli indivividui malati. Tanto per cominciare, di diabete.
Il programma pilota
Gli assistiti riceveranno pasti per tre mesi corrispondenti più o meno la metà del fabbisogno settimanale. Poi, come racconta il Boston Globe, gli scienziati li interrogheranno sul resto della loro dieta per capire quanto i pasti confezionati dagli chef di Community Services avranno inciso nella situazione generale. “Nei primi anni la maggioranza delle persone affette da Hiv e Aids moriva di malnutrizione – spiega al quotidiano statunitense David B. Waters, capo dell’organizzazione – se puoi nutrire le persone, puoi evitarlo. È il primo esempio del cibo come medicina”.
Si andrà dunque oltre quanto già si fa. Che non è poco: una volta a settimana ogni persona riceve cinque pranzi e cinque cene ad hoc più frutta fresca, yogurt, cereali, pane e latte. Così chi vive eventualmente col malato occupandosene ogni giorno e i ragazzi sotto i 18 anni. Quasi tutti i medici che hanno in cura queste persone (96%) hanno riscontrato un miglioramento nelle condizioni di salute dei loro pazienti da quando Community Servings fornisce loro questi pasti. Il che, di conseguenza, ha ridotto le loro ospedalizzazioni e innescato un circolo virtuoso.
Casa e cibo contano, per la salute
L’aspetto interessante è proprio questo. Cioè che le organizzazioni un tempo inquadrate come mere no profit contro la fame stanno assumendo un’inedita centralità nelle strategie di salute pubblica: “Nessuno, nel mondo della salute, voleva incontrarmi fino a tre anni fa – ha aggiunto Waters – poi due trend si sono uniti: un crescente riconoscimento che i fattori sociali, come l’accesso a casa e cibo adeguato, hanno un enorme effetto sulla salute, e una forte ricerca di nuovi canali per ridurre i costi legati alla sanità”. Ecco perché anche diverse compagnie assicurative statunitensi hanno avviato o promosso programmi simili. Puntando sul più economico dei farmaci: una corretta e personalizzata alimentazione che, progressivamente, possa spingere le persone a scegliere e mangiare sempre meglio.