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Lo sport che si fa inclusione a livello globale, eliminando qualsiasi differenza, da quelle sociali a quelle fisiche: c’è grande attesa per i Giochi Paralimpici di Parigi, che si terranno dal 28 agosto all’8 settembre prossimi. Da tutto il mondo oltre 4.400 atleti si sono dati appuntamento in Francia per sfidarsi e mettersi in gioco, creando al contempo un’occasione unica parlare di sport e disabilità e, più in generale, promuovere una società sempre più inclusiva. Tra questi, nella delegazione italiana, c’è anche Simone Barlaam, una delle promesse di questa edizione di Giochi, già oro paralimpico nei 50 stile a Tokyo nel 2020: nel suo palmares ha 19 titoli come campione del mondo e 8 come europeo, oltre al primato mondiale nei 50, 100 e 200 stile libero, nei 50 e 100 dorso e nei 50 delfino categoria S9. 

Le fragilità che ci spingono a migliorare noi stessi  

Barlaam, classe 2000, è nato con una coxa vara e una ipoplasia congenita del femore destro, motivo per cui fin da piccolo è stato sottoposto a diversi interventi chirurgici alla gamba destra. Da qui è partita la spinta verso il nuoto: «Possiamo dire che ho imparato prima a nuotare che a camminare. E’ venuto tutto in modo automatico. Nella mia condizione clinica non erano consigliati sport dove c’era il rischio di qualche trauma e così è stata una scelta naturale», racconta a Startupitalia prima di partire per la capitale francese. Tra i tanti riconoscimenti, anche fuori dall’acqua, nel 2023 ha ricevuto il Para-Awards quale Miglior Atleta Maschile negli sport estivi, il maggior premio sportivo conferito dal Comitato Paralimpico Internazionale.

In acqua, dove tutto è possibile

«Se sulla terra ferma mi sentivo un po’ impacciato e maldestro, in acqua riacquistavo tutta la libertà di movimento e così ho iniziato ad assaporare sensazioni nuove», prosegue, spiegando come un hobby negli anni sia diventato un’attività agonistica: «Nel 2017 è arrivata la prima convocazione in Nazionale, un momento bellissimo, un grande onore e una soddisfazione incredibile», per la quale ringrazia anche tutte le «persone che hanno scommesso su di me, vedendo per primi il potenziale che c’era».

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Simone Barlaam

Passione che va coltivata e alimentata 

Negli ultimi anni il mondo paralimpico ha ottenuto sempre maggiore visibilità, grazie anche ai tanti campioni italiani saliti sul podio nelle diverse competizioni, che hanno saputo conquistare l’attenzione del grande pubblico anche fuori dall’ambito sportivo. 

In questo modo si sta portando avanti un percorso di inclusione e sensibilizzazione importante. «Sul territorio ci sono tante realtà locali meritevoli, a volte sono un po’ nascoste ma ci sono, e sono formate da grandissimi tecnici che hanno tanta passione e che mettono a disposizione gratuitamente il loro tempo. Quello che manca a volte sono i finanziamenti necessari per dare la possibilità a ragazze e ragazzi di fare pratica ed emergere. Il 15% della popolazione mondiale ha una qualche forma di disabilità, eppure ancora oggi si investe poco», sottolinea Barlaam: «Sia il pubblico che il privato potrebbero fare molto di più, anche aiutando e sponsorizzando le molte realtà territoriali, che hanno bisogno di essere sostenute». 

Verso Parigi 2024

Come è una giornata tipo di una medaglia d’oro paralimpica? «In realtà è molto lineare, la sveglia suona alle 6:30, poi l’allenamento in acqua viene seguito dalla palestra e dal pranzo. Quindi, riposo e di nuovo in vasca. Così 6 giorni su 7», racconta Simone Barlaam con estrema naturalezza. E a Parigi, dice, «voglio godermi appieno questa nuova esperienza, Tokyo rappresentava la mia prima Paralimpiade e c’era anche un po’ di ansia legata al Covid. Impegno massimo ma questa volta ho un atteggiamento diverso».

Lo sport come strumento di accettazione di se stessi

«Al di là delle proprie abilità consiglio a tutti la pratica sportiva: insegna a relazionarsi meglio sia con il proprio corpo che con gli altri. Contribuisce a mettersi a nudo, lo sport ti insegna a non nasconderti. In questo senso mi ha aiutato molto in un periodo di crescita non sempre semplice».

E questo consiglio vale per tutti, «per chi pratica un qualsiasi attività, sia essa a livello amatoriale che professionale». 

Ma allora che cosa fa paura ad un campione? «Nulla di eccezionale, se non la solitudine, bisogna certo essere in grado di affrontarla, ma spesso siamo noi stessi i coinquilini più difficili con i quali è difficile convivere. Per questo è importante credere in stessi e aprirsi agli altri. Insieme».