Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro Gentilezza impetuosa: dal conflitto al confronto, edito da FrancoAngeli.
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Nel 1960, mentre il mondo era sull’orlo della guerra nucleare per la polarizzazione fra due superpotenze, Eleanor Roosevelt pronunciò queste parole profetiche: “Dobbiamo prendere atto che i casi sono due: o moriamo tutti insieme, o impariamo a convivere – e se vogliamo convivere, dobbiamo parlarci”. Tale affermazione giunse a seguito di due guerre mondiali e della proliferazione delle armi atomiche, nonché di una lezione impegnativa da digerire: che gli atti compiuti da una nazione avrebbero potuto perturbare il precario equilibrio tra governance geopolitica, economia e diritti dei cittadini.
Roosevelt aveva raggiunto quella conclusione grazie ai suoi decenni di esperienza nella comprensione degli aspetti politici e psicologici del potere. Come first lady degli Stati Uniti e loro delegata presso l’Assemblea Generale delle Na- zioni Unite, aveva svolto un ruolo influente nella stesura della Dichiarazione universale dei diritti umani. La sua conclusione era che, in assenza di interventi correttivi, l’avidità, l’apatia e il senso di impotenza – insieme alla paura del cambiamento, dell’ignoto e dell’altro – avrebbero portato all’attuazione di tattiche di sopravvivenza del tipo “o tutti o nessuno”.

L’idea che qualcuno potesse sopravvivere mediante le politiche isolazionistiche, il nazionalismo e l’oppressione non era più in linea con i tempi. La first lady sottolineò che la sovranità individuale o la pace duratura non potevano più fungere efficacemente da pilastri della diplomazia e delle regole di ingaggio basate sui principi arcaici del ricorso alla guerra, della contrapposizione e delle “lotte” per il cambiamento… e lo fece sessant’anni fa. Le parole di Roosevelt oggi fanno ancora venire i brividi, e sono forse più attuali che mai. Guardatevi intorno. Malgrado il suo monito inequivocabile, il dialogo fra di noi è diventato ancora meno rispettoso.
È tragico ma, dopo aver celebrato la fine della guerra fredda nei primi anni Novanta, in un modo o nell’altro siamo caduti di nuovo in varie rivalità globali polarizzanti. È da secoli che una corrente sotterranea di discordia e polarizzazione fa parte della nostra condizione umana, ma dalla seconda metà del XX secolo la sua velocità è aumentata senza più calare. Dopo altri decenni in cui le polarità si sono accentuate – ricchi/poveri, destra/sinistra, capitalismo/comunismo, democrazia/autocrazia, Nord/Sud, per non parlare del razzismo e della misoginia – queste stesse modalità superate di contrapposizione ci hanno riportato sull’orlo di una catastrofe globale. Il mondo sta subendo le ricadute dell’instabilità politica ed economica, delle violazioni sempre più frequenti dei diritti umani e dell’incremento del numero di rifugiati.
Il report annuale pubblicato nel 2021 dalle Nazioni Unite, molto amate da Eleanor Roosevelt, con il titolo “La nostra agenda comune: report del segretario generale” afferma con chiarezza: “Ci troviamo a un punto di inflessione nella storia. La pandemia di Covid-19 è stata per noi un campanello d’allarme, e adesso che incombe la crisi climatica il mondo è di fronte alla prova più grande dai tempi della Seconda guerra mondiale. L’umanità è chiamata a fare una scelta netta e urgente: crollare o svoltare. Le decisioni che prendiamo – o non prendiamo – oggi potrebbero causare un crollo ulteriore e un futuro di crisi perpetue, o una svolta verso un futuro migliore, più sostenibile e pacifico per le persone e il pianeta”.

È interessante notare che, mentre dagli anni Sessanta a oggi il nostro dia- logo civile si è attenuato, la tecnologia si è sviluppata a una velocità inimmaginabile. La nostra è una specie di inventori dotati di un grande ingegno. In quanto tali, abbiamo operato svolte incredibili nell’ambito della ricerca scientifica e delle neuroscienze. Le nostre invenzioni in gran parte ci hanno reso la vita più comoda, confortevole, creativa ed efficiente. Ma abbiamo anche usato queste conoscenze per costruire armi in grado di spazzare via da questo pianeta ogni essere senziente.
