Pierluigi Paracchi insegna che la ricerca biomedica può essere scalata globalmente: dall’Ospedale San Raffaele ha fondato Genenta Science, spinoff che sviluppa terapie geniche contro tumori ed è l’unica biotech italiana quotata al Nasdaq. Ha trasformato una carriera da VC in impatto clinico, con resistenza, visione e ostinazione. Il segreto? Un mix di rigore scientifico, management internazionale e spinta mission‑driven. Un’impresa che dimostra come un asset biotech possa diventare strategico per l’Italia. Genenta ha vinto SIOS nel 2019. L’Open Summit quest’anno celebra i dieci anni. Non perderti SIOS25 il 17 dicembre a Milano a Palazzo Mezzanotte.
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«Noi stiamo già trattando il glioblastoma multiforme, un tumore del cervello. Oggi non ci sono cure, ma stiamo ottenendo risultati preliminari, siamo in una fase con primi pazienti. Iniziamo a vedere l’impatto sulla sopravvivenza a due anni, quasi raddoppiata. Ci aspettiamo che questo possa avere il miglior impatto possibile sui pazienti». Ci sono storie che partono da lontano e che arrivano col tempo ancora più lontano. Addirittura fanno il giro del mondo. Quella che stiamo per raccontare è volata fino a New York, unica società italiana quotata al Nasdaq. Ma tutto nasce in Italia, in quell’ospedale San Raffaele che è diventato nel tempo un crocevia di talenti, di pazienti, di speranze, ma soprattutto di ricerca e di studio. È una storia che sa di incontri significativi che resistono all’urto del tempo, in un mondo che spesso si stufa, si annoia e passa oltre. È una storia di quella resilienza che è anche sana ossessione per fare le cose per bene.

Ostinazione, certamente. Ma suffragata da dati, test, prove inconfutabili di quella ricerca che fa sistema. Ma questa è anche la storia di una Vita Straordinaria innamorata della finanza, con la quale ha iniziato la carriera, per poi approdare al biotech, orientandosi alla qualità di vita dei pazienti. Biotech, dicevamo. In fondo è il futuro perché studia la cosa più preziosa, ossia la vita. «Pensa se non l’avessi fatto». Così ama ripetere Pierluigi Paracchi, che avete ascoltato poco fa dalla sua viva voce. È quella visione ostinatamente contraria al più diffuso detto figlio del qualunquismo «Ma chi me lo ha fatto fare?». Eppure Pierluigi Paracchi è così: inguaribile ottimista, sognatore coi piedi per terra. Classe 1973, in tasca una laurea in economia presa all’Università Cattolica di Milano. Aveva più il mito della finanza che dell’imprenditoria Pierluigi, essendo cresciuto con Wall Street di Oliver Stone. Ma poi ha sempre fatto entrambe le cose. Una formazione finanziaria, eppure col tempo Pierluigi si occuperà di scienza. Identità multiple. Pensate che mentre era trader già faceva lo startupper. Una cosa è certa. Si è liberato in fretta dalle catene del lavoro dipendente.

«Sono stato tra i peggiori dipendenti nella storia», ha detto senza mezzi termini in un’intervista proprio a StartupItalia. Uomo dei record: è stato il primo in Italia a creare un fondo di venture capital dedicato al biotech nel lontano 2002. Erano gli anni post bolla dot.com. Un tempo di consapevolezza, dopo la sbornia hi-tech. «Penso che in Italia dell’innovazione non frega niente a nessuno, non porta voti essendo un Paese di dipendenti pubblici e pensionati. Quindi non mi tiro mai indietro quando vedo qualche cosa che non va». Ecco. Sono ancora le parole spietate, dirette, senza mediazioni di Pierluigi. Facciamo però un passo indietro, anzi più d’uno. A 29 anni Pierluigi Paracchi è fondatore e guida di Quantica SGR, tra i primi VC italiani partiti dopo il deserto della bolla. E da quella posizione privilegiata perché attenta ai fenomeni legati all’innovazione capisce in fretta che i deal migliori possono arrivare dal life science. Sono le scienze della vita a orientare i mercati.

Poi alla fine del 2013 la sua exit destinata a restare nella piccola grande storia delle startup italiane: la vendita per mezzo miliardo di dollari agli americani di Clovis di quel gioiello conosciuto come Eos, società che all’epoca sviluppa una nuova molecola antitumorale. Un’operazione con un rendimento di 12 volte superiore. C’è poi la parentesi di successo di Altheia Science e finalmente la bella storia, quella di Genenta Science, che sin da subito si distingue per il modello: qualità della ricerca italiana ma orizzonte internazionale con investitori profondi. Avete sentito bene. «Profondi» li definisce Paracchi. Non è un aggettivo a caso. Sono investitori che accettano il rischio e che hanno pazienza. «È un percorso lungo e accidentato dove devi avere quella leggerezza che ti permette di vedere sempre la meta là lontana anche quando tutto intorno c’è confusione e distrazione», dirà nel tempo Pierluigi a proposito di Genenta Science, fondata a Milano nel 2014 e sul podio dello StartupItalia Open Summit come startup dell’anno 2019. Nel tempo diventa la prima società italiana nel listino hi-tech americano. Anche in questo caso per Pierluigi è una partita plurale. Accanto a lui c’è Luigi Naldini, uno dei più accreditati scienziati nella terapia genica. L’obiettivo di Genenta è curare i tumori con agenti infiltrati, estraendo quel che c’è di buono nel virus dell’HIV, detto in maniera assai semplice. «Una fiction scientifica che sta diventando un fatto». Così l’Economist ha definito Genenta. Visione e concretezza. In fondo è la storia di Pierluigi Paracchi, una delle nostre Vite Straordinarie. E questo è il suo ritratto fuori dal comune.