Un esperimento in laboratorio a Oxford individua un altro meccanismo per recuperare carburante dall’anidride carbonica. Ma molti altri progetti sono in fase ancora più avanzata
Bastano motori più efficienti o biocarburanti per abbattere l’impatto ambientale del settore aeronautico? Da anni compagnie e colossi ingegneristici tentano di trovare delle soluzioni “green”. Da quelle più semplici e scontate, come progetti di piantumazione e finanziamento di impianti eolici per neutralizzare le emissioni legate ai voli e alle operazioni a terra, fino appunto ai carburanti alternativi e più verdi ricavati per esempio da oli da cucina esausti o da biomasse. Tutto questo tenendo comunque presente che secondo l’Air Transport Action Group il trasporto aereo è responsabile “solo” del 12% delle emissioni di CO2 di tutte le forme di trasporto contro il 74% di quello su gomma.
Da qualche tempo, tuttavia, si sta percorrendo anche un’altra strada (e non solo in ambito aeronautico): recuperare l’anidride carbonica e trasformarla in combustibile. Ci sta lavorando per esempio un team dell’università di Oxford, in Gran Bretagna, che ha messo a punto una procedura sperimentale che sfrutta una reazione chimica a base di ferro esposta nella rivista Nature Communications. Manca ovviamente la replica dell’esperimento su ampia scala “ma gli ingegneri chimici che hanno progettato e condotto la procedura sono convinti che possa essere davvero rivoluzionaria per contrastare il cambiamento climatico” si legge su Wired US. Fino a rendere il comparto davvero a impatto zero (e non solo, eventualmente, neutrale).
“Il cambiamento climatico sta accelerando e abbiamo enormi emissioni di anidride carbonica – spiega Tiancun Xiao, ricercatore al dipartimento di Chimica di Oxford e autore dell’articolo – l’infrastruttura degli idrocarburi è già a disposizione. Questo processo potrebbe aiutare ad alleviare il cambiamento climatico e utilizzare l’attuale infrastruttura di per lo sviluppo sostenibile“.
L’esperimento
Quando carburanti di origine fossile come petrolio o gas naturale bruciano, i loro idrocarburi si trasformano in diossido di carbonio, producendo energia e acqua. Questo esperimento ribalta dunque il processo per mutare la CO2 in carburante usando il cosiddetto metodo a combustione organica. Come? Portando a temperature elevatissime (350 gradi centigradi) acido citrico, idrogeno e un sistema catalizzatore della CO2 composto da ferro, manganese e potassio. In questo modo la squadra di scienziati ha ricavato combustibile liquido che sarebbe in grado di alimentare i motori di un jet. Purtroppo l’esperimento è stato svolto in un reattore d’acciaio inossidabile e ha fruttato solo pochi grammi della sostanza. Per cui, come per altri sistemi basati sulla cattura dell’anidride carbonica, rimane da comprenderne la fattibilità su scala infinitamente più grande.
L’idea è adattare il progetto per agguantare enormi quantitativi di CO2 sia dall’atmosfera che dalle fonti che la emettono, per esempio da una fabbrica, per rimuoverla dall’ambiente e ricavarne combustibili da utilizzare per far decollare gli aerei. Sarebbe un passaggio cruciale: non solo si eliminerebbe il principale gas serra ma lo si riciclerebbe, contribuendo a rallentare la corsa contro l’innalzamento delle temperature che potrebbe portare la temperatura globale verso un aumento medio di 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, se non prima. Sarebbe inoltre un metodo economico rispetto ad altri sistemi che per esempio ricavano combustibile da idrogeno e acqua (idrogenazione), perché userebbe meno energia elettrica. Ancora meglio e ancora meno se un impianto di recupero del genere potesse essere alimentato da energia pulita come quella solare o del vento.
La “circular carbon economy”
L’idea di un’economia circolare in termini di consumi energetici, la “circular carbon economy”, è probabilmente la strada anche nei contesti più complessi come quello aeronautico. Ma come si passerà dalla produzione di minimi quantitativi di carburante alle tonnellate che servono a un jet per rimanere in volo per ore? Xiao ci lavora anche privatamente con la sua Oxford Catalysts, adesso ribrandizzata come Velocys, che sviluppa combustibili alternativi per l’aviazione per grandi nomi come Shell e British Airways usando per esempio rifiuti urbani e per tir con motori diesel dalla carta e dal legno (in questo caso in un impianto negli Stati uniti).
Carbon Engineering
Gli altri progetti
Molti altri progetti simili sono in fase di studio o implementazione avanzata. Basti pensare al consorzio norvegese Norsk e-Fuel, il cui primo impianto a Herøya sarà operativo dal 2023 con una capacità produttiva di 10 milioni di litri l’anno da triplicare nel giro di un triennio: produrrò carburante per aerei “rinnovabile” a partire dall’idrogeno, generato da acqua ed energia pulita, e appunto dalla CO2 catturata direttamente dall’atmosfera. Oppure al progetto SUN-to-LIQUID che ha puntato sull’ossidoriduzione termochimica di acqua e CO2 in un impianto di produzione finanziato dal programma europeo Horizon in Spagna, al Technology Park imdea di Mostoles, vicino Madrid. Ancora, più specificamente sulla “Carbon Capture and Storage” ci lavorano società come la canadese Carbon Engineering, finanziata anche da Bill Gates. Mesi fa il gruppo nordamericano ha stretto un accordo con Aerion, una startup di Reno, in Nevada, impegnata a sua volta snello sviluppo di un jet supersonico business battezzato AS2 (vedi foto all’inizio dell’articolo). E che potrebbe volare alimentato proprio con il carburante sintetico ricavato dalla CO2 raccolta dalle macchine “succhia-anidride carbonica”.