«I videogiochi sono sempre stati la mia passione. Solo che la musica l’ho coltivata per prima perché c’erano più sbocchi lavorativi. All’epoca, nel gaming si studiava programmazione, ma all’estero. Asia per lo più. Oggi è più semplice, ci sono corsi, studi universitari». Giacomo Greco, Ceo e founder di Jyamma Games, è a capo della software house meneghina che nei mesi scorsi ha rilasciato Enotria: The Last Song, titolo del genere soulslike ispirato ai mostri sacri targati FromSoftware. «Il nostro obiettivo era mettere l’italianità nel prodotto: possiamo dire che è riuscito soprattutto nella prima parte, non in tutte le aree di gioco. La sensazione, pad alla mano, è di essere in Italia. Nel borgo in cui entri ti senti davvero in Italia».
Enotria, i numeri del videogioco
La critica ha senz’altro riconosciuto il valore della direzione artistica di questa startup, alle prese con un titolo ambizioso a budget non proprio da tripla A. «Enotria è un prodotto costato meno di 10 milioni – ci ha spiegato Greco -. Sembrano tanti, ma in una produzione del genere, con quell’ampiezza e quel respiro, sono pochi. Ci siamo confrontati con un sacco di publisher: meno di 30/35 milioni non spendono». Questa non sarà una recensione di un videogioco, ma un’intervista per capire come un appassionato di musica, un dj ed esperto del suono abbia deciso di ricominciare da capo, iscriversi a un corso e poi di fondare una startup con un piccolo team.
Ricominciare dai videogiochi
Classe 1979, Giacomo Greco è nato e cresciuto a Milano. Fare l’imprenditore, in un certo senso, fa parte della tradizione di famiglia. «Mio nonno prima e mio padre poi. Hanno gestito un’azienda di multiservizi». Fino a 25 anni ci ha lavorato anche lui, facendo la gavetta. «Non mi piaceva, non faceva per me. Io sono sempre stato un creativo, sia quando studiavo sia quando lavoravo ho coltivato la passione della musica». Con un background da tecnico del suono, ha deciso di buttarsi in quel settore arrivando a stringere importanti collaborazione come quella con Snoop Dogg.
«Ho lavorato nel settore fino a quando il mercato non è stato impattato dallo streaming. A un certo punto le serate non erano più così ben pagate». Così ha deciso di cambiare di nuovo settore, guardando al mercato dei videogiochi, lui che tra PC e console ha divorato titoli e macinatoo esperienze come moltissimi altri appassionati. Se in passato era più difficile sperimentare e formarsi, mano a mano hanno cominciato ad aprire anche in Italia accademie e organizzazioni dedicate agli sviluppatori.
«Mi sono iscritto alla Digital Bros Game Academy dove ho frequentato un anno di game design. Ho voluto provare, per vedere se mi sarebbe piaciuto. Mi sono divertito e impegnato un sacco: passavamo le notti assieme sui progetti. Ed è lì che ho conosciuto le persone che mi sono portato dietro in Jyamma Games». Enotria non è stata l’opera prima del team, partito con nove persone. I lavori iniziali si sono concentrati su quattro titoli mobile. «Dopo oltre 800mila download, sentivamo l’esigenza di fare altro».
Leggi anche: Da grande voglio fare videogiochi. A scuola da Digital Bros Game Academy
Sviluppare in pandemia
L’anno di svolta è il 2020, quando la startup ha iniziato a lavorare sul soulslike. La pandemia, come per molte software house, ha ritardato le uscite, ma al tempo stesso ha anche permesso un lavoro più agile con team diffusi in tutto il mondo. «L’esigenza era di avere un prodotto che non fosse il solito prodotto italiano stereotipato, ma valorizzasse folklore, fauna, flora e la nostra storia. Per far capire al mondo che le software house italiane sanno fare bene i videogiochi». Evidenza che non smettiamo mai di sottolineare ogni volta che abbiamo l’opportunità di raccontare i profili di valore che popolano l’ecosistema.
Al momento la software house conta 64 membri nel team. «Più del 65% è straniero». La produzione – chi ci ha giocato lo avrà notato – non è banale con una mappa di gioco abbastanza vasta. «Siamo tutti appassionati di soulslike e la nostra prima intenzione era farne uno, a modo nostro». Risorse contenute e team con qualche decina di persone erano le condizioni di partenza. «Questi prodotti sono legati a un’utenza hardcore e hanno la loro fetta di pubblico. FromSoftware sviluppa i suoi videogiochi da decenni con centinaia di persone. Partire da un prodotto così è molto difficile. Volevamo cercare di renderlo più nostro. Anzitutto volevamo renderlo più accessibile».
Il titolo ha collezionato, come prevedibile, encomi e critiche su alcuni aspetti legati al gameplay e al combat system. Ma come ci ha detto Greco il primo esperimento in un genere così sfidante è riuscito. «È uno dei giochi, numeri alla mano, che ha venduto di più nel settore videoludico italiano, oltre 100mila copie. Siamo a cinque mesi dall’uscita e abbiamo recuperato quasi metà dell’investimento. Il ciclo di vita di un prodotto simile dura 8 anni. Abbiamo altri titoli su cui stiamo lavorando».
Lavorare nel gaming in Italia
In Italia il mercato dei videogiochi, secondo dati del 2024 di IIDEA, registrava un giro di affari da 2,3 miliardi di euro. Numeri importanti, ma che ancora ci vedono inseguire altri Paesi Europei (gli USA giocano un altro campionato). «In America Enotria è stato molto apprezzato, ma ci ha sorpreso anche il feedback in Italia. Il problema del nostro Paese, rispetto a Francia e Polonia ad esempio, è che non vengono fatti finanziamenti adeguati».
Il comparto ha subìto un’impennata di consumi durante la pandemia, per poi riassestarsi negli anni successivi. Nel frattempo l’industria ha fatto i conti con un 2024 non facile per il mercato del lavoro: migliaia i licenziamenti che hanno colpito sviluppatori e creativi. Su questo aspetto Greco ha fornito la propria lettura. «Il problema principale deriva dal fatto che i tripla A richiedono centinaia di milioni, con migliaia di persone al lavoro. E quando un prodotto costa così devi vendere decine di milioni di copie. Non è un mercato con pochi giochi, ce ne sono moltissimi e le grazie aziende devono stare sopra gli standard. Altrimenti c’è il flop». In prospettiva il Ceo pensa che il mercato punterà su format diversi. «La tendenza da anni è verso videogiochi più piccoli a costi più bassi». Terreno di competizione dove le realtà indie avrebbero molto da dire.