La paura di sbagliare le parole, certe credenze come quella secondo cui il linguaggio inclusivo minaccia la lingua tradizionale. E poi molta ansia ed emozioni negative, al punto da condizionare il 30 per cento dei comportamenti linguistici.
Sono questi – secondo la ricerca scientifica Il linguaggio inclusivo tra resistenze e cambiamenti. I risultati della ricerca Words – gli ostacoli più marcati che frenano l’adozione di un linguaggio rispettoso delle diversità. «Le decisioni che prendiamo rispetto al linguaggio da utilizzare dovrebbero, al contrario, essere maggiormente basate sulle evidenze scientifiche che non sulle spinte emotive o su credenze personali», spiega la professoressa Claudia Manzi, docente di Psicologia Sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha coordinato la ricerca.
L’unicità di questo studio – basato su analisi qualitative, quantitative e su una fase sperimentale effettuata su un campione ampio di partecipanti – sta proprio nel metodo scientifico messo in campo per capire ragioni e costruire soluzioni, laddove in genere sono, invece, le opinioni, i convincimenti e le percezioni individuali a dettare la rotta. «La nostra ricerca dimostra che è possibile far abbassare le difese che le persone costruiscono rispetto a questo tema.
È importante che l’Università collabori con le realtà organizzative proprio per studiare soluzioni solide e basate su evidenze empiriche», commenta Manzi, che ha coordinato l’indagine, realizzata in collaborazione con Diversity & Inclusion Speaking. e a cui ha preso parte anche la popolazione del Gruppo Mediobanca. La ricerca ha esplorato a fondo le resistenze psicologiche e culturali, evidenziando il ruolo cruciale delle emozioni nel favorire o ostacolare l’uso di un linguaggio inclusivo.
Sulla base dei risultati emersi è stato costruito uno strumento di promozione del linguaggio inclusivo: il libro Words, curato da Alexa Pantanella, in collaborazione con diversi/e autori e autrici (è possibile scaricare il volume qui: https://lnkd.in/drEMhvz4).
Nel testo che inquadra il tema del linguaggio inclusivo in maniera ampia, sono affrontate le principali credenze che ostacolano l’adozione di questo linguaggio e favorite riflessioni sulle proprie emozioni sul tema.
Dall’analisi dei dati, emerge che le persone che hanno letto Words migliorano i propri atteggiamenti verso il linguaggio inclusivo. Words infatti ha anche portato a una riduzione dell’ansia legata alla paura di sbagliare, soprattutto tra gli uomini.
Si è inoltre dimostrato efficace nel modificare i comportamenti, promuovendo l’adozione di un linguaggio più inclusivo anche tra chi ha atteggiamenti inizialmente più negativi; In ultimo, ma non per importanza migliorale competenze, ovvero la capacità di utilizzare e riconoscere il linguaggio inclusivo.

Professoressa Manzi, educare il proprio linguaggio per imparare a scegliere con cura le parole, affinché queste creino empatia, rispetto, comprensione può, abbiamo visto, generare ansia. Perché succede?
Perché il parlato vive di automatismi e non è facile controllarli. Molto spesso le parole escono in maniera del tutto inconscia, e solo in seguito se ne prende consapevolezza. Le persone, dunque, possono avvertire fastidio verso la richiesta di una più attenta consapevolezza sulle parole oppure ansia, perché percepiscono tale richiesta come impegnativa e fuori dalla loro portata. Vorrei, comunque, chiarire che parlare in modo inclusivo non significa ridurre questa dimensione a parole sì e parole no: il linguaggio inclusivo ha una portata molto ampia e si misura sull’attenzione che si presta alla persona che si ha davanti. E, in ogni caso, visto che spesso l’ansia matura sulla paura di sbagliare parole, mi piace evidenziare che l’errore è da mettere in conto. Intendo dire che si può e si deve correre il rischio di sbagliare, accettare molto serenamente che accada.

Quali sono, nella ricerca, le più rilevanti evidenze empiriche sulla capacità del linguaggio di plasmare il clima sociale dentro le organizzazioni?
La ricerca ha documentato attraverso il metodo scientifico che le parole inclusive costruiscono senso di appartenenza, che quelle che escludono fanno sentire ai margini e che il linguaggio ha un impatto sul benessere e la fiducia reciproca, quindi sull’autoefficacia, sull’impegno verso l’organizzazione e sulla performance. Dunque, comunicare in un modo che sia equo e accogliente si ripercuote in maniera positiva sia sul singolo che sull’organizzazione. Credo che ciascuno e ciascuna di noi ne faccia anche personalmente esperienza nella vita quotidiana; sto pensando, ad esempio, alla doppia declinazione dei nomi maschile/femminile, che in molti contesti ha soppiantato la declinazione esclusivamente al maschile e che sta contribuendo a valorizzare la presenza delle donne.
Dopodiché il sessismo trova tuttora strade molteplici per esprimersi attraverso la lingua.
Certamente, il sessismo linguistico non si riduce all’uso o meno della doppia declinazione. La questione è molto, molto più estesa e complessa. Un’affermazione come “È molto brava in questa materia per essere una donna” sottintende una visione in cui all’essere donna è attribuito meno valore rispetto all’essere uomo, una visione che, attraverso espressioni verbali come queste, continua effettivamente a plasmare la realtà in tale direzione discriminatoria. Dopodichè, nel lavorare alla ricerca sono emersi alcuni aspetti paradossali: per esempio un uomo ha raccontato di non usare la doppia declinazione – maschile e femminile – perché temeva di dare l’idea di essere femminista, di andare contro, insomma, certe norme sociali ancora molto stereotipate.
Insiste sulla potenza trasformativa che ha il linguaggio sulla realtà, aspetto sul quale altri studi si sommano a quello coordinato da lei. Ci sono ulteriori risultanze di come il linguaggio equo generi impatti positivi misurabili?
A proposito di linguaggio di genere, mi viene in mente un’interessante ricerca svolta in una scuola elementare. Gli insegnanti chiedevano ai bambini e alle bambine di disegnare le persone che svolgevano una determinata professione. Quando la professione era nominata con il maschile generico, i disegni erano per la quasi totalità di uomini; quando, invece, si usava la doppia declinazione, soprattutto le bambine disegnavano più donne. Perché e importante? Perché sapere “vedere” una professione al femminile, in un mondo ancora molto stereotipato sul piano di genere, aiuta a nutrire il proprio immaginario, a recepire che quella professione è alla propria portata e, da adulte, a formulare più facilmente un progetto professionale in quella direzione. Risultati simili sono stati raggiunti in uno studio sperimentale in cui le donne venivano confrontate con annunci di lavoro. Nel caso in cui l’annuncio era formulato con la doppia declinazione, le intenzioni a fare domanda erano nettamente superiori.
Detto questo, il linguaggio inclusivo è molto divisivo: genera contrasti e polarizzazioni molto accentuate tra le persone. Come mai?
Si tende spesso a trattare le questioni che riguardano il linguaggio con molta emotività e riducendole spesso a opinione personale, invece di guardarle con razionalità e facendosi supportare da studi scientifici.
Io penso che si siano estrapolate delle opzioni per l’utilizzo del linguaggio inclusivo, la schwa, per esempio, e a quelle singole opzioni si sia ridotta la complessità del tema. È importante invece supportare le persone a ragionare sull’evoluzione naturale che le lingue hanno e sugli effetti negativi che possono avere le parole “sbagliate” o non accoglienti, spesso senza rendercene conto.
L’indagine che ha coordinato lei ha messo in evidenza differenze rilevanti tra gruppi socio-anagrafici: donne e gruppi appartenenti a minoranze risultano più competenti nell’usare il linguaggio inclusivo rispetto agli uomini e, in genere, alle persone dei gruppi di maggioranza, e mostrano anche una maggiore propensione a rimanere aggiornati e informati sull’argomento. Come si allarga l’interesse alle altre parti?
Aiutando le persone a diventare consapevoli del fatto che il linguaggio che accoglie – ribadisco – è una dimensione molto ampia il cui scopo è il rispetto delle persone con cui interagiamo ogni giorno, affinché tutte si percepiscano riconosciute e si sentano a proprio agio. E poi, all’interno delle organizzazioni, occorre aiutare gli individui a comprendere che un linguaggio disattento e non equo può generare effetti molto negativi sulle persone, effetti di cui non sempre si ha consapevolezza, così come a prendere coscienza del fatto che le lingue non sono apparati fissi, ma organismi che cambiano e si evolvono in continuazione.