People say I look happy
Just because I got skinny
Billie Eilish, Skinny
Lidia – Non dite niente sul mio girovita, natura crudele! Un attimo per andar su di chili, poi mesi per andar giù, o anche solo invertire la tendenza!
Maria – Lascia perdere, Lidia. Dai che stai bene, dice mio marito quando mi vede allo specchio, ma glielo leggo negli occhi che pensa altro.
Sonia – Eh ragazze, mica abbiam tutte la fortuna di Francesca, che può mangiare un bue e non mette su un etto, quante creme e zumba e sacrifici risparmiati!
Francesca (abbassando lo sguardo) – E pensate che sono incinta.
Attimi di cupo silenzio.
Febbraio, quattro amiche al bar, aperitivo dopo ufficio.
E rieccoli, Alessandro e Gabriella, vecchio linguista lui, lei content writer militante, appassionata di DE&I, di nuovo affacciati a una scena piena di significati. Appassionati entrambi dell’ascolto – anche involontario, estemporaneo, come quello al bar – dal gelo caduto sul tavolo a fianco capiscono che è meglio allontanarsi, discreti. Ma figurarsi se, appena usciti, non commentano.
Gabriella – Come volevasi dimostrare.
Alessandro – Cosa?
G – E come sei magra! E che fortuna, non hai bisogno di andare in palestra! Le frasi che si dicono alle persone magre. E paragoni entusiasmanti con acciughe, chiodi, manichini. Quando l’aspetto è particolarmente smilzo, si contano le ossa. E poi l’interrogatorio: Mangi abbastanza? Sei a dieta? Non mangi dolci o pasta, vero? Oh ma non è che mi diventi anoressica? Hai provato a sentire un medico? Hai abbastanza energie? Ma un panino ogni tanto, no?
A – Linea sottile, tra l’innocuo e l’inopportuno, tra l’apprezzamento e il giudizio. Considerando che è difficile conoscere la storia di ciascuna persona e il rapporto col suo corpo, in effetti possono suonare come un’attenzione gentile ma anche come una critica.
G – Ecco perché è utile riflettere su ciò che c’è dentro le parole sui corpi, di cui facciamo il pieno attraverso immagini, pubblicità, canzoni, prodotti e servizi, credenze popolari. Da un lato il mito della magrezza, elevata a standard di bellezza e moda, quasi di felicità – come racconta Billie Eilish del suo brano “Skinny” -, dall’altro quel misto di ostilità, forse invidia, forse diffidenza, che può diventare stigmatizzazione verso le persone magre, a volte invisibile. Parole che diventano parte delle conversazioni quotidiane e che dicono molto del rapporto tra corpo e società, tra estetica e identità.
A – Certo, farsi cucire addosso dei giudizi per il proprio corpo è una realtà che risparmia poche persone. Se hai qualche chilo in più, sarai nel mirino di chi vuol farti sentire a disagio. Se nei hai in meno, avrai altri problemi. Qualunque sia il tuo aspetto, qualcuno troverà qualcosa da criticare, facendoti pagare il prezzo di essere come sei, ed ecco il body shaming. Non è più così fondato, dunque, il luogo comune che a una donna piaccia essere magra?
Le parole pesano, anche sui maschi
G – Tempo fa ho parlato con un’amica, Ludovica. È alla sua prima gravidanza e mi ha raccontato la sua storia di skinny shaming. I giudizi sul suo corpo magro, spesso vestiti da complimenti, le hanno fatto male fin dall’adolescenza.
L’ultima di una lunga serie di considerazioni non richieste sul suo corpo è stata: «Aspetti un bambino? Ma non si vede proprio!».Mi ha fatto riflettere su questo fatto: i movimenti femministi degli anni Settanta hanno combattuto la grassofobia, ossia la discriminazione delle persone considerate grasse, e diffuso i concetti di fat acceptance e body positivity, ossia l’accettazione di tutti gli aspetti fisici a prescindere da taglia/forma (e pure colore, genere e abilità fisica). La narrazione sulle discriminazioni legate all’altro lato della medaglia, l’eccessiva magrezza,è rimasta piuttosto silente. Molti anni dopo, nel 2007, una scossa importante fu data da Oliviero Toscani nella famosa campagna contro l’anoressia: la crudezza delle foto della modella divise il pubblico e i critici, fra chi la ritenne educativa e chi la considerò sciacallaggio pubblicitario.
A – Femminismo, eh? Quindi sono solo le donne a soffrirne? Ho passato gran parte della mia vita in palestra, e ti assicuro che anche lì, nello spogliatoio, c’è un mucchio di uomini con la convinzione che il maschio si misura dal muscolo. Si chiama vigoressia: è detta anche “complesso di Adone” (giuro!). Tende a fondere il muro di pregiudizi sulla mascolinità con una distorta percezione del proprio corpo, scatenando una preoccupazione ossessiva e una conseguente compulsione all’esercizio fisico. Anche lì ne ho sentite di parole sulla magrezza, e non erano complimenti.
Anche gli standard imposti agli uomini possono essere delle vere gabbie, che impongono di adeguarsi a un canone: si potrebbe essere magri per via di un metabolismo veloce, o essere geneticamente predisposti a un corpo magro, o avere dei disturbi.
Con un’aggravante, se pensiamo alle personalità in costruzione: secondo una ricerca di Skuola.net su giovani fra i 10 e i 17 anni, circa un adolescente su tre riceve ogni giorno commenti negativi sul proprio fisico, nel 60% dei casi da coetanei, ma anche da giovani un po’ più grandi (8%) o addirittura da adulti (20%).
G – È vero, ne risentono anche gli uomini. Un uomo a me molto vicino, di qualche anno più grande di te, mi ha raccontato spesso dei commenti ricevuti sul suo peso. Spesso erano proprio i suoi amici ad andarci giù pesante, a fare confronti. Magari loro vivevano quei commenti come bonarie dimostrazioni di affetto e di goliardia, ma toccavano corde delicate nel cuore e nella testa di questa persona e forse rimbombavano più come offese.
Tre dimensioni della percezione corporea
G – Ammetterai, però, che le aspettative sociali sulle donne sono più marcate. Dire a una donna «Come sei magra!» suona quasi come una certificazione di valore. Ho scoperto che nel Medioevo c’erano donne, prevalentemente religiose, che già soffrivano di disturbi alimentari: si parla di anorexia mirabilis, perché veniva considerata una forma di devozione, un modo per trovare la via verso la santità. Peccato che fosse, a tutti gli effetti, un disturbo alimentare, motivato sì da uno scopo più alto, ma che poteva comunque portare alla morte. Il caso più noto è quello di Santa Caterina da Siena. Forse già da allora abbiamo interiorizzato il paradigma per cui i commenti sui corpi magri, tutto sommato, sono positivi?
A – Io non credo: dal Rinascimento, con la riscoperta della bellezza del corpo umano, non più soltanto prigione dell’anima come nel Medioevo, ma armonia e proporzione, le donne vengono rappresentate nella loro rotondità e sinuosità. Cosce, fianchi e ventre sono belli pieni (magari troppo per gli standard attuali?).
G – Da qualche decennio, comunque, la donna magra è in genere considerata una persona privilegiata e invidiata, emblema di successo e disciplina. Questo immaginario si riflette in personaggi come Miriam Maisel, protagonista di una famosa serie tv. Miriam incarna alla perfezione l’ideale della donna che, vivendo in un’epoca di rigidi standard estetici, conosce e padroneggia tutti i segreti di bellezza per aderirvi ed essere perfetta: conosce con precisione i centimetri del petto, del girovita, dei polpacci, e si sottopone a dei sacrifici per mantenersi entro quei canoni. La sua dedizione al controllo del corpo evidenzia l’idea diffusa che la magrezza non sia solo una caratteristica innata, ma una condizione raggiungibile attraverso disciplina e privazioni. In questo contesto, l’espressione Come sei magra! non viene percepita come un’offesa, ma come un complimento che sottintende approvazione sociale e riconoscimento di un privilegio. O almeno, per Miriam Maisel era così.
A questo proposito, mi vengono in mente gli studi di Virgie Tovar, docente e autrice americana, nonché attivista che ha dedicato la vita e la professione alle discriminazioni basate sul peso. Lei individua 3 dimensioni che corrispondono a come si forma la percezione del nostro corpo:
- intrapersonale: come ti senti e cosa pensi riguardo al tuo corpo;
- interpersonale: come gli altri percepiscono e trattano il tuo corpo;
- istituzionale: come il tuo corpo ti condiziona la vita nella società, dall’accesso al lavoro alle cure mediche, dall’accessibilità degli spazi pubblici ai tuoi consumi (es. abbigliamento).
Queste dimensioni s’intersecano, e influenzano il modo in cui una persona vive il proprio corpo e il mondo che la circonda, in positivo come in negativo. Insomma, la percezione del proprio corpo si costruisce su equilibri che dipendono da noi, certo, ma anche da ciò di cui facciamo esperienza nel mondo. Quando tutti e tre i livelli tendono verso una rappresentazione negativa, possono ingenerarsi vere e proprie ingiustizie, come il bullismo a scuola o la frustrazione degli adulti per i giudizi del medico sul peso corporeo eccessivo o insufficiente. Quando invece gli elementi si combinano in modo positivo, ecco che si rientra nell’olimpo delle persone che non subiscono ingiustizie legate al peso. Che non significa in automatico una percezione intrapersonale, interiore, positiva. Oltre al fatto che, come dice America Ferrera nel film di Barbie, «Devi essere magra, ma non troppo. E non puoi mai dire di voler perdere peso. Devi dire che vuoi essere sana».
A – Beh, Barbie, appunto. Comunque, è vero, anche se dagli anni Novanta diverse associazioni hanno rivendicato il diritto di ogni persona ad avere un’immagine positiva del proprio corpo, la stigmatizzazione delle persone magre è stemperata in un discorso ancora forse troppo generico sull’accettazione individuale del proprio aspetto.
G – È la body positivity mainstream, quella diffusa sui social, che si tende a ridurre a una questione di autostima. Certo che puoi avere anche riserve di amor proprio e autostima, ma certi consigli non richiesti percepiti come giudizi, o il sentirsi invidiare per la propria magrezza,senza sapere se lì dietro si celi un malessere, o un periodo di apprensione e di terapie, non dev’essere facile.
Magro = bello? Davvero?
A – Resta il fatto che definire una persona magra inibisce meno che chiamarla grassa.
G – E chissà poi cosa c’è di inibente nella parola grassa. È un aggettivo, esprime solo una delle qualità. Meglio rotonda, morbida, in carne, formosa, robusta, curvy? Il politically correct non diventa qui ridicolo, anzi amplificando un aspetto che è, appunto, solo un aspetto, non la totalità della persona? Come mai è così evidente quanto sia fuori luogo commentare l’altezza o la bassezza, la dimensione del naso o dei piedi o dei mignoli, e invece sul grasso e sul magro fioccano commenti senza ritegno? Mara Mibelli e Chiara Meloni, autrici del libro Belle di faccia, tecniche per ribellarsi a un mondo grassofobico, consigliano “a chi è grasso di far pace con questa parola e di riappropriarsene”, ritenendolo “un gesto rivoluzionario”.
A – Già. Molte delle frasi motivazionali (da bar) che si leggono nei social – Devi amare te stessa, Sei bella così, Sei ben più di ciò che vedi allo specchio – dimostrano che ancora il grasso è considerato una colpa, o un fallimento, perché la diet culture ci ha convinto che un corpo grasso può essere cambiato con impegno e sacrificio.
Ed ecco quindi la distorsione automatica del pensiero: grasso=brutto, magro=bello. Strano, perché se stiamo all’etimo di “magro”, dentro il macer latino c’è l’eco dolorosa del macerare, del maciullare, del corpo macilento.
È vero che poi la lingua spesso s’inventa dei paradossi. Il risultato positivo di un test medico dei medici che in realtà è un fatto negativo. Ma è anche vero che esistono molte espressioni fondate proprio sul pensiero opposto al magro=bello: una magra consolazione, i periodi di magra, le vacche magre, la magra figura, il magro bottino, il magro stipendio, indicano malessere, ristrettezze di esistenza. Invece quelli delle vacche grasse sono tempi di benessere, il grasso che cola è un profitto sovrabbondante, le grasse risate rinfrancano lo spirito, il giovedì grasso è l’apice del carnevale. Lasciami citare anche il grande Fernando Botero, che diceva: «Non dipingo donne grasse, dipingo la voluttà, la plasticità, la sensualità dei volumi». È l’esaltazione della vita, è piacere, abbondanza, vitalità, energia, desiderio.
G – Cambiare l’automatismo grasso=brutto /magro=bello è difficile, richiede tempo e fatica. Ecco perché è importante guardare dentro le parole: c’insegnano sempre qualcosa sui pensieri che le abitano, e a volte ci obbligano a rivederli.
A – Ok. Alleggeriamo con un tocco musicale?
G – Aiuto, andrai mica sui Queen con Fat Bottomed girls?
A – Ero tentato ☺ Invece ti regalo il gioioso sound della Rosalina di Fabio Concato:
Rosalina, Rosalina, a me piaci grassottina
Amore mio ti voglio bene come sei
sei eccitante al punto che ti sposerei
Mia madre dice che col tempo dimagrirai
ma non importa amore non cambiare mai
Immagine in alto: photo credit Pexels – Andrea Piacquadio