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Intervista al Presidente e alla Vice Presidente di Assobiotec Federchimica per dare avvio al nuovo percorso, che ci porterà – attraverso interviste, approfondimenti, podcast e dirette social – a un altro grande evento in autunno
Che cosa è cambiato dall’anno scorso? Quasi tutto, si potrebbe rispondere. In un anno abbiamo visto cambiare le nostre priorità, modificare le abitudini, abbiamo imparato a utilizzare in modo corretto termini prima sconosciuti (basti pensare a quanti di noi avrebbero mai pensato di usare più volte al giorno in una frase parole come indice RT, tampone molecolare, vaccino a mRNA), abbiamo imparato a non dare per scontato il lavoro dei ricercatori. La biotecnologia è entrata un po’ alla volta a far parte delle nostre conversazioni quotidiane e abbiamo, forse, capito che senza ricerca, senza studio e la relativa “promozione” (in termini di finanziamenti ma anche di comunicazione adeguata) non c’è alcun Futuro Migliore.
Ed è per questo, allora, che riparte il progetto di Assobiotec, in partnership con StartupItalia, che vuole dare voce al biotech come leva strategica di innovazione per uscire dalla pandemia e come concreta risposta per una ripartenza del Paese che sia anche sostenibile. L’anno scorso insieme ad Assobiotec vi abbiamo accompagnato in un percorso fatto di tavoli di lavoro, sessioni live e un grande evento finale, che ci ha portato a costruire insieme un Position Paper e un Piano Programmatico da cui partire per dare forza alla filiera e riconoscerne appieno il valore. Oggi ripartiamo da quei due importanti documenti, da esplorare e approfondire per costruire davvero un Futuro Migliore. “Se non riusciamo adesso a creare un ecosistema che sia realmente favorevole all’innovazione e a recuperare il gap con cui ci siamo presentati all’inizio della crisi pandemica, difficilmente sarà possibile farlo in futuro”.
Abbiamo chiesto a Riccardo Palmisano, Presidente Assobiotec Federchimica, ed Elena Sgaravatti, Vice Presidente Assobiotec e CEO di PlantaRei Biotech, quali sono gli obiettivi di questo nuovo percorso e perché le startup hanno un ruolo centrale per lo sviluppo di tecnologie in ambito biotecnologico. “L’80% dell’industria delle biotecnologie in Italia è costituito da imprese di piccola e micro dimensione – ci dice Palmisano – fra il 2017 e il 2019 sono state registrate oltre 50 nuove startup innovative attive nelle biotecnologie, altre 44 solo nei primi 9 mesi del 2020, di cui 33 dallo scorso 10 marzo, segnale di una pronta risposta del comparto alla lotta al COVID-19”. Ma perché occuparsi in modo così verticale di biotecnologie? “Le biotecnologie rappresentano già oggi lo strumento per il raggiungimento di traguardi totalmente inimmaginabili fino a qualche anno fa in diversi settori”, sottolinea Sgaravatti. “Dalle Scienze della Vita alla sicurezza alimentare, dall’agricoltura all’industria, fino in generale alla Bioeconomia e tutto questo nel pieno rispetto del nostro pianeta. Non è straordinario?!”
Intervista a Riccardo Palmisano
Presidente, da dove ripartiamo e quali sono gli obiettivi di Assobiotec in questo nuovo percorso comune?
Con il nuovo progetto vogliamo costruire su quanto già realizzato lo scorso anno, lavorando per rendere concrete e operative le proposte incluse nel Manifesto per il biotech 2020 . Il tutto armonizzato con le Missioni del PNRR. Nostro malgrado viviamo un momento storico irripetibile sia in termini di attenzione alla ricerca e all’innovazione che per quanto riguarda la quantità di risorse che il Paese avrà a disposizione per superare l’attuale crisi. Se non riusciamo adesso a creare un ecosistema che sia realmente favorevole all’innovazione e a recuperare il gap con cui ci siamo presentati all’inizio della crisi pandemica, difficilmente sarà possibile farlo in futuro. Il momento è adesso e noi stiamo lavorando, anche facendo leva su questo progetto, insieme a Istituzioni e stakeholder per dare il nostro contributo, sotto forma di proposte di policy, per la ripresa e la resilienza del Paese.
Grazie ai fondi del Next Generation EU, abbiamo dunque un’opportunità senza precedenti sia per la ripresa che per lo stesso sviluppo del Paese. Secondo lei, cosa serve all’Italia per creare un contesto veramente favorevole all’innovazione?
