Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro Viaggio nel mondo invisibile di Antonella Fioravanti, edito da Aboca Edizioni.
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La storia dell’umanità è strettamente intrecciata con quella delle malattie infettive, che ha spesso determinato il corso degli eventi in modo drammatico e irreversibile.
Epidemie e pandemie hanno devastato città, imperi, modificato assetti sociali ed economici e ispirato innumerevoli opere letterarie, lasciando un segno profondo nella memoria collettiva.
Questo capitolo è per quei lettori che riconoscono che siamo la memoria che ci ha portati sin qui – ma soprattutto per quelli che ancora non se ne rendono conto. In ogni caso, se siamo vivi oggi lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, nella lunga catena di eventi, nascite e morti, che ci ha condotti proprio dove siamo, io, voi, esattamente ora.
Se dovessimo inserire la comparsa dell’uomo sulla Terra nella grande linea del tempo, dagli albori fino a oggi, la nostra razza apparirebbe solo negli ultimi 5 minuti sul pianeta. La Terra ha 4,5 miliardi di anni. C’è stato un tempo remoto in cui, nello stesso cammino attorno al Sole, viaggiavano due mondi: la Terra e il proto-pianeta Theia. Un giorno, come se il cielo non fosse abbastanza grande per entrambi, la Terra entrò in collisione con il suo compagno di orbita. L’impatto fu immenso e Theia si frantumò. Di ciò che un tempo era Theia rimasero frammenti sparsi sulla crosta terrestre, materiale cosmico che si è poi trasformato in metalli rari. Il resto – un mix di detriti provenienti da Theia e in gran parte dalla Terra – diede origine a quella che oggi chiamiamo la nostra Luna.

La prima comparsa dell’uomo viene fatta risalire a circa 300.000 anni fa, così ci raccontano i fossili e la genetica. Ci vollero quasi altri 200.000 anni prima che gli uomini trovassero il coraggio di lasciare la loro terra d’origine e divenire così i primi migranti della specie umana. Fu il cambiamento climatico, allora un fenomeno del tutto naturale, a spingerli oltre i confini dell’Africa, dando inizio alla grande migrazione Out of Africa che li avrebbe portati a esplorare e popolare il mondo.19 40.000 anni fa, la popolazione totale della nostra specie sulla Terra non sfiorava nemmeno il milione di individui; e così rimase fino a che, con l’avvento dell’agricoltura, la popolazione umana raggiunse i 170 milioni. In mezzo ai primi secoli della nascita di Homo sapiens, tra falangi di soldati, gli Egizi, i Greci e poi la testuggine, l’impero romano si espande ovunque mentre, dall’altra parte del pianeta, la dinastia Han domina in Cina, e la Via della Seta collega luoghi distanti anni da “casa”.
Nel 300 d.C. Europa, Asia, Medio Oriente e una piccola parte dell’Africa vengono popolate; è l’Età d’Oro dell’India, la popolazione mondiale arriva a 178 milioni di abitanti. Tra il 200 e il 900 d.C. le città della civiltà Maya si espandono nel Centro America; è il 600 quando nasce l’Islam. Nel 750 la popolazione umana passa a 195 milioni ed è qui che si manifesta la prima epidemia di vaiolo, in Giappone. Il mondo compie un altro giro del tempo: è l’anno 900 – la popolazione mondiale supera i 200 milioni – quando i Cinesi inventano la polvere da sparo (che all’inizio viene utilizzata per le feste o per motivi religiosi).
Nel 1050 la popolazione mondiale sfiora i 300 milioni di persone, perlopiù concentrate in Asia; l’Europa è popolata ma gli insediamenti si concentrano soprattutto in alcune zone ben precise: bacino del Mediterraneo e Centro Europa. Le Americhe devono ancora essere scoperte, vedremo tra poco a quale prezzo. I Cinesi, ancora loro, inventano anche la bussola di navigazione: una delle grandi scoperte del genere umano insieme alla carta, la stampa, la polvere da sparo e, aggiungerei, la penicillina. A distanza di appena un secolo – siamo nel 1200 – la popolazione cresce fino a 362 milioni di individui totali. Ed è allora che si compie un doppio passaggio nella storia dell’umanità: da un lato, l’espansione dell’impero mongolo, nel XIII secolo; dall’altro, la peste bubbonica che uccide quasi 20 milioni di persone solo in Europa (un terzo degli europei nel 1300).
