In un’intervista al quotidiano La Repubblica, Max Sirena, skipper di Luna Rossa, uno tra i team che parteciperanno all’America’s Cup 2027 nel golfo di Napoli, alla domanda se avessero preferito gareggiare da Cagliari, dove la squadra italiana ha la sua base, ha risposto: «Non siamo stati minimamente coinvolti in questa discussione. Siamo stati informati del dialogo tra il governo e New Zealand, ma in realtà non abbiamo mai partecipato. Nella scelta avrà pesato il pubblico italiano che segue numeroso la Coppa: grazie anche a noi di Luna Rossa».
Che cosa ha detto Max Sirena sull’America’s Cup
A La Repubblica Max Sirena ha dichiarato: «Abbiamo regatato a Napoli nel 2012 per un evento dell’America’s Cup: mai trovato un pubblico del genere. Una marea di gente venuta a vedere queste barche, mentre noi eravamo a bordo sul Golfo di Napoli, tra la città e le isole: uno dei posti più belli al mondo. Sarà un evento speciale». Lo skipper di Luna Rossa è stato uno dei protagonisti di SIOS23 Sardinia. Durante l’evento aveva spiegato: «La Coppa America è un gioco particolare, il trofeo sportivo più ambito al mondo. Un team si prepara anche 3 anni e mezzo senza possibilità di fare regate e, così, ogni giorno cerchiamo di guadagnare dei decimi di nodo avendo un mezzo altamente tecnologico con cui navigare e interagire. Sarà la barca più veloce, poi, e a fare la differenza e il fattore umano, i velisti, i tecnici, io e tutto il team così come il momento in cui si prendono decisioni faranno la differenza in termini di performance. Questa barca è stata interamente costruita a Cagliari, una delle 3 città italiane che garantisce 200 giorni di navigazione. Abbiamo scelto Cagliari non solo perché ha uno tra gli specchi d’acqua più bello al mondo, ma anche perché è una città in grado di accogliere le famiglie con le scuole, i servizi ecc..».
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«La tecnologia deve essere usata per farci vivere meglio, anche come strumento di sostenibilità – ci aveva raccontato – Una barca di Coppa America rappresenta la massima evoluzione da un punto di vista tecnologico, e ci sono molti modi per aiutare e migliorare il nostro ambiente di lavoro. Io sono abituato a non pensare a quello che possono fare gli altri, ma a quello che posso fare io, perché è attraverso il nostro modo di vivere che generiamo un impatto sull’ambiente che frequentiamo. Dobbiamo iniziare a cambiare le nostre abitudini. Da qui parte l’innovazione. Sono tanti i piccoli passi che possiamo compiere per mandare un messaggio alle multinazionali; altrimenti, prima o poi, ciò che butti in mare, il mare te lo ridà. Ci sono paesi in giro per il mondo dove le spiagge sono ricoperte di plastica. Basta un piccolo gesto da parte di ciascuno di noi».