Abbiamo visto quanto sia difficile scrivere un Curriculum Vitae che valorizzi al meglio le competenze accumulate e le esperienze fatte, ma anche la personalità di chi sta dietro al CV. In questo ambito, infatti, assistiamo a un paio di paradossi. Da un lato la moltiplicazione – in rete e fuori – di istruzioni, tutorial e corsi sull’argomento, invece di aiutare le persone a dare il meglio di sé, fa sì che producano CV simili fra loro. D’altra parte, in oltre un anno di lavoro su decine di CV, ho verificato come persino chi ha studiato materie umanistiche, che pure dovrebbe avere buone capacità di scrittura, in realtà spesso finisce per cadere nello stesso appiattimento. Nel mio primo intervento ho cercato di dare suggerimenti concreti per non correre questo rischio. Proseguo nella stessa direzione con un’attenzione speciale a chi proviene da studi umanistici, ma non solo.
Leggi anche: Perché soft skill e studi umanistici saranno sempre più richiesti dalle aziende
Come scrivere la “bio” nel CV?
Oltre alla sezione che descrive le cosiddette soft skill, una parte spesso problematica dei CV – tutti, non solo umanistici – è quella che a volte si chiama “Chi sono”, a volte “Bio”, a volte ancora “Profilo personale”. È un testo di pochi caratteri che va inserito all’inizio e in evidenza per far emergere subito il temperamento di chi scrive, le sue aspirazioni, chi è come persona, oltre che come candidato/a per una posizione. Non è facile scrivere un testo del genere, soprattutto perché più breve è, meglio è. Ecco qualche dritta per non complicarsi la vita.
Non usare quello spazio per fare una sintesi della sintesi che sta già nel CV. Tipo: “Laureat* in Lettere moderne, ho fatto esperienze di…”. Inutile ripetere nella bio cose che stanno già scritte, ad esempio, nella sezione chiamata “Formazione” o fra le “Esperienze professionali”. La ripetizione in stile “CV dentro al CV” non aggiunge niente e suona pedante. In questo caso repetita non iuvant, insomma.
Meglio non azzardare esercizi di presunta scrittura creativa, se la creatività non è il nostro forte. Un problema è che, mentre le persone che hanno studiato STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) non ci provano nemmeno, nel settore umanistico il concetto di creatività è spesso abusato. Questo significa che può avere la tentazione di lanciarsi in voli pindarici anche chi non ne è capace, col risultato che nel CV appare peggio di come è: arrogante, infantile, con umorismo fuori luogo. Come evitarlo? Può essere utile far leggere la “bio” a un’amica o un amico, un/a conoscente, parente che sia capace di fare, pur benevolmente, l’avvocato del diavolo. Meglio una stroncatura in casa che un CV sprecato per poche righe.
Chi sono… già, chi sono?
Ma come risolvere la “bio” senza cadere nell’autofustigazione, senza coinvolgere parenti e conoscenti, senza mettersi nei guai? La cosa più semplice è dire in quella sezione per quale posizione ci si candida e come si pensa di poter fare qualcosa di utile per l’azienda, l’istituzione, l’organizzazione per cui ci si candida. Il linguaggio deve quindi essere il più vicino possibile a quello dell’azienda, istituzione o organizzazione in cui vorremmo inserirci, un linguaggio che va studiato con attenzione sul sito e sui suoi canali social.
Leggi anche: Competenze umanistiche e tecnico-scientifiche, perché questo matrimonio s’ha da fare
Una chicca finale è evitare il solito titolo scontato, come “Bio”, “Chi sono”, o “Profilo personale”, a favore di uno più personale. Anche in questo caso, non fingiamoci creativi se non lo siamo: bastano parole semplici, purché rispecchino ciò che di fatto scriviamo in quella sezione. Esempi: “Perché mi candido”, o “Qualcosa su di me”, o “Aspettative professionali”, ma anche, per chi è più giovane e senza esperienze, “Perché vorrei fare un colloquio”.
Hard skill per umanisti
Mentre chi proviene dalle STEM ha ben chiare quali sono le hard skill che può offrire (competenze tecnico-specialistiche del proprio settore, con nomi precisi), chi proviene dall’area umanistica spesso non sa proprio cosa indicare con quella espressione.
Vale la pena ricordare che tutte le ricerche sulle professioni più richieste (e che saranno sempre più richieste) nel mondo del lavoro sottolineano l’importanza di avere capacità gestionali, analitiche, strategiche. Si vedano, per esempio, questa indagine del 2020 della multinazionale di recruitment Hays e questa del 2023 del World Economic Forum.
Ecco allora qualche dritta:
1) Un/a umanista può valorizzare tutte le capacità di scrittura che ha usando espressioni come: progettazione e pianificazione editoriale, progettazione e redazione di contenuti, gestione di contenuti per vari tipi di media (specificando quali).
2) Un/a umanista (specie se viene da studi filosofici o linguistici) può valorizzare le sue capacità analitiche con espressioni come: analisi di documenti e reportistica, analisti di dati e statistiche, analisi di contenuti.
3) Un/a umanista (specie se viene da Lettere, ma anche da Scienze della comunicazione e Dams) può valorizzare la sua capacità di scrivere e valutare storie mettendo: progettazione e redazione di script per una pluralità di media (specificando quali), analisi critica di storyboard.
4) Utile, a seconda dell’azienda a cui s’invia il CV, esprimere alcune di queste capacità in inglese con espressioni come: content strategy, content management, data analysis, digital analysis, storytelling design, transcreation. Eccetera.
Bisogna camuffare e mistificare?
Sto forse dicendo che bisogna camuffare e mistificare? Assolutamente no. Sono tutte competenze che spesso chi ha studiato materie umanistiche possiede alla grande, ma non sa di averle, cioè non immagina che possano corrispondere, se ben rinominate e descritte, a precise richieste del mercato.
Nella prossima puntata sulla preparazione del CV darò qualche indicazione su come scrivere un CV a prova di Applicant Tracking System (ATS): sono quegli applicativi software che selezionano i CV, prima di passarli alle persone delle Risorse Umane che si occupano di leggerli e valutarli. Stay tuned!