Serve in primis una visione di lungo periodo e definire una governance dell’innovazione che sia efficace, certa e centralizzata sotto la guida dell’Agenzia Nazionale delle Ricerca realtà che, nella nostra visione, deve avvicinarsi il più possibile alle Agenzie create in molti altri Paesi del mondo, leader in innovazione, come – ad esempio – Stati Uniti, Regno Unito e Germania. Un organismo indipendente e competente, in grado di fungere da strumento di attuazione della strategia nazionale della ricerca e dell’innovazione, capace di favorire partnership e collaborazioni tra pubblico e privato, di gestire in maniera unitaria, efficiente e veloce le competenze oggi distribuite tra MEF, Mise, Università e Ricerca, Salute, Agricoltura e Regioni. Serve istituire un “One Stop Shop” per l’attrazione degli investimenti, collegato all’Agenzia Nazionale della Ricerca. Creare un’efficace rete di centri di trasferimento tecnologico, in grado di valorizzare la ricerca di Università, IRCCS e altri Enti di ricerca, trasformandola in imprese, occupazione, nuovi servizi e prodotti. E ancora misure fiscali per l’incremento degli investimenti pubblici e l’attrazione di investimenti privati. Il tutto non può prescindere da semplificazione e velocizzazione della burocrazia che affligge il Paese e da certezza del diritto, la cui mancanza scoraggia gli investimenti. Solo così si creerà un ecosistema che permetterà finalmente al Paese di guardare con fiducia al futuro.
Per il terzo anno consecutivo il nostro premio annuale per la migliore startup dell’anno è andato a una startup biotech. Che ruolo giocano le startup nel settore biotecnologico?
L’80% dell’industria delle biotecnologie in Italia è costituito da imprese di piccola e micro dimensione, che hanno avuto un ruolo propulsivo nella dinamica di crescita dell’intero comparto. L’ecosistema delle startup è un sistema estremamente fertile, basti pensare che fra il 2017 e il 2019 sono state registrate oltre 50 nuove startup innovative attive nelle biotecnologie, altre 44 solo nei primi 9 mesi del 2020, di cui 33 dallo scorso 10 marzo, segnale di una pronta risposta del comparto alla lotta al COVID-19. Tante idee di valore e progetti che però fanno spesso fatica a passare a una fase di crescita e consolidamento del proprio business. Misure stabili, incentivi per attrarre investimenti su piccole realtà nazionali, nascita di fondi per lo sviluppo del settore biotech, risorse e progetti per il trasferimento tecnologico sono i punti chiave per sostenere questo tessuto nazionale strategico.
Il settore biotech è al centro dell’attenzione mondiale grazie ai vaccini, i diagnostici e le terapie per la pandemia da Covid-19. Facendo riferimento al titolo del progetto, lei come se lo immagina un futuro migliore per la salute grazie alle biotecnologie?
Le biotecnologie hanno mostrato in modo chiaro il loro straordinario ruolo anche in occasione di questa pandemia. Dalla realizzazione dei primi test molecolari e sierologici, già all’inizio del 2020, ai programmi di drug repurposing, allo sviluppo di vaccini con piattaforme diverse, fino agli studi sugli anticorpi monoclonali, l’azione del biotech si è caratterizzata per chiarezza strategica, senso di urgenza e responsabilità. Alla fine di maggio 2020 erano già avviati oltre 1.000 studi clinici con più di 150 trattamenti in sperimentazione. Pochi mesi dopo, si contavano 167 progetti su vaccini a livello globale, con 29 di questi già passati in sperimentazione clinica. Oltre il 70% di questi progetti condotti da aziende operanti proprio nel settore delle biotecnologie. Ma non è solo la risposta alla pandemia l’ambito nel quale queste tecnologie stanno dimostrando e sempre più dimostreranno il proprio valore. Biotech vuol dire trattamenti efficaci per malattie croniche, per l’oncologia e l’onco-ematologia, per le malattie rare, partendo dalle prime terapie enzimatiche sostitutive fino alle attuali terapie geniche e, in futuro, al genome editing con tecnologia CRISP Cas9. Senza dimenticare che l’HIV è stata trasformata da malattia acuta e mortale a patologia con la quale è possibile convivere proprio grazie ai farmaci biotecnologici e che l’epatite C verrà sottratta alla sala operatoria per il trapianto di fegato sempre grazie alle biotecnologie. Numerosi sono i risultati già raggiunti grazie al biotech nella salute e altrettanto numerose sono le sfide, come quelle di utilizzare le terapie CART anche nei tumori solidi, dopo gli eccezionali risultati in alcuni tumori ematologici. E poi ci sono le proteine a DNA ricombinante, gli anticorpi monoclonali che hanno offerto straordinarie opportunità per terapie reumatologiche e dermatologiche. E, se diamo uno sguardo al passato per capire meglio cosa ci aspetta nel futuro, le insuline, l’ormone della crescita e i vaccini che ancora oggi costituiscono spesso il primo vero baluardo di sanità pubblica.
Intervista a Elena Sgaravatti
Dott.ssa Sgaravatti, una delle lezioni più evidenti di questa pandemia è che non sia più possibile disgiungere la salute individuale e delle comunità dalla salute del pianeta che ci ospita.