Questo momento segna il primo grande declino demografico nella storia dell’umanità. Ci vuole oltre un secolo per far riprendere il saldo positivo della popolazione che, alla fine del XV secolo, supera di poco i 400 milioni. Gli Europei arrivano in America: la scoperta di un nuovo mondo si trasforma nel genocidio di intere popolazioni, inizia la tratta degli schiavi, manodopera a basso costo nelle nuove terre per la civile Europa. A metà del Settecento la popolazione umana conta quasi 750 milioni di persone (concentrate sempre nelle stesse zone), e nuove tecnologie e progressi nella medicina permettono il più rapido sviluppo nella Storia della nostra specie: è la prima rivoluzione industriale. Sono gli inizi dell’Ottocento quando, per la prima volta, la popolazione umana supera il miliardo.
Europa e Oriente trainano l’accelerazione, ma adesso anche l’America Centrale e alcune parti dell’Africa Centrale diventano popolose. Alla fine dell’Ottocento viene abolita, quasi ovunque, la tratta degli schiavi (non necessariamente la schiavitù) e si entra nel secolo breve: è il 1910 quando scoppia la Prima guerra mondiale, la popolazione umana ha raggiunto gli 1,7 miliardi di persone. Nonostante lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nell’arco di mezzo secolo, si verifica una crescita senza precedenti che nel 2015 porta la popolazione umana a raggiungere i 7,4 miliardi di individui. Le proiezioni demografiche ci dicono che nel 2050 saremo 9,5 miliardi. Se i trend attuali verranno mantenuti, la popolazione umana mondiale arriverà a 11 miliardi entro il 2100. Tuttavia, la curva di natalità sta scendendo a causa della diminuzione della fertilità in alcuni Paesi: se, infatti, nel 1950 il rapporto donne/bambini nati era in media di 5 bambini per donna, attualmente le nascite sono scese a 2 bambini per donna. L’Italia non fa eccezione.
Ci sono voluti quasi 200.000 anni per far sì che la popolazione umana arrivasse a un miliardo di individui. E solo gli ultimi 200 anni per farla aumentare di 7 miliardi. Questo spiega l’impatto che la nostra specie ha, anche in termini di responsabilità, sulle risorse naturali e le altre specie sul pianeta. Tale impatto comprende: il nostro stile di vita, l’emissione di inquinamento, i consumi (che andrebbero diminuiti o quantomeno effettuati in modo responsabile) e il progressivo degrado di quell’ambiente che, fino a oggi, ha reso possibile la proliferazione della nostra specie.

Ora però, facciamo un altro salto indietro e approfondiamo la correlazione tra malattie infettive, causate da batteri e virus, e popolazione umana. Un vero e proprio focus sul micromondo tutt’intorno a noi, e su quanto l’invisibile ovunque con il quale condividiamo il pianeta impatti sulle nostre condizioni di vita e sulla nostra storia. Le prime testimonianze scritte di malattie contagiose risalgono a tempi antichissimi. Nella Bibbia si narra delle cosiddette “piaghe d’Egitto” databili al 1320 a.C. Tra queste “piaghe” si ipotizza ve ne fossero due causate da antrace e vaiolo,23 capaci di seminare terrore e morte tra la popolazione. Nel mondo classico, lo storico greco Tucidide descrisse con toni tragici la peste che colpì Atene nel 430 a.C., causando il declino di quella che fino ad allora era stata la città più potente del Mediterraneo.
La peste, nemico giurato del genere umano a più riprese durante la storia, è una malattia batterica causata dal patogeno Yersinia pestis, che si trasmetteva attraverso le pulci dei ratti malati, provocando ondate di contagio che, come abbiamo visto sopra, ridussero drasticamente la popolazione.25 La prima pandemia causata dalla peste di cui abbiamo notizia si verificò nel VI secolo d.C. e prende il nome dall’imperatore bizantino Giustiniano I, sotto il cui regno si diffuse (Peste di Giustiniano). Si stima che abbia causato la morte di circa 50 milioni di persone, pari al 35% della popolazione mondiale dell’epoca. La seconda pandemia di peste bubbonica, comunemente nota come Peste Nera, iniziò a metà del XIV secolo ed è la pandemia più devastante che il genere umano abbia mai affrontato.
Le stime sul numero totale di morti si aggirano intorno ai 75-200 milioni di persone in Eurasia e Nord Africa durante il periodo che va dal 1346 al 1353. Questo significa che solo in Europa, in meno di dieci anni, la malattia ha ucciso tra il 30% e il 60% della popolazione, ovvero tra i 25 e i 50 milioni di individui, su un totale di circa 80 milioni di persone. Se si includono le vittime in Asia e Africa settentrionale, il bilancio complessivo potrebbe superare i 100 milioni.26 La Peste Nera ebbe probabilmente origine nella Cina nord-orientale, dove causò in poco tempo la morte di cinque milioni di persone. L’epidemia si diffuse verso ovest, attraversò l’India, la Siria e la Mesopotamia, fino a raggiungere nel 1346 un importante porto commerciale, Kaffa, sul Mar Nero.