Lo stesso spirito innovativo che ci ha fatto ottenere trionfi enormi in molti ambiti – industria, trasporti, scienza, ingegneria, medicina e altri – ha anche creato condizioni che hanno portato all’esaurimento di risorse naturali, al costante aumento delle disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza e dei beni di uso comune e all’indifferenza verso le persone colpite da catastrofi climatiche e sanitarie o dai postumi dei conflitti. In altre parole, sembra che abbiamo perso di vista la minaccia ubiquitaria posta dalla tecnologia proprio nei confronti delle caratteristiche che ci rendono umani. Da un punto di vista economico, lo stesso sistema di libera impresa che ci incoraggia a essere creativi e a innovare ci mette gli uni contro gli altri, come rivali malevoli da battere per tutelare i profitti degli azionisti. Veniamo educati e provocati a vincere a ogni costo.
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A mano a mano che l’attuale era dell’informazione fa scorrere il tempo più veloce e ci riempie la mente ogni giorno di una quantità sempre maggiore di dati da elaborare, siamo sempre in meno a fare un passo indietro, esaminare, valutare e porci domande fonda- mentali, come “Dove ci sta portando tutto questo… e a quale scopo?”. È piuttosto paradossale che, malgrado la tecnologia abbia semplificato enormemente i rapporti sociali, non ci siamo mai sentiti più lontani dal provare un senso autentico di connessione e di appartenenza. I disturbi mentali, la depressione, la dipendenza da droghe e alcol, i suicidi, il bullismo online, la cosiddetta cancel culture e la violenza di ogni genere sono in aumento.
Sembra esserci discordia ovunque volgiamo lo sguardo, compresi gli ambiti in cui in passato le buone maniere costituivano la norma. Quando ci prendiamo il tempo di passare al vaglio tutta la confusione che regna nello stato attuale del mondo in cui viviamo, emerge una causa complessiva dei nostri traumi collettivi che ci ha portato a questo punto della storia: abbiamo basato il mondo su un sistema ipernutrito dal punto di vista tecnologico e malnutrito da quello spirituale. Le nostre priorità sono incentrate soprattutto sul profitto, sulla politica e sull’intelletto invece che sul cuore. Essenzialmente abbiamo messo nel dimenticatoio l’enorme potere dello spirito umano, quella parte di noi in cui risiede la saggezza che ci rende compassionevoli e capaci di interagire con rispetto, di trovare un terreno comune e di prendere decisioni fondate sul rispetto, sull’onore e sulla generosità.

“Per avere un mondo libero, pacifico e prospero dobbiamo rafforzarci sempre più, in particolare nell’ambito spirituale”, disse nel 1954 Dwight D. Eisenhower. Questo presidente degli Stati Uniti, oltre che insigne generale ed eroe della Seconda guerra mondiale, aggiunse poi che saranno l’etica, la giustizia, il progresso e il valore della libertà individuale a farci raggiungere tale obiettivo. “Dev’esserci qualcosa nel cuore, oltre che nella testa”. Come vediamo succedere a livello mondiale, la sovrabbondanza di nutrimento tecnologico (intelletto) abbinata a un nutrimento spirituale (cuore) insufficiente non è la strategia migliore per garantire la sostenibilità e la qualità di vita a lungo termine. Questo squilibrio del nostro sistema mondiale diventa visibile in vari modi. Lo notiamo quando:
- le grandi società (entità inanimate) hanno altrettanto potere quanto le persone, o ancora di più;
- si premiano i fabbricanti dell’industria bellica, mentre i soldati e le loro famiglie vengono trascurati – purtroppo, per esempio, venti veterani dell’esercito statunitense si tolgono la vita ogni giorno;
- ci sono abbastanza risorse per sfamare tutti quanti, ma la fame nel mondo continua a esistere;
- le persone sono vittime di burnout per mantenere uno stile di vita che associano al successo; dedicano interamente il loro tempo al lavoro o alla carriera, sopravvivono invece di prosperare e sono troppo stanche per vivere momenti di qualità con amici e familiari o mettersi al servizio di una causa più grande di loro.
Questo squilibrio sta permeando ogni aspetto della nostra vita. L’economia mondiale è appesa a un filo e risulta vulnerabile nei confronti di molti fattori che la mantengono in uno stato di incertezza – inflazione, tassi d’interesse in rialzo, problemi delle filiere che forniscono alimenti e altre commodity e aumento dei prezzi di gas, cibi e materiali da costruzione, solo per citarne alcuni.
