Il dato che tutti conoscono è che il 90% delle startup fallisce. Secondo il The RIP Report – startup death trends di qualche anno fa le startup di solito muoiono circa 20 mesi dopo il loro ultimo round di finanziamento e dopo aver raccolto in media 1,3 milioni di dollari. Che i numeri siano esattamente questi o meno non li mettiamo in discussione ora, quel che è certo che le startup sono creature dinamiche. E quelle guidate dall’innovazione e dalla sperimentazione sono per loro natura più soggette alla possibilità di fallire. Tuttavia molti imprenditori continuano a sovrastimare le possibilità di successo e il costo del fallimento. Lanciare un business nel settore tecnologico è senza dubbio avvincente. Ma la vera prova non è solo trasformare un’idea promettente in un’impresa di successo quanto, nella maggior parte dei casi, decidere quando fermarsi e non proseguire oltre. Alla percentuale sopra indicata si aggiungono infatti quelle che sopravvivono ma che vengono tenute in vita perché il team è fortemente avverso alla perdita. Alcuni investitori li chiamano «morti viventi». Pur di non mollare la presa, per paura di dichiarare il fallimento della loro startup, sono disposti a tutto anche a scapito del loro benessere psicofisico e di quello economico.
Crederci sempre, mollare mai?
In tutti i libri sul successo e su come raggiungerlo si sostiene senza mezzi termini che falliamo quando non ci proviamo, quando rimaniamo nella nostra zona di confort, quando gettiamo la spugna prima ancora di tentare. Forse per questo percepiamo che mollare sia un po’ come fallire. Ma una regola basilare di una forte cultura del fallimento afferma però: mai mollare, ma se ci sono le condizioni per farlo allora non indugiare oltre. Persistere in modo irrazionale è un vero è proprio errore. Secondo lo psicologo Daniel Kahneman infatti il vero fallimento è continuare a lottare contro i mulini al vento perché nel lungo periodo gli aspetti negativi saranno maggiori dei benefici. E allora in quest’ottica mollare è una giusta scelta.
Cos’è l’effetto Concorde?
Ce lo spiega l’effetto Concorde. L’aereo supersonico risultato di 12 anni di sperimentazione che ha avuto come sponsor il governo francese e quello britannico. Un fallimento finanziario annunciato, poiché il progetto ha mostrato le sue debolezze già poco dopo il suo lancio. I costi di produzione, di manutenzione e di marketing erano elevati, così come il costo del carburante. E sebbene tutti i soggetti coinvolti avessero compreso che non fosse economicamente sostenibile, portarono avanti il progetto. La ragione? Ci si concentra solo sui costi materiali già spesi (tempo, soldi, energia umane e intellettive) e non anche sui costi opportunità (cosa faresti di straordinario in alternativa?) che sono più difficili da stimare. Mollare dopo un anno di prove ed errori è stata invece la scelta di Luca Pessina e dei suoi soci di Filli.
Arrendersi in assenza di progressi
Luca, che si definisce un curioso, termina il suo percorso di studi poco prima dell’inizio della pandemia. Invia il suo curriculum a oltre un centinaio di aziende, senza ottenere risposta. La difficoltà e il covid aguzzano l’ingegno per cui Luca prova a mettersi in gioco sviluppando un’idea di impresa: digitalizzare il passaparola tramite un social network.
Un’idea, Myreference, che suscita l’interesse di un imprenditore industriale che vede un’opportunità da cogliere nel settore digitale. Luca e i suoi soci stanno per chiudere un finanziamento di 300 mila euro. Ma quando tutto sembra andare per il meglio, l’imprenditore decide di fare un passo indietro. Cosa fare a questo punto?
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Sbobinando le interviste ai potenziali clienti, hanno notato che gli intervistati, in particolare nel settore healthcare, facevano emergere più o meno esplicitamente un bisogno diverso, quello dei buchi delle loro agende. Tra un appuntamento e un altro possono infatti crearsi slot che rimangono liberi se gli appuntamenti non sono contigui.
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La gestione delle agende piene di buchi è un problema rilevante perché lede la marginalità del professionista o, più in generale, di una struttura e diminuisce i profitti al pari dei cosiddetti No-Show, termine che identifica la mancata presentazione di un paziente a una visita. Nelle strutture private si stima che il tasso medio di mancata presentazione oscilla tra il 10% per le visite odontoiatriche e il 37% per i consulti psicologici.
Fare le stesse cose aspettandosi risultati diversi?
Il team decide quindi di pivotare. Pivotare significa cambiare rotta quando le nostre ipotesi non funzionano più o altre sembrano più promettenti. Ad aprile 2022 nasce Filli dalle ceneri di Myreference, con un team composto da soci di varie fasce d’età. Ad aprile 2023, un finanziatore privato si dice disponibile a investire. Ma, a volte, la storia si ripete. E anche questo finanziatore si tira indietro.