Nelle navi mercantili in partenza da Kaffa si nascondevano topi infestati da pulci portatrici della Yersinia pestis. Nell’ottobre del 1347, dodici di queste navi attraccarono a Messina, in Sicilia, con gli scafi pieni di marinai morti o moribondi. Quando le autorità portuali compresero la gravità della situazione, era ormai troppo tardi. Nei cinque anni successivi, la Peste Nera uccise quasi metà della popolazione europea. Il panico generato dall’epidemia alimentò la caccia all’untore, dando vita a pogrom antisemiti. In alcune città, le comunità ebraiche furono sterminate, accusate di essere tra gli untori; in altre, come Marsiglia, gli ebrei trovarono rifugio, facendo guadagnare alla città la fama di porto sicuro per la comunità ebraica.
La realtà sociale europea subì una profonda trasformazione man mano che la popolazione diminuiva: le guerre si fermarono, il commercio crollò, e vaste aree di terra coltivata furono abbandonate. I salari aumentarono a causa della crescente richiesta di manodopera, aprendo spazi per significativi cambiamenti sociali. La peste non risparmiò nemmeno i potenti: re, regine e importanti esponenti del clero morirono, proprio come accadeva ai poveri. Laddove l’uomo non arrivava (a livellare le disparità operate dalle classi sociali) in extrema ratio ci pensavano i batteri. Molti grandi scrittori hanno immortalato l’impatto delle epidemie sulla vita di tutti i giorni: nel Decameron, Giovanni Boccaccio racconta in cento novelle la storia di alcuni giovani che per dieci giorni si rifugiano sulle colline sopra Firenze per sfuggire alla peste del 1348; Francesco Petrarca dedica versi struggenti all’amata Laura, vittima della stessa epidemia.
Alessandro Manzoni rappresenta nei Promessi sposi il dramma della peste del 1630 a Milano, descrivendo i sospetti e le superstizioni che alimentavano l’odio per gli untori, accusati di diffondere deliberatamente il contagio. Anche nel Novecento, Albert Camus usa la peste – che durante la narrazione passa da “bubbonica” a “polmonare” – come metafora del “male assoluto” nel suo celebre romanzo La peste, pubblicato nel 1947.
Sarà solo con la scoperta degli antibiotici, duemila anni dopo la prima pandemia documentata di peste, che essa diventerà una malattia rara e, soprattutto, curabile. Il primo ricercatore a scoprire il potere degli antibiotici fu l’italiano Vincenzo Tiberio. Di origini molisane, Tiberio era ufficiale medico del Corpo Sanitario della Marina Militare. Nel 1895, osservò e descrisse il potere battericida di alcune muffe, anticipando di oltre trent’anni le ricerche di Alexander Fleming.32 Fu infatti nel 1928 che quest’ultimo riuscì a scoprire la penicillina, segnando ufficialmente l’inizio dell’era degli antibiotici.
Fino a quel momento, anche infezioni relativamente semplici, come la dissenteria, potevano risultare fatali. Poi, grazie allo sguardo curioso e ostinato di scienziati e scienziate che hanno imparato a prestare attenzione alla natura, abbiamo scoperto molecole capaci di compiere miracoli: gli antimicrobici. Sono loro che, generazione dopo generazione, ci hanno dato una seconda possibilità, molte volte nella stessa vita. Oggi sappiamo che durante la Prima guerra mondiale, per esempio, il nemico più temuto non era quello sul campo di battaglia, bensì la malattia. Si stima che il tifo, che allora veniva chiamato “la malattia da campo”, abbia mietuto 3 milioni di vite.
La scoperta di Fleming però ebbe una concreta applicazione solo alla fine degli anni Trenta, grazie al lavoro di due ricercatori, Ernst Chain e Howard Walter Florey, che riuscirono a estrarre e caratterizzare la penicillina, avviando le prime sperimentazioni su animali per dimostrare la sua efficacia nel combattere le infezioni. La scoperta degli antibiotici ha portato i tre scienziati a vincere il Nobel per la Medicina e Fisiologia nel 1945, e ha cambiato radicalmente il corso delle infezioni batteriche, consentendo di trattare malattie come la tubercolosi, la polmonite batterica e la sifilide.
