In Italia nell’hi-tech sono 15mila i posti liberi. E nel 2015 saliranno a 19mila. Le responsabilità della scuola e nella mancanza di educazione digitale.
Chi continua a dire che in Italia il lavoro non c’è potrebbe essere smentito. Almeno per quanto riguarda l’Ict. Solo nel 2015 rischiano di restare scoperti 19mila posti nel settore tecnologico. La denuncia arriva dall’Anitec, l’associazione nazionale industrie di informatica, che con la Commissione Europea ha lanciato la campagna e-Skills for Jobs 2014.
In Italia mancano competenze e non ci sono giovani che abbiamo un buon livello di istruzione digitale
Da tempo chi analizza i dati sull’incontro tra la domanda e offerta occupazionale aveva previsto questa situazione. Ora il re è nudo: il gap digitale dovuto ad una carente educazione informatica e tecnologica ha conseguenze drammatiche. Non abbiamo più scampo. E nemmeno scusanti. La fotografia è questa: stando ad uno studio di Modis, società del gruppo Adecco che esamina le opportunità lavorative, in Italia c’erano 15mila posti di lavoro rimasti liberi, quest’anno. Nel 2015 saliranno a 19mila. Di questi 15mila, nel 2014 ben quattromila resteranno scoperti. Una vera e propria assurdità, se pensiamo che la disoccupazione continua a crescere a vista d’occhio. La situazione non migliora nemmeno in Europa: nel 2020 vi saranno da 730.000 a oltre 1,3 milioni di posti di lavoro vacanti, a seconda dei possibili scenari economici. La Commissione Europea calcola che siano attualmente 900mila i posti di lavoro che non vengono occupati perché mancano le competenze digitali.
Cosa è successo? Perché non abbiamo risorse umane in grado di sopperire a questo vuoto? Non è un caso se all’evento conclusivo a Roma della campagna “e-Skills for Jobs 2014” abbia partecipato anche il ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini.
Le responsabilità vanno cercate proprio sui banchi dove per troppo tempo l’educazione digitale è stata considerata meno importante di altre materie
Basti pensare che ancora oggi alla scuola primaria il tempo dedicato all’educazione tecnologica è di un’ora, meno di religione o educazione motoria (due ore). Un cerchio che si chiude con un altro dato negativo: vi è un calo degli iscritti alle facoltà tecnologiche.
E’ chiaro che siamo di fronte ad un’emergenza. Lo hanno ben compreso Microsoft e Facebook che con altri colossi dell’industria informatica hanno scritto una lettera ai ministri dell’Istruzione dell’Unione Europea per chiedere un maggiore impegno al fine di migliorare l’insegnamento delle materie legate alla tecnologia a scuola a partire dalla programmazione: “Che sia per analizzare i dati sulla salute, progettare software di sicurezza informatica o creare effetti speciali per i film, la programmazione è un filo rosso che unisce tutte le professioni future in Europa”, scrivono Microsoft e Facebook.
Non possiamo più rischiare. Il primo passo da fare è formare i docenti, tutti. La mia maestra, negli anni ottanta, non sapeva nulla di informatica: la generazione nata negli anni settanta, è cresciuta con una formazione autodidatta
Chi non si è iscritto ad un istituto tecnologico professionale si è diplomato imparando autonomamente a usare il personal computer e la rete. I nati negli anni ottanta hanno avuto qualche opportunità in più ma ancora oggi i bambini imparano a creare documenti e presentazioni anziché apprendere cosa sono gli algoritmi e la programmazione. Se vogliamo invertire la tendenza, dobbiamo ripartire dall’istruzione. Ora e subito.
Articolo precedentemente pubblicato su CheFuturo!
di ALEX CORLAZZOLI