Anni ’80. Sandwich piccola città del Kent sulla costa sud-orientale dell’Inghilterra. Peter Ellis è dottore di ricerca in farmacologia. Arriva a Sandwich nel 1981 e si unisce a un gruppo di lavoro impegnato nella ricerca di soluzioni terapeutiche per lo scompenso cardiaco. Nei laboratori di ricerca europei di Pfizer erano in fase di sviluppo clinico alcuni vasodilatatori per il trattamento delle malattie cardiovascolari, principalmente ipertensione.
Com’è nato il Viagra, in pillole
Nel 1986 ha inizio un programma specifico per lo sviluppo di un farmaco per il trattamento dell’angina. Il team di ricerca è incaricato di trovare una sostanza chimica in grado di curare i cuori malati. Non cuori infranti dalle pene d’amore, ma sofferenti a causa di una condizione cardiaca caratterizzata da dolore toracico dovuto da una diminuzione del flusso sanguigno nel cuore.
Nello stesso laboratorio lavorava lo scienziato Ian Osterloh. Se il gruppo di cui Ellis faceva parte era ottimista sulla possibilità di trovare un farmaco per trattare l’angina, Osterloh non così tanto: «Mentre gli obiettivi del progetto erano ammirevoli, devo ammettere che dubitavo che ci sarebbe stata la svolta che speravano». Nonostante i dubbi di Osterloh, i ricercatori continuarono a lavorare sull’obiettivo: individuare un farmaco in grado di inibire alcuni enzimi presenti nei tessuti in modo da rilassare i vasi sanguigni e così da ripristinare il normale apporto di sangue nel muscolo cardiaco.
Nel 1989, il team scopre un inibitore, noto all’epoca come UK-92480, poi ribattezzato citrato di sildenafil, in grado di agire su un particolare enzima denominato PDE5. Funzionava sulla carta, nei test in vitro su cellule e tessuti e nei test in vivo, ossia sugli animali. Non rimaneva che sperimentarlo sugli esseri umani. Le sperimentazioni cliniche sugli umani cominciarono nel 1991 quando il composto fu assunto per la prima volta da un gruppo di volontari sani, durante uno studio tossicologico. In questa fase si osservò che il composto rimaneva poco nell’organismo e che causava disturbi transitori nella percezione della visione dei colori.
L’anno dopo furono condotti i test clinici di fase II, su pazienti affetti dalla malattia, in doppio cieco: sostanza e placebo furono distribuiti tra i volontari, senza che né il medico né il paziente sapessero chi avesse assunto l’una o l’altra cosa. Per ovviare al problema della fase I, i pazienti assumevano il composto 3 volte al giorno. Vennero riscontrati alcuni effetti collaterali come mal di testa, vampate di calore, qualche dolore muscolare. Ma non solo. Nessuno prestò però particolare attenzione a un ulteriore effetto collaterale e al fatto che alcuni pazienti non riconsegnasse il composto chimico al termine dei test.
La fortuna favorisce le menti preparate
Gli studi proseguirono ma i risultati furono un fallimento perché non diedero gli effetti sperati, visto che il citrato del sildenafil era poco efficace nel trattamento dell’angina. Il farmaco non forniva il risultato che team si aspettava. David Brown, chimico, ricorda così un giorno del giugno 1993 quando: «Mi è stato dato un ultimatum, in pratica. Torna a settembre. Se non hai buoni dati, allora chiuderemo il progetto». Pfizer aveva deciso di abbandonare il programma.
La delusione per la mancata efficacia terapeutica fu però ben presto spazzata via dal racconto di una storia. All’epoca era stato condotto uno studio in una clinica a Merthyr Tydfil, nel Galles meridionale. A seguito della chiusura delle miniere di carbone la città viveva in uno stato di povertà. Molti gli uomini di mezza età disoccupati e disponibili, per 300 sterline, a testare farmaci. Tra loro un gruppo di minatori che si iscrisse per testare il composto per l’angina pectoris in ospedale. Uno di loro, intervistato dalla BBC, disse «Io e la mia famiglia non avevamo nulla in quei giorni. Quei soldi ci hanno permesso di comprare cibo e 5 sacchi di carbone per il fuoco».
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La scoperta del Viagra
La procedura prevede che rimanessero in clinica durante la notte, si sottoponessero a un prelievo di sangue e al monitoraggio delle loro condizioni di salute. Il giorno dopo l’assunzione del farmaco il gruppo fu invitato a rispondere ad alcune domande per comprendere sintomi ed eventuali effetti collaterali. A condurre il gruppo, una giovane donna la quale consegnò un questionario ai partecipanti. Prima di salutarli chiese loro: «Avete notato altri effetti collaterali che volete segnalare?». Nessuna risposta. Ma una mano, timidamente, si alzò «Beh, mi è sembrato di avere più erezioni del normale, durante la notte». Tutti sorrisero e dopo un primo momento di imbarazzo tutti affermarono all’unisono: «Anche noi».
