«Un sistema universitario va collocato in un mondo più ampio. Ecco perché sono contrarissimo alla definizione di città universitaria e favorevole alla città della conoscenza. Anzi di più. Per me si imporranno negli anni i territori della conoscenza. Servono poli di ricerca, non è necessario avere troppi atenei. Si deve andare oltre l’ambito prettamente accademico e abbracciare quelle attività pubbliche e private che stanno producendo valore». Così afferma Stefano Bronzini, rettore dell’Università di Bari per il sessennio 2019-2025. Barese classe 1959, docente di letteratura inglese, in tasca una laurea in lettere e filosofia conseguita nel 1983 proprio in quell’ateneo che oggi guida, Bronzini ha radici ancorate alla comunità e un percorso formativo e lavorativo che negli anni lo ha portato a essere globetrotter, anche con un’esperienza americana. Da rettore ha avviato nell’ateneo il servizio di counseling e quindi di supporto psicologico. Proprio in queste ore il suo ateneo ospita Unstoppable Women, ossia la nostra community di innovatrici e innovatori che riflette sulla declinazione al femminile di fare impresa (qui per saperne di più sul programma e qui per essere aggiornati dal profilo Instagram di Unstoppable Women).
«Produrre idee vuole dire produrre posti di lavoro per il futuro. Ecco perché le città del futuro sono quelle con una disseminazione di idee. Questo implica una messa in discussione degli stessi modelli attuali di università», afferma Bronzini. Fare sistema, fare squadra, guardare oltre il proprio perimetro superando la visione novecentesca. «In passato i consorzi che hanno dato vita alle università si legavano alle camere di commercio e ai comuni, che erano enti erogatori. Oggi le cose sono cambiate. Bisogna ragionare con uno sviluppo territoriale esteso. Il modello del nuovo millennio non prevede uno sviluppo come quello ereditato, ma una costruzione diversa. Da noi abbiamo zone che hanno per natura possibilità differenziate. Dovremmo costruire modelli di diffusione e distribuzione della conoscenza territoriale, avvalendoci delle tecnologie. Anche perché la tecnologia va più avanti della mera innovazione. I due termini sembrano sinonimi, ma il rischio è di sviluppare tecnologia ma non diffonderla, alimentando oligarchie, che sono sempre preoccupanti», dice Bronzini. Unire i puntini, aggregare le generazioni, accettare la sfida di una formazione continua che va oltre le classi anagrafiche superate nei fatti. «Noi dovremmo favorire non solo i ragazzi come studenti nei percorsi universitari, ma anche i cittadini con offerte formative annesse agli specifici bisogni».
“Il futuro del lavoro sarà rappresentato da tanti laboratori disseminati sul territorio, anche nelle periferie”
Professore, parla di conversione digitale. Cosa intende?
Ma parlo anche di conversione ambientale. La conversione implica una evangelizzazione laica di chi già lavora. Ci vuole uno sguardo lungo, oltre le conoscenze di oggi per cogliere le intuizioni del domani. In passato si parlava di competenze verticali, ma il sapere è trasversale, ossia incrocia metodologie diverse. Il futuro del lavoro sarà rappresentato da tanti laboratori disseminati sul territorio, anche nelle periferie.
I luoghi ci plasmano.
Ecco, oggi dovremmo parlare di spazi della conoscenza. Non adotto il concetto di distretto, che implica una cornice giuridica che si lega a una stagione passata e che ha concluso in parte il suo percorso. Serve una nuova modalità di penetrazione dei territori. Ora bisogna lavorare ad un pian industriale attrattivo e visionario.
Perché parla di città, oltre che di università?
In questo momento stiamo inseguendo una lepre che è già scappata. Non riflettiamo sul significato delle parole che nel Novecento avevano un significato e oggi ne hanno un altro. Penso al tema degli alloggi. Da qui a cinque anni avremo un numero superiore, recuperando un gap. Ma nel diritto allo studio, oltre vitto e alloggio, ci sono anche il tempo libero, lo svago, il contesto geografico nel quale si vive e si intrecciano relazioni. Uno studente diventa così un attore dell’ecosistema.
“Mi preoccupa la conoscenza delle tecnologie nelle mani di pochi. Se in pochi governeranno l’AI, questi pochi governeranno anche noi”
Tra scienze umanistiche e materie scientifiche la bilancia dove pende?
Se non pensiamo che questo confine, come tanti muri che sono già caduti, non debba diventare sempre più sottile e anzi essere superato, allora commetteremmo un grave errore perché perpetueremmo un mondo manicheo. L’archeologia, come la biologia marina, hanno bisogno delle stesse attrezzature. Anche l’archeologia industriale prevede lo studio dei materiali.
Da umanista ha puntato anche sull’Intelligenza artificiale. Perché?
Se l’intelligenza artificiale può servire anche a salvare le persone, ben venga. Come già detto a me preoccupa soltanto la conoscenza delle tecnologie nelle mani di pochi. Se in pochi governeranno l’AI, questi pochi governeranno anche noi. C’è un tema di accesso e diffusione della conoscenza.