A causa delle politiche avventate introdotte in tutta Europa per far fronte alla carenza di alloggi e di carburanti, l’ansia e il clima di sospetto diventano sempre più profondi. Le proteste nelle città del mondo sono quasi diventate di routine, con la gente che scende in piazza per ogni genere di cosa, dall’autonomia di scelta sul proprio corpo alle in- giustizie razziali, la libertà di parola e la crisi climatica. Genitori e docenti si scontrano di continuo nei consigli d’istituto. La scarsa capacità di molti Paesi di prendersi cura dei cittadini malati, indigenti e privati dei loro diritti non può più essere ignorata. È ora di esaminare gli effetti debilitanti di ciò che premiamo e consideriamo importante oggigiorno, e di adottare un approccio come quello della gentilezza impetuosa per ovviare alla nostra mancanza di libertà d’azione individuale, alla dissonanza che esiste nei nostri rapporti e ai problemi globali da cui siamo afflitti.
Questo ci impone di riesaminare istinti umani molto basilari che causano separazione, imparando a ignorarli, e successivamente di incorporare strategie che ci portino ad avere rapporti umani più profondi, con meno violenza, più autenticità individuale, più partecipazione civica e modi più sani di trattare il pianeta che è la nostra casa. Da dove possiamo iniziare, dunque, e quali indicazioni possiamo seguire per passare dalla paura alla speranza? Eleanor Roosevelt tracciò un quadro preoccupante del mondo, ma offrì anche una soluzione molto chiara, semplice ed efficace. Io la riassumerei come segue.
- Nessuno è esente né dalla responsabilità di determinare come sarà il futuro che vivremo insieme, né dalle conseguenze di tale processo di determinazione.
- Lavorare insieme è l’unica via percorribile verso un futuro dove alberghi ancora la speranza.
- La base di tale collaborazione, nonché il suo fattore abilitante, deve essere la disponibilità a parlarsi in modi che consentano di superare le differenze per arrivare a soluzioni di maggior respiro e qualità.
- Il modo in cui comunichiamo attualmente non sembra funzionare. Ci serve un modo nuovo e più evoluto di parlare e interagire, che soddisfi le necessità imposte dalle sfide che abbiamo di fronte.
I quattro punti che ho citato sono la base degli argomenti che affronteremo in questa prima parte del libro. Per arrivare dal punto in cui ci troviamo alla meta che ci prefiggiamo dobbiamo allontanarci dal rumore, smettere di posizionarci gli uni contro gli altri e iniziare davvero a parlarci. Il rimedio non è facile da applicare, ma è semplice da capire: dobbiamo coltivare un modo di comunicare che promuova la fiducia e la collaborazione, oltre ad attenuare gli estremi che creano divisioni, paura e sfiducia. Dobbiamo superare i costrutti mentali che ci separano, tornare ad abitare il nostro cuore e ricordare chi siamo nella versione migliore di noi stessi.

Forse ciò di cui abbiamo più bisogno per poterci parlare con efficacia in questa epoca di informazione erronea o fuorviante, e di intolleranza verso le idee diverse dalle nostre, va nella direzione di ciò che propone il noto fisico teorico David Bohm nel suo libro On Dialogue. Al suo interno, l’autore analizza l’etimologia delle parole “dialogo” e “discussione” e i motivi per cui è importante. Mentre “discussione” deriva dalla stessa radice di “percussione” e “concussione” e significa “separare le cose”, il termine “dialogo” proviene dal greco “διάλογος (diàlogos)”, che possiamo tradurre “il significato della parola”.
A mano a mano che sviluppiamo la capacità di ascoltare il significato più profondo di ciò che viene comunicato, oltre a focalizzarci su ciò che ci unisce, cominciamo a instaurare rapporti dura- turi e basati sul rispetto, anche con coloro che magari in questo momento consideriamo avversari o estranei. È uno stato che ci permette di riportare l’equilibrio in un sistema che attribuisce oggi un grande valore alla tecno- logia e non ha fiducia nello spirito umano. Grazie alla maggiore stabilità, finiamo per trovare la via del ritorno dall’ansia, dall’impotenza e dall’isolamento, arrivando a una nuova consapevolezza dell’interconnessione fra tutti noi.