È proprio così e se non cambieremo con urgenza l’attuale modello di sviluppo il rischio di vedere gli effetti devastanti della nostra assenza di lungimiranza sulla nostra salute è reale. Il pericolo di una pandemia è determinato dall’aumento esponenziale dei cambiamenti prodotti dall’uomo e dagli impatti di queste attività sull’ambiente. E’ tanto interessante quanto inquietante la lettura del report della relazione tra pandemie e biodiversità realizzato nel luglio del 2020, da IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services): lo sfruttamento insostenibile dell’ambiente dovuto al cambiamento dell’uso del suolo, l’espansione e l’intensificazione dell’agricoltura, la deforestazione, la perdita di biodiversità sono tutti fattori che contribuiscono all’aumento del rischio di malattie derivante da un maggiore contatto uomo-bestiame-fauna selvatica quest’ultima considerata un enorme serbatoio di virus (se ne contano fino a 800 mila) in grado potenzialmente di infettare l’uomo. E d’altro canto sono zoonosi il 70% delle malattie emergenti come ad es..Ebola, Zika, encefalite di Nipah e quasi tutte le pandemie conosciute come Influenza aviaria, HIV / AIDS, e COVID-19.
Qual è il ruolo delle biotecnologie per uno sviluppo sostenibile e rispettoso dei limiti del pianeta?
Se è ormai a tutti chiaro che la risposta all’emergenza sanitaria è stata, è, e sarà biotech, forse c’è meno consapevolezza di quanto le biotecnologie siano la chiave anche per superare l’attuale momento di crisi economica e per permetterci di guardare a un futuro capace per la prima volta di unire crescita economica e sviluppo sostenibile, due dimensioni fino a ieri inconciliabili. Negli ultimi dieci anni le biotecnologie si sono ritagliate un ruolo di game changer nelle politiche di sviluppo sostenibile di diversi Paesi del mondo, all’interno di quello che è stato definito come il paradigma della bioeconomia circolare. Un settore in costante crescita, che in Italia vale circa 345 miliardi di euro – pari al 10,1% del valore della produzione – occupando oltre 2 milioni di persone (dati 2018). E oggi, grazie alle TEA, le tecniche di Evoluzione Assistita, siamo al centro di una nuova rivoluzione verde, la Rivoluzione Verde Sostenibile, che ci permetterà di rispondere alle grandi e urgenti sfide di un’alimentazione adeguata, da un punto di vista quantitativo e nutrizionale, per una popolazione globale in costante crescita; di contrastare gli effetti del cambiamento climatico; di preservare il nostro complesso e delicato patrimonio di biodiversità, di guidare la ripresa e lo sviluppo economico sulle fondamenta dell’innovazione.
Quali sono le sfide più importanti e urgenti che possono contribuire a risolvere le biotecnologie agricole e industriali?
Nel dettaglio, la genetica vegetale, in specie le tecniche di evoluzione assistita – o editing genetico – può accelerare e focalizzare il processo di miglioramento dei vegetali per affrontare gli adeguamenti climatici, la resistenza alle malattie e alle avversità ambientali, per garantire un profilo nutrizionale più adeguato, caratteristiche più gradite ai consumatori, senza che siano perse le peculiarità che sono qualificanti della produzione agricola italiana, come tipicità e funzionalità alle produzioni alimentari di eccellenza. La ricerca italiana, principalmente pubblica, ha le capacità di sviluppare questa prospettiva e già anni fa il Ministero dell’Agricoltura ha lanciato un piano di ricerca per le biotecnologie sostenibili, che rilanciato e potenziato nell’ambito del PNRR potrebbe portare a grandi risultati. A questo si deve unire un impegno per garantire un quadro normativo che favorisca la ricerca, in particolare quella indispensabile in campo aperto. E ancora le moderne biotecnologie offrono molto anche come mezzi biologici per la difesa delle malattie delle colture e per migliorare la nutrizione delle piante e anche in questi settori è necessario rafforzare i programmi di ricerca. Le applicazioni industriali offrono poi straordinari strumenti per ottimizzare la trasformazione delle biomasse in bioprodotti ecosostenibili e in biocarburanti di terza generazione o per migliorare la resa e la sostenibilità ambientale dei processi produttivi tradizionali.
Lei cosa si aspetta da questo nuovo progetto?
Di poter proseguire, anche con questo nuovo Governo, in un percorso di dialogo e confronto fattivo e costruttivo che possa dare risposte di crescita e sviluppo al nostro Paese. Siamo convinti che le tecnologie che le nostre imprese rappresentano, per caratteristiche e trasversalità di applicazione, sono una delle chiavi di volta su cui puntare per dare rapide e reali risposte alle urgenze che non solo il nostro Paese ma tutto il mondo si trova e dovrà in futuro affrontare. Stime dell’OCSE ci dicono che entro il 2030 la popolazione mondiale crescerà del 28%, dai 6,5 miliardi del 2005 a 8,3 miliardi, e il reddito medio annuo globale