C’è quel bellissimo proverbio (inventato) coniato dal trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo – «Chi sa fare, sa capire» – perfetto per un mestiere antico, che usa parole non così in voga nel 2025, mentre rimbombano sulla stampa termini come AI, data center e quantum computing. Il liutaio, a Cremona, è un lavoro ancora di bottega. Nella città di Stradivari la presenza del Museo di Violino è un vantaggio per chi costruisce pezzo dopo pezzo strumenti ad arco. «Se sto facendo un violino Cremonese 1715 e sono indeciso su come fare la punta, stacco un attimo, vado a vedere l’originale e ritorno in bottega. Sembra una banalità, ma per il resto del mondo è incredibile». Davide Negroni, classe 1991, ha seguito le orme del padre, a sua volta liutaio e docente sotto il Torrazzo.
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Nella settimana di Sanremo, StartupItalia si concede una variazione rispetto allo spartito nazionalpopolare e fa tappa nella capitale del violino, dove la liuteria cremonese è Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. In questa puntata della nostra rubrica Viaggio in Italia abbiamo incontrato un artigiano per farci raccontare il contesto, i materiali, le competenze e i luoghi. La tradizione è fondamentale e va rispettata, ma grazie al digitale questa città adagiata sul Po e affacciata sull’Emilia rimane collegata col mondo grazie all’eco dei social e a un turismo di nicchia molto interessato alla materia.
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Perché Cremona?
Cremona è considerata la culla della liuteria perché qui, nel XVI secolo, si è sviluppata un’arte artigianale che ha saputo mescolare tradizione, innovazione e una sensibilità estetica. La città ha dato i natali a maestri come Andrea Amati, Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri, i cui violini non sono soltanto strumenti musicali, ma opere d’arte. Chissà se si può parlare di segreto dei violini cremonese. Fatto sta che in una piccola città di provincia sono circa 200 i liutai presenti.
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Com’è la vita in una bottega?
Il liutaio che abbiamo incontrato tiene bottega a due passi da piazza Duomo. Qui attorno ne orbitano tantissime altre. Le si riconosce non tanto dalle insegne, quando dall’atmosfera al loro interno. Tanto legno, luci calde e lampade puntate sugli strumenti. In generale, molto silenzio mentre si lavora. «Sono cresciuto in una famiglia di artigiani – ha raccontato Davide – mio nonno era tappezziere così come il mio bisnonno. Mio padre poi ha deciso di fare la scuola di liuteria. Sono cresciuto nelle botteghe e per me è sempre stato un gioco».
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Il liutaio non è certo un mestiere che resiste al tempo: si farebbe un torto a un intero comparto che è sì di nicchia ma che continua ad attirare la curiosità e la stima dei musicisti in tutto il mondo. «Al momento sto costruendo un violoncello per un malesiano. Ci sentiamo una volta a settimana, gli mando le foto. Per mio padre sarebbe stato fantascienza ai suoi tempi. Ma senza i social sei fuori mercato. Quando ho aperto la pagina Facebook in molti pensavano fosse una perdita di tempo».
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Ma visto che è un Viaggio in Italia facciamoci raccontare come è questa bottega, facendoci anche aiutare dalle fotografie. «Mio padre, che ha insegnato, ha sempre avuto ragazzi in bottega. A me invece piace molto la mia solitudine. Gli spazi sono importanti. Alcuni liutai hanno piacere pure a fare aperitivo in bottega. Ma io sono più per una bottega intima. Lavoriamo con la lampada, è uno spazio buio».
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Come in una foresta
Alle pareti, in penombra, si possono ammirare i protagonisti, gli strumenti e tutti i loro componenti. «Nella liuteria si usano tre tipi di legno: l’abete rosso di risonanza, quello della Val di Fiemme e della Val Pusteria. Negli scorsi anni ricordo che c’è stata la devastazione della tempesta Vaia che ha colpito quelle zone. Credo sia il legno più bello al mondo. Poi un’altra parte del violino si realizza con l’acero: io preferisco il croato anche se non è facile trovarlo. E poi l’ebano per la tastiera: l’africano è il più bello». Il mercato è comunque globale con molta della materia prima che arriva dall’India così come da Bulgaria e Romania. I clienti? «O i musicisti o il commerciante. Lavoriamo molto con l’Asia».
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E come si potrebbe descrivere la routine di un liutaio? «Sono metodico, ma i ritmi sono particolari. Non ho orari fissi, perché passando tutta la giornata in bottega bisogna anche farsi da segretario, pensare alle bollette e sapersi vendere». A Cremona – città che non può cerco ambire al turismo di massa di una Milano distante appena un’ora di treno – le persone arrivano davvero da tutto il mondo.
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«Giapponesi, cinesi, coreani stravedono». Alcuni hanno perfino aperto bottega e imparato il mestiere a Cremona, per rimanerci, affascinati da una città che è molto più paese di capoluogo. Inutile negarselo poi: la competizione tra colleghi c’è. Perché farsi costruire un violino a Cremona ha il suo valore. «L’aver così tanti liutai permette di confrontarti tantissimo però. Se vivi in una città dove sei l’unico alla fine il tuo mestiere non evolve. Con altri invece c’è competizione e la voglia di migliorarsi».