«Nel nostro archivio puoi cercare tutti i castelli italiani in cui ha vissuto un fantasma. Puoi mescolare i tag e conoscere le leggende. Oppure uno sviluppatore può essere alla ricerca di spunti sull’aviazione. Non ci sostituiamo al game narrative designer, non forniamo storie. Solo territori». La passione per l’archivio Andrea Dresseno la coltiva da molti anni, almeno da quando a Bologna ha gestito la biblioteca dei videogiochi. «Ci potevi andare a giocare come chi va in biblioteca a prendere un libro. C’era una sezione con giochi, la saletta con tutte le console. Volevi The Legend of Zelda: Ocarina of Time? Noi ti mettevamo a disposizione il Nintendo 64».

Il digitale non esiste
A distanza di anni Andrea Dresseno, pur non curando più quegli spazi, continua una missione tenace e al tempo stesso romantica, in un Paese che troppo speso derubrica i videogiochi a passatempi, hobby stupidi, quando tanto ci sarebbe da dire per elogiarne la potenza narrativa. Nato a Vicenza, Dresseno ha 44 anni e vive a Bologna da tempo. Ha curato l’archivio Chaplin della Cineteca e sa cosa quanto sia importante il fisico nell’epoca in tutti tutto è in streaming, tutto è in abbonamento, tutto è a portata di click sul cloud.
«Un tempo scrivevo sulle riviste di videogiochi e mi ricordo di un articolo nel quale sostenevo che il digitale non esiste. Per me il digitale può essere un problema. Se acquisti su GOG possiedi qualcosa che è in tuo controllo. Hai il file esecutivo. Ma per quanto riguarda le console, sappiamo che se gli shop chiudono, come nel caso di Wii, i titoli sono perduti». Una copia fisica di un libro, di un videogioco, di qualsiasi opera dell’ingegno umano è un impegno verso il passato. Per proteggerlo e tramandarlo.

Videogiochi per non dimenticare
Andrea Dresseno non si occupa più della biblioteca del videogioco, ma continua a catalogare spazi e luoghi. È presidente dell’Associazione IVIPRO (Italian Videogame Program), un progetto partito dal basso che ha un obiettivo semplice: facilitare chiunque voglia a produrre videogiochi ambientati in Italia, legati alla cultura e al folkore. Lo ha fatto ad esempio con un A Painter’s Tale: Curon, 1950, titolo di qualche anno fa sviluppato da Monkeys Tales Studio.
«Il progetto è stato supportato da IVIPRO e ci ho lavorato personalmente. Eravamo in quattro, a lavorare per puro piacere, senza una reale logica di business». Su StartupItalia abbiamo recensito questo indie, elogiandone in particolar modo la volontà di parlare di una pagina di storia sconosciuta ai più. Eppure si tratta si uno dei luoghi più noti dell’Alto Adige, fondale di innumerevoli scatti social. Ci riferiamo a Curon, un borgo che non c’è più.

Una startup che racconta la storia di Curon
Nel secondo dopoguerra quel Paese della Val Venosta è stato sacrificato per la realizzazione della diga di Resia. L’omonimo lago artificiale ha aumentato la propria profondità da 5 a 22 metri, sommergendo tutte le abitazioni. Rimane ad oggi soltanto una traccia di quell’operazione industriale costata dolore e sacrifici agli abitanti di Curon: quel campanile che spunta dalle acque.
«Ricordo ancora come ci è venuta l’idea. Ero in Alto Adige, a cercare spunti per luoghi per videogiochi. Una volta arrivati a quella meta per turisti ne ho scoperto la storia. Per questo il titolo è dedicato ai migranti. Volevamo trasmettere un messaggio universale di accoglienza e di rispetto verso chi è costretto ad abbandonare casa».

Chi giocherà al titolo scoprirà la storia vera attraverso schede che di volta in volta si sbloccano. Alcune licenze d’autore ci sono, ma pur sempre funzionali al racconto di una pagina dimenticata. E come se non utilizzando anche i videogiochi? «Spesso non ce ne accorgiamo: Mafia, Assassin’s Creed, Red Dead Redemption, tanti titoli attingono dal folklore. Agli IVIPRO Days che ci saranno a Trieste tra fine ottobre e inizio novembre ospiteremo un sacco di software house che lavorano su questi temi».
L’Italia, terra di videogiochi
Le stesse software house italiane hanno un’attenzione particolare per il territorio. «Anche in questo caso cito alcuni nome: The Town of Life, Marta Is Dead, Saturnalia. Il territorio è un concetto ampio, non solo fisico». Nella filiera del gaming il ruolo di questa associazione non è creare storie, ma suggerire i luoghi (mappa alla mano) che le possano ospitare. «Di recente uno studio di Londra ci ha mandato a fare tre giorni di sopralluoghi in Umbria. Ho visitato 11 musei in tre giorni. Stiamo collaborando a vari videogiochi in lavorazione dove faccio il game narrative designer».

Anche così si impara, si fa divulgazione e si danno strumenti alle persone per conoscere. «Lo chiamo apprendimento tangenziale. Se giochi a un videogioco o guardi un film puoi essere stimolato ad approfondirne i temi. Ricordo che negli anni Novanta avevo giocato a Broken Sword e mi era piaciuto talmente tanto da mettermi a leggere libri sui templari. I videogiochi non ti fanno studiare, ma stimolano l’interesse. E lì c’è tutto il loro potenziale».