Ha creato un’ intelligenza artificiale che fa l’interior designer. Scansiona una stanza, prende le misure, ti ascolta e suggerisce arredi reali. Così un processo che spesso è improvvisato e caotico diventa automatizzato.
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Lei è Lora Fahmy, 30 anni, architetta e computational designer, nata in Italia da una famiglia egiziana. Ha studiato tra Pavia e la Cina, ha lavorato tra Shaghai e Barcellona. Con lei c’è un tecnico, Alessandro Duico, 27 anni, laureato in intelligenza artificiale alla Delft University of Technology.
Insieme hanno fondato la startup elephantroom.ai e da Sondrio, proprio qualche giorno fa, hanno fatto application per YCombinator, il più prestigioso acceleratore al mondo, dove viene ammesso solo l’1% delle startup che si candidano.
Storia nella storia. Lora è una dei magnifici quattro scelti da Liquid Factory, lo startup studio fondato da Fabrizio Capobianco, che connette la Valtellina alla Silicon Valley, con l’obiettivo di spingere le nuove generazioni a pensare in grande. Ha sbaragliato 181 candidati provenienti da 20 Paesi. E per costruire la sua startup e scalare ha deciso di rientrare in Italia.
La sua storia inizia nella periferia milanese. Lora studia ingegneria dell’architettura a Pavia, ma il percorso le sembra troppo lineare: «Sono un’inquieta». Così si iscrive a un double degree program con l’università Tongji di Shanghai, dove si laurea. L’idea iniziale era di tornare in Italia subito, ma si accorge di un problema. «In un mese ho mandato 50 candidature in Italia e nessuno mi ha risposto. In Cina? Quattro candidature, quattro risposte».
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Viene assunta in uno studio americano, con sedi sia in Cina sia in Europa. Quando il visto sta per scadere, decide di rientrare e sceglie la Spagna per lo stesso studio, inizia poi a lavorare su progetti diversi. Dal design di un’unità abitativa su Marte (con cui lo studio vince poi un concorso della NASA) a un progetto di costruzione di scuole in Ucraina con pezzi assemblabili, fino un sistema che indica ai disabili quali strade fare sulle pendenzE di Barcellona.
Poi un bisogno personale. «Ho visto mia mamma persa nel processo di sistemarsi una casa comprata dopo 30 anni di lavoro. Ho iniziato a pensare a come automatizzare il processo, rendendo tutto più semplice e indipendente».
Intanto Lora torna a studiare, fa un master alla IAAC di Barcellona e scopre il potenziale dell’unione tra architettura e tecnologia. La scuola stessa, qualche tempo dopo, le chiede di organizzare un master proprio con questo scopo: esplorare l’unione tra design e AI. «Ho preparato un programma bellissimo e convinto 20 studenti a iscriversi: la retta era di 30mila euro».
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Ed è proprio a Barcellona che una sera incontra Fabrizio Capobianco. «Mi avevano detto: c’è un italiano “spettacolare” di Sondrio che viene a raccontare un progetto per le nuove generazioni. Sono andata pensando che poteva servirmi per trovare nuovi studenti».
Rimane entusiasta di The Liquid Factory (link leggi qui) e Capobianco le dice: «Mi sembri una ragazza sveglia, perché non ti candidi?». «Ho mandato un video in cui mi raccontavo e presentavo la mia idea che all’epoca era solo una frase. “È possibile che– con tutte le tecnologie che abbiamo- arredare casa sia ancora un processo lungo, doloroso e tendente all’errore?”».
A quel punto Capobianco le chiede di esplorare a fondo l’idea. «Con un telefono scansioni la casa, prendi le misure e poi, attraverso una conversazione con l’IA, vedi in tempo reale tavoli, divani e poltrone posizionarsi nella stanza. Definisci il budget, sposti gli arredi, cambi stile con il solo input della tua voce».
Ora la startup è avviata. «Si chiama elephantroom.ai perché l’elefante nella stanza è quel peso di doversela cavare da soli quando si arreda. L’elefante rimpicciolisce, fino a scomparire, a mano a mano che si prendono delle decisioni».
Ed è qui che entra in gioco Alessandro, oggi chief tecnology officer. Di Sondrio, appassionato di tecnologia, ha passato la sua adolescenza a sviluppare app. A 19 anni è a Milano, si laurea in Ingegneria Informatica al Politecnico, poi cerca corsi di intelligenza artificiale. Li trova alla Delft University, in Olanda, dove consegue una laurea in artificial intelligence. E dopo due anni di studi full immersion, decide che quello è il suo campo. Crea Archie, da Archimede, un’App che aiuta gli studenti a risolvere problemi di matematica. «L’IA diventa un tutor. Non ti dà la soluzione come ChatGPT, ma ti scompone il problema in tre passaggi, spingendoti a ragionare».
Per testare l’app, Alessandro passa l’estate a San Francisco. Si rende conto che il suo target sono i ragazzi dai 12 ai 18 anni, che non sarà facile convincere qualcuno a pagare 10 euro al mese. Poi torna, inizia a fare video su TitTok per raccontare la sua idea, diventa virale ma si accorge quanto è difficile trasformare un like in un acquisto vero e proprio. A metà novembre, è a Sondrio a casa dei genitori e propone questa idea a Liquid Factory.
«Capobianco mi ha spiegato che scalare sarebbe stato difficile, ma tre giorni dopo mi ha richiamato per chiedermi se volevo essere il CTO di un’altra startup. Ed eccomi qui.» Tecnico con un background in geometria 3D e videogiochi, Alessandro ora sta codificando tutto il processo con l’intelligenza artificiale.
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Il prodotto sarà lanciato ad aprile, al Salone del Mobile. Il modello di business? «sarà gratuita per gli utenti e prenderemo una percentuale sulle vendite effettuate attraverso la piattaforma».
Cosa fanno intanto a Liquid Factory? «Abbiamo un ufficio, siamo circondati da un sacco di persone estremamente capaci, che ci mettono in difficoltà e ci danno feedback molto diretti. È un continuo spronarci a fare meglio. Ci hanno dato 200.000 euro, e come dice Fabrizio, i soldi vanno spesi per arrivare prima possibile dove dobbiamo arrivare. Noi vogliamo assumere…».
Lezione imparate? «Da ingegnere pensi che il prodotto sia tutto. La verità è che va adattato a quello che vuole l’utente. E il marketing conta tantissimo» spiega Alessandro. «Io ho imparato che devo fidarmi del mio istinto quando prendo decisioni – aggiunge Lora – , mantenendo lucidità e senza innamorarmi troppo della soluzione, ma rimanendo appassionata al problema». Dove si vedono fra un anno? Rispondono insieme, senza esitazioni: «A San Francisco». Pensare in grande è l’unica opzione.