Decidono di non mollare e testare la disponibilità dei clienti a pagare. La risposta non è però quella che si aspettavano. E capiscono che sebbene il bisogno sia emerso proprio dai singoli professionisti, non sono loro il target di riferimento ma le strutture (cliniche private, catene di franchising, palestre). Questo significava cambiare ancora una volta il modello di business, impostare una nuova pricing strategy, rivedere la piattaforma.
La delusione unita a una divergenza dei soci e a competenze in parte sovrapponibili, conduce alla decisione di dichiarare il fallimento del progetto. «Se il mercato ti ha dato un segnale, ignorarlo è da stolti», sostiene Luca.
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Alla domanda «Quanto ti appassionava l’idea?» Luca risponde «Non mi appassionava l’idea in sé quanto la possibilità di impattare positivamente sulle persone offrendo un servizio legato al last minute e all’invenduto percepito come utile. Lo rifarei? Sì. Se non ci provi nemmeno, hai zero possibilità di successo. Lo rifarei così? Probabilmente no. Anzi saprei come farlo meglio». Luca crede infatti nel valore dell’idea. E sarebbe disponibile a collaborare con chi volesse portarla avanti, consapevole degli errori fatti e delle lezioni apprese.
Imparare dalle sconfitte più che dalle vittorie
L’informazione che possiamo ottenere da ogni errore ha un valore in sé e prescinde da cosa accadrà dopo. La sconfitta ha valore persino o soprattutto quando la vittoria è ancora lontana. E allora quali errori sono stati commessi dal team di Filli? È lo stesso Luca ad analizzare lucidamente ogni passo sbagliato.
Il primo errore è essere partiti senza network quando pensa sia l’unica cosa che conta. Un progetto non si basa su un’idea ma sulle persone: il team che la porterà avanti e i clienti che adotteranno la soluzione proposta. Secondo Luca è difficile trovare persone molto committed con competenze reali da mettere in campo subito. E disponibili a dedicare tempo non remunerato per costruire una startup. Dall’altro, i clienti/utenti non sono numeri, men che meno quando l’idea è appena nata. Coinvolgere i clienti può garantire un senso di partecipazione nel progetto, spesso anche nella fase creativa.
Il secondo è di aver lavorato troppo per costruire un prodotto finito perché fondi, acceleratori e investitori chiedevano un prodotto funzionante e una tecnologia proprietaria. Solo successivamente si sono preoccupati di vendere il prodotto facendo però un pessimo go to market.
Il terzo è di aver pianificato troppo sulla carta senza considerare che l’unica metrica che conta è il fatturato. «Come capisci se qualcosa che stai facendo ha valore? Se qualcuno ti paga per averlo. Il resto è vanity metrics», afferma Luca. Il quarto errore è «non sapere come fare ciò che sapevamo andasse fatto». Non avere tutte le competenze necessarie all’interno del team può essere un problema di cui tenere conto.
Il quinto errore è dipendere dalla raccolta fondi e usare i fondi per costruire e non per accelerare. Nella fase iniziale spesso i fondi utili per colmare il divario tra idea ed esecuzione si presentano sotto forma di prestito. Ma se il prestito ha dei vantaggi, presenta anche molti rischi e non aiuta a sviluppare serenamente l’idea. «Non raccogliere perché lo fanno tutti, fallo perché ti serve» si sente di suggerire Luca. Filli oggi ha una nuova veste, in attesa di nuove opportunità da cogliere.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è essere rapidi nel cercare di capire se i problemi sono risolvibili. Se non lo sono e in assenza di progressi misurabili si deve chiudere senza perdere tempo. Imparando a considerare anche i costi non monetari e i costi opportunità cioè i costi derivante dal mancato sfruttamento di un’altra opportunità. Coinvolgere un soggetto esterno, obiettivo e informato, nella decisione di continuare o di lasciarlo può essere una buona idea. Mollare è segno di libertà e consapevolezza, non una debolezza.
La seconda regola è analizzare gli errori commessi, i passi falsi, gli incidenti di percorso, comprendere il perché si ripetono le stesse situazioni. Sbagliando s’impara solo se scegliamo di attivare un processo di auto-riflessione e auto-correzione che aiuta a consolidare le conoscenze acquisite e a sviluppare una maggiore consapevolezza per fare meglio la prossima volta.
La terza regola è pensare a come le capacità e le risorse sviluppate potrebbero essere recuperate per sviluppare, da subito, un altro progetto. Una strategia che può aiutare a trasformare ogni sfida e ogni difficoltà in una nuova opportunità. Se non oggi, magari domani.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu