«Sono nata e cresciuta in un piccolo paese in Calabria, vicino a Lamezia Terme. Leggevo tantissimo, anche perché l’unico intrattenimento era la biblioteca. Altrimenti dovevi giocare a pallone. Leggere era come viaggiare. Quando mi sono iscritta alla Cattolica di Milano non avevo un piano B: per poter permettermi le borse di studio dovevo mantenere una media molto alta. Non sono andata contro i miei genitori, ma so che erano spaventati dalla mia passione per i rischi». Clorinda Sgromo, classe 1992, ci parla dal nord dell’Australia dove qualche mese fa è arrivata per ricominciare da capo in un Paese dove, per rimanere, bisogna darsi molto da fare.

In questa nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo” raccontiamo la sua esperienza, tra Italia, Stati Uniti, Svizzera e Australia. Per lei non è un punto di arrivo. «Questa precarietà non mi fa paura. Ovvio che è uno stress non avere una stabilità, ma puoi giocarla a tuo favore e puoi riprenderti il tempo libero». A molte ore di fuso orario lontano da casa ha fatto di tutto, lavorando negli eventi ma anche nelle farm. «Voglio cercare la mia strada».

WhatsApp Image 2025 07 04 at 14.32.30 2

Un giro del mondo fino all’Australia

Come per altre storie che abbiamo raccontato nella rubrica c’è chi parte per poi tornare – magari con un enorme bagaglio da reinvestire nell’ecosistema – e chi si attarda all’estero molto spesso con il pensiero all’Italia. Quel che è sconsigliabile è partire alla cieca. Clorinda Sgromo ha fatto esperienza all’estero, come a New York, e ai tempi dell’università si è mantenuta pagandosi gli studi con vari lavori. L’esatto opposto della persona dalle spalle coperte con la fortuna di girare il mondo senza preoccupazioni.

Per lei casa non è la Calabria, ma Milano. «La prima ad andar via dal sud è stata mia madre, per ragioni lavorative. Si era trasferita a Como e poi l’ho raggiunta per frequentare l’università a Milano. Ho studiato comunicazione. Quando in Australia mi presento dico che sono di Milano». Come tanti altri colleghi si è dovuta mantenere gli studi lavorando, nel frattempo coltivando la propria passione, in particolare per l’influencer marketing.

«Nel 2016 avevo un mio blog di lifestyle e sognavo di vivere all’estero e parlare in inglese. Era un modo per applicare la mia passione per arte e comunicazione. Siccome avevo questa predisposizione per i social media ho chiesto di fare una tesi su influencer marketing. Ma la proposta non ha convinto nessun prof». Per dire quanto possono cambiare percezioni e intere industrie in meno di dieci anni. «Non era un lavoro, non c’era dibattito. I social venivano affidati agli stagisti, senza strategia».

WhatsApp Image 2025 07 04 at 15.51.55

Una tesi come trampolino

Alla fine è riuscita a farsi affidare una tesi sperimentale, che le è valsa anche un riconoscimento accademico: il suo lavoro citato in un corso. «Mi sono resa conto che in Italia non c’era qualcosa di adatto a me. Così ho fatto application per gli USA e ho ottenuto una internship a New York». C’è stata per tre mesi, lavorando in una PR agency che organizzava eventi in ambito moda e cinema.  

Di ritorno in Italia ha lavorato in L’Oréal. Poi a un certo punto in H&M Italia cercavano una figura di digital marketer e ha proseguito la carriera nl settore. Fino a quando non ha di nuovo lasciato il Paese per la vicina Svizzera. «Il mio punto è che ho sempre sognato di aver un lavoro creativo che mi desse soddisfazione. Ero arrivata a un punto in cui sentivo di non avere prospettive. La mia vita era diventata il mio lavoro. Prima di partire per l’Australia ho provato a mettere paletti. Ho sviluppato di più gli hobby».

WhatsApp Image 2025 07 04 at 14.32.31

Mondo nuovo, nuove regole

Così è arrivato il momento dell’Australia. «Sono partita a Melbourne. Volevo lavorare nel marketing sportivo nella città degli Australian Open e di un Gran Premio di Formula 1. Sono i miei sport preferiti. Ma non avevo in mano nulla. Non è facile ottenere qua un lavoro se sei europeo. Il visto che ho è turistico e lavorativo». Così ha deciso di spedire CV. Ma le cose in quel Paese funzionano in maniera diversa come ci ha spiegato.

«Tu puoi arrivare qua con una working holiday visa: hai un anno per lavorare per sei mesi consecutivi. Si capisce che le grandi aziende non ti assumono, perché non hanno garanzie nè prospettive». Quel documento è estendibile fino a due anni, ma occorre prima lavorare per 88 giorni in zone remote dell’Australia. «In quel caso l’azienda può sponsorizzarti. Al momento sono da poche settimane nel nord dell’Australia. So che in futuro dovrò crearmi qualcosa di mio».