Ricorda Brown «Il punto di svolta è avvenuto quando la nostro associata della ricerca clinica, arrossendo, mi raccontò l’accaduto». Le indagini successive evidenziarono che la dose superiore del farmaco somministrata ai minatori non rilassava solamente i vasi sanguigni intorno al cuore, ma anche le arterie dell’organo riproduttivo maschile.
Brown rimase perplesso quando, riesaminando i documenti dei test effettuati in fase I e II, si rese conto che quel particolare effetto collaterale era stato segnalato più volte dai volontari e dai pazienti di sesso maschile. Queste informazioni non furono però condivise perché ritenute inappropriate o irrilevanti, e perché l’effetto terapeutico era ritardato (probabilmente a causa del basso dosaggio iniziale). L’effetto infatti si manifestava solo dopo diversi giorni di somministrazione, e questo limitava significativamente la sua utilità pratica. A questo proposito Osterloh riferirà «Ricordo di aver pensato che anche se avesse funzionato, chi avrebbe voluto prendere un farmaco il mercoledì per avere un’erezione il sabato?».
Mescolare il caso con la perseveranza
Sia Brown che un collega medico compresero il potenziale commerciale del farmaco. «È stato uno di quei momenti cruciali per la mia mente!», ha detto Brown «Sono andato dal mio capo e ho chiuso la porta del suo ufficio e gli ho detto Non lascerò questa stanza finché non mi darai i soldi».
Il capo inizialmente respinse la richiesta di investire altre 150.000 sterline per fare più prove con il sildenafil, spostando il focus dello studio sul trattamento dell’impotenza. Ma poi acconsentì. «Avrei potuto perdere il lavoro, ma un’ora dopo mi ha dato i soldi» afferma Brown che aggiunge «Non appena gli americani ne hanno compreso il potenziale, hanno subito accolto il progetto che, in sole due settimane, è passato dall’essere morto all’essere il numero uno nel portafoglio globale dell’azienda».
Il laboratorio Pfizer affidò nuovi studi clinici al centro di Sandwich in Europa e al centro Pfizer di Groton in Connecticut. Nel 1991 è rilasciato un primo brevetto britannico sull’utilità del farmaco a nome di Ellis e del collega Nicholas Kenneth Terrett, a cui secondo alcune fonti si deve il nome del farmaco. Seguirono una serie di test clinici durati tre anni, tra il 1995 e il 1997, su 4.500 candidati, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in Europa.
Nel 1996 Pfizer brevetta il citrato di sildenafil negli Stati Uniti e il 27 marzo del 1998 la Food and Drug Administration (FDA) approva l’uso del Viagra. Il brevetto è a nome di Albert Wood e Peter Dunn, dipendenti Pfizer che hanno lavorato sul processo in 9 fasi per sintetizzare un composto di sildenafil in una pillola dal colore blu. La sua messa in vendita con il nome di Viagra inizia qualche giorno dopo negli Stati Uniti, e da subito diventa uno dei farmaci più prescritti nella storia.
Pfizer afferma che centinaia di inventori sono stati coinvolti nella creazione del Viagra sebbene nella domanda di brevetto siano stati indicati solo i capi dipartimento. Intervistato sul successo del farmaco, Ian Osterloh disse: «Noi scienziati contribuiamo continuamente alla conoscenza scientifica e medica, ma il nostro lavoro non sempre produce nuovi farmaci. Pochissimi di noi lavorano su composti che alla fine avvantaggiano i pazienti. In due decenni di ricerca, sono riuscito ad essere nel posto giusto al momento giusto in qualche occasione».
Dei 15.000 composti chimici su cui si lavora ogni anno, solo 1 arriverà effettivamente sul mercato. Di quelli che arrivano al punto di essere testati sugli esseri umani, 1 su 15 sopravviverà. Nonostante l’impegno profuso, molti ricercatori nell’industria farmaceutica potrebbero non avere la soddisfazione di trasformare la propria ricerca in un farmaco approvato e venduto. Un paradosso che sottolinea come, nonostante gli sforzi, il fallimento sia spesso il risultato finale. Ma nonostante gli ostacoli e grazie agli errori e a fortunati imprevisti la ricerca, fortunatamente, continua.