Le pandemie che hanno sconvolto l’umanità non sono state causate solo da batteri, ma anche da virus, come nel recente caso del Covid-19. Tra le pandemie virali più devastanti della storia, si annovera il cosiddetto “vaiolo del Nuovo Mondo”, che decimò la popolazione indigena delle Americhe nel XVI secolo. Il vaiolo, causato da un virus altamente contagioso, era un flagello noto all’umanità da millenni: lo si fa risalire a circa diecimila anni fa, nell’Africa nord-orientale, durante la formazione dei primi insediamenti agricoli. Le prime prove tangibili della malattia sono state trovate nelle mummie egizie delle dinastie XVIII e XX (1570 – 1085 a.C.): la testa mummificata del faraone Ramses V, morto nel 1156 a.C., mostra evidenti tracce di lesioni compatibili con il vaiolo.
Sembra plausibile che il virus si sia poi diffuso in India attraverso i commercianti egiziani dell’antichità. La malattia è documentata anche in altre culture antiche: in Cina fu descritta già nel 1122 a.C., e i testi sanscriti indiani ne fanno menzione in tempi remoti.37 Le epidemie di vaiolo influenzarono profondamente anche la storia occidentale: per esempio, le prime fasi del declino dell’impero romano coincisero con crisi sanitarie come la Peste Antonina (165-180 d.C. circa), la quale si stima abbia ucciso circa 7 milioni di persone.
Successivamente, l’espansione araba, le Crociate e la scoperta delle Americhe contribuirono alla sua diffusione nel Nuovo Mondo. Quando i primi esploratori europei sbarcarono sulle coste americane, il tasso di mortalità della malattia in Europa era compreso tra il 20% e il 60% e i sopravvissuti sviluppavano un’immunità permanente. Le popolazioni indigene delle Americhe, invece, mai esposte prima al Variola virus (il vaiolo umano), erano immunologicamente vulnerabili. L’epidemia scoppiò nel 1519, quando una nave spagnola di conquistadores sbarcò in Messico, portando a bordo uno schiavo africano infettato.39 La diffusione del vaiolo tra le popolazioni indigene fu devastante, segnando l’inizio di una lunga serie di epidemie che si protrassero per decenni. Chi non moriva di vaiolo veniva colpito da altre malattie importate dagli europei, come il morbillo e l’influenza, dando origine a ondate di epidemie che durarono per generazioni.
A partire dall’arrivo degli europei nel 1492, e per la conseguente tratta di schiavi africani provenienti da aree geografiche in cui il vaiolo era una malattia endemica, il numero complessivo di morti tra i nativi raggiunse i 55 milioni, portando a una riduzione della popolazione indigena delle Americhe fino al 90%. Questa catastrofe demografica determinò il crollo delle grandi civiltà precolombiane e il totale stravolgimento delle culture locali, aprendo la strada alla colonizzazione europea e trasformando profondamente il panorama sociale, politico ed economico del continente. Questo evento, conosciuto come la “Grande Morte”, non si limitò ad avere un impatto demografico e culturale, ma influì profondamente anche sull’ambiente.
Molti studiosi ipotizzano che la drastica riduzione della popolazione, unita al massiccio abbandono delle terre coltivate e alla successiva riforestazione di queste, abbia contribuito, insieme a fattori naturali come una minore attività solare e un’intensificata attività vulcanica, che alterarono la circolazione atmosferica e oceanica terrestre, al raffreddamento climatico globale dell’epoca.
Questo fenomeno, noto come “Piccola Era Glaciale”, si manifestò tra il 1450 e il 1850 circa determinando l’abbassamento delle temperature a livello mondiale, influenzando climi e raccolti in diverse regioni del pianeta,con conseguenze pesantissime per la popolazione di quel periodo. Tale evento potrebbe rappresentare uno dei primi esempi documentati di come le attività umane, anche indirette, abbiano avuto un ruolo nel modificare il sistema terrestre ben prima della rivoluzione industriale.
Gli effetti devastanti del vaiolo diedero origine anche a uno dei primi esempi di guerra biologica. Durante la guerra franco-indiana (1754-1767), Sir Jeffrey Amherst, comandante delle forze britanniche in Nord America, fece deliberato uso del vaiolo per diminuire la popolazione dei nativi ostili agli inglesi attraverso la consegna di coperte infette alla popolazione indigena. Un progresso decisivo nella lotta contro il vaiolo arrivò nel XVIII secolo grazie al medico inglese Edward Jenner, che scoprì come l’inoculazione di una forma più lieve della malattia (vaiolo bovino) potesse proteggere gli esseri umani. Questo portò alla nascita del primo vaccino e diede inizio alla moderna scienza vaccinale. Grazie a campagne globali di vaccinazione, il vaiolo è stato dichiarato eradicato nel 1980, segnando un traguardo straordinario nella storia della medicina.

