La storia di Viveat, che ha creato etichette intelligenti in grado di dare tutte le informazioni riguardo al prodotto al solo avvicinarsi dello smartphone
In questi primi giorni di Expo si sente tanto parlare di cibo, vino ed eccellenze italiane. In questo contesto ci sono anche (e soprattutto) le startup. Viveat per esempio, una piattaforma per dispositivi mobile pensata per trasformare il mondo del vino, nata dalla sinergia di esperienze di tre giovani amici imprenditori.
Marcello Gamberale, Nicolò Zambello e Giacomo Zucco, esperti di marketing e di Internet of Things. Obiettivo: agevolare – all’interno di wineshop ed enoteche – il racconto di prodotti di eccellenza a potenziali clienti curiosi, che vorrebbero scegliere il vino più adatto ad ogni momento, sicuri di comprare prodotti garantiti. Incuriositi ci siamo fatti raccontare qualcosa in più proprio da uno dei protagonisti: Marcello Gamberale, founder e CEO di Viveat.
Come e quando nasce l’idea di Viveat?
Mi piace pensarla come la preparazione di una nuova ricetta: tutto nasce dall’intuizione. Si inizia ad immaginare che una certa idea possa funzionare e ci si butta a cercare gli ingredienti per trasformarla in realtà. Poi si impara a preparali al meglio e solo alla fine si raccolgono i complimenti e le critiche dei commensali. L’intuizione dietro Viveat era che le aziende dovessero avere uno strumento in più per raccontare i loro grandi prodotti al pubblico. Uno strumento mobile, utile anche a garantire la provenienza di una specialità per tutelare made in Italy e consumatore. Il viaggio è iniziato con il mio amico e socio Nicolò nel settembre 2014, oggi siamo in 6 persone che vogliono crescere costruendo un nuovo modo di vivere il rapporto con ciò che mangiamo. “Fare cose antiche in un modo nuovo, questa è l’innovazione” diceva Schumpeter, un motto di cui abbiamo fatto un impegno quotidiano.
Oltre a te chi collabora al progetto?
Con Nicolò Zambello, co-fondatore e CFO, abbiamo un rapporto umano e professionale di molti anni, siamo passati dai banchi di scuola alla fondazione della nostra prima start-up fino a Viveat. La sua esperienza economico-finanziaria è indispensabile per lo sviluppo dell’azienda. Giacomo Zucco è invece l’anima tecnologica, fisico teorico, appassionato di crittografia fino a diventare uno dei massimi esperti di Bitcoin in Italia, ha creato un ecosistema di sviluppo software altamente innovativo. E Mattia Scaltrini completa la squadra di sviluppo. Pietro Bini Smaghi infine è responsabile delle vendite, esperienza e network sono la sua forza.
Come funziona Viveat?
Grazie all’utilizzo di un qualsiasi smartphone di nuova generazione dotato di lettore NFC, semplicemente avvicinando il dispositivo all’etichetta, il consumatore può ricevere velocemente tutte le informazioni tecniche, la provenienza, gli abbinamenti, i contenuti multimediali interessanti e può procedere con l’acquisto online in un click. La soluzione permette inoltre di tracciare statisticamente la distribuzione del prodotto e, grazie ad un codice univoco, di fornire un’immediata garanzia di sua autenticità.
Viveat utilizza la tecnologia NFC e non il QR Code. Perché questa scelta?
Non ho mai creduto che QR Code potesse diventare uno strumento di uso quotidiano, troppo macchinoso, ci vuole un’applicazione, la luce giusta, distanza, inquadratura, in breve una vera seccatura che in pochi non addetti ai lavori sono disposti a fare. E poi i codici sono facilmente riproducibili, poco adatti anche per l’anticontraffazione. NFC è un protocollo globale leggibile da smartphone senza dover scaricare applicazioni. La sola prossimità genera un’interazione immediata, comodissimo da usare e infatti è la tecnologia scelta dai colossi dei pagamenti contactless. Grazie a NFC pagheremo i nostri conti in ogni esercizio e online, sarà un gesto naturale (come già accade in estremo oriente). Infine NFC ha un contenuto proteggibile crittograficamente, perfetto per garantire un prodotto dalla contraffazione.
La vostra soluzione sta suscitando l’interesse delle cantine e dei produttori?
C’è molta curiosità, alcune reazioni entusiastiche ma anche prudenza. Per diffondere un’innovazione importante a livello industriale e strategico serve tempo. Ci aiuteranno i primi early adopters, imprenditori visionari che stanno costruendo con noi le basi perché Viveat diventi una soluzione utile se non indispensabile per tutti.