Con il cargo Dragon di Space X è partito anche un piccolo satellite innovativo decisamente poco convenzionale. Si tratta di un Cubesat, un cubo di 10 cm di lato, costruito dall’Università di Kyoto e collaborazione con la società Sumitomo Forestry, marchio storico dell’industria de legno giapponese. L’inedita accoppiata trova la sua ragione di essere nel fatto che il Cubesat è costruito in legno, per la precisione in legno di magnolia.
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E’ una storia affascinante dove la tecnologia d’avanguardia sposa la tradizione che ho raccontato nel mio libro Ecologia Spaziale, appena uscito per Hoepli. E qui veramente il tema ecologico è centrale.
Dopo più di 65 anni di sonde costruite in metallo, la scelta di utilizzare il legno rappresenta un tentativo di diminuire l’impatto ambientale legato ai rientri dei satelliti che, terminata la loro missione, abbassano la loro orbita fino a bruciare nell’atmosfera.
Mentre è certamente vero che la maggior parte dei satelliti si consuma durante questo interazione bruciante con l’atmosfera, il materiale del quale sono fatti non scompare, piuttosto si vaporizza trasformandosi in gas e polvere tossica destinati a restare in sospensione nella nostra atmosfera, magari diffondendo la radiazione solare e contribuendo al cambiamento climatico.
Usando una speciale aereo capace di volare a quota doppia dei normali arei commerciali, la NASA ha raccolto campioni di atmosfera sopra l’Alaska e gran parte degli Stati Uniti ad un’altezza dove l’unica sorgente di metalli è costituita dalle meteoriti che si vaporizzano a causa dell’attrito con l’atmosfera. Su scala globale, si tratta di 40.000 tonnellate di materiale celeste all’anno pari a circa 100 tonnellate al giorno, per la grande maggioranza polvere e frammenti di rocce carboniose. I meteoriti metallici sono una sparuta minoranza nello spazio e sono formati per la quasi totalità da ferro e nichel.
Come spiego in Ecologia Spaziale, esistono significative differenze tra la vaporizzazione dei meteoriti e quella dei satelliti. Mentre la maggior parte della massa meteorica (originata da un numero elevato di oggetti di dimensioni inferiori al millimetro) viene depositata ad altitudini comprese tra 75 e 110 km, le navicelle spaziali, che sono più grandi e si muovono più lentamente dei meteoriti, si vaporizzano tra i 40 e i 70 km di altezza e la loro impronta interessa una regione lunga circa 300 km.
Ogni anno si verificano diverse centinaia di grandi eventi di rientro di satelliti e stadi superiori, ognuno dei quali deposita fino a diverse tonnellate di massa rispetto ai microgrammi di ogni singolo meteorite. Chi avesse dubbi, dia un’occhiata a questo sito che censisce tutti i rientri nell’atmosfera. Con l’aumentare dei lanci di satelliti commerciali, aumentano i rientri e non passa giorno senza che qualcosa bruci sopra le nostre teste.
La circolazione atmosferica trascina le particelle dei veicoli spaziali e quelle di origine meteorica a quote più basse nella stratosfera dove avviene il mescolamento e la coagulazione nelle particelle di aerosol.
L’analisi dei campioni raccolti ha rivelato che la stratosfera è già disseminata di metalli provenienti dal rientro dei veicoli spaziali. Mentre quasi tutte le particelle stratosferiche contengono anche metalli meteorici, alluminio, argento, niobio e afnio, ad esempio, non si trovano in natura nell’atmosfera ma derivano dai veicoli spaziali. Il niobio e l’afnio sono marcatori del rientro di alcuni ugelli di razzi. L’alluminio proveniente dai veicoli spaziali si trova generalmente nelle stesse particelle del niobio e dell’afnio.
È strabiliante che i prodotti del rientro dei veicoli spaziali vaporizzati al di sopra dei 50 km di altitudine possano essere misurati con tale sensibilità nelle particelle di aerosol a meno di 19 km di altitudine. L’afnio non è solo rilevabile ma anche quantificabile rispetto al niobio. Eppure l’afnio è un elemento utilizzato in un solo componente (<1% della massa) di alcuni tipi di lanciatori.
Tuttavia questi metalli, insieme all’alluminio, erano inclusi in circa il 10% delle particelle più comuni nella stratosfera. E questa percentuale non potrà che aumentare con l’aumento del numero dei lanci e dei rientri dei satelliti Da qui l’idea di LignoSat per sostituire i metalli (che producono polveri tossiche) con il più ecologico legno.
Dopo i test in laboratorio a seguito dei quali i campioni di legno non hanno subito cambiamenti misurabili nella massa né hanno mostrato segni di decomposizione o danneggiamento, i campioni sono stati inviati alla ISS, dove sono stati sottoposti a prove di esposizione per quasi un anno prima di essere riportati sulla Terra. Anche in questo caso non sono stati trovati evidenti segni di danneggiamento, un fenomeno che si può attribuire al fatto che nello spazio non c’è ossigeno che potrebbe far bruciare il legno, e nessuna creatura vivente che lo faccia marcire. Il legno che ha superato meglio le prove, resistendo alla fessurazione, è stato quello di magnolia, che è stato utilizzato per la sonda LignoSat.
Nel corso del mese di dicembre LignoSat verrà rilasciato nello spazio con il sistema a molla installato sul modulo giapponese Kibo. A quel punto il cubessat inizierà di sua missione di test delle performance orbitale del legno. Dopo circa 6 mesi, quando la sua orbita si sarà naturalmente abbassata, brucerà nell’atmosfera, ma forse avrà aperto una nuova via, più rispettosa dell’ambiente per la costruzione dei satelliti che offrono servizi dallo spazio.