Prima di un concreto ritorno al nucleare in Italia passeranno anni, se non decenni. Nel frattempo il governo e una parte del mondo imprenditoriale proseguono nella propria campagna di sensibilizzazione sul tema, per mostrare le potenzialità rispetto alla transizione. Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini è stato chiaro: «Non dobbiamo mollare questa strada».

Quanti posti di lavoro genererebbe il ritorno al nucleare in Italia?
Secondo uno studio condotto da Confindustria ed Enea, il ritorno dell’energia nucleare potrebbe generare una crescita del 2,5% del PIL italiano con ricadute anche sull’occupazione, generando fino a 120mila nuovi posti di lavoro. La questione si trascina da decenni, almeno da quel referendum a fine anni Ottanta che in Italia ha comportato la chiusura delle centrali.
Su quella pagina storica un imprenditore come Stefano Buono, Ceo di newcleo, è stato chiaro tempo fa in un’intervista a StartupItalia. «L’unico olocausto nucleare – ci diceva – è stato quello che col referendum del 1987 ha colpito le persone che lavoravano in questo settore, con grandi opportunità perse per il Paese. I morti che conto per il nucleare sono i 154 di Chernobyl, mentre a Fukushima non ce n’è stato neanche uno. Oggi è l’energia più sicura».

Tornando a Orsini, il presidente di Confindustria ha citato i dati: i consumi odierni in termini di energia sono 300 terawatt/ora e nel 2050 raddoppieranno a 600. «Serve capire – ha detto – come colmare questo gap. Benissimo le rinnovabili, ma anche qui abbiamo lanciato un allarme: i 150 gigawatt mettiamoli a terra velocemente, non possiamo essere contrari alle rinnovabili e al nucleare». Secondo gli scenari analizzati, con un primo impianto operativo dal 2035, questa energia risulterebbe vantaggiosa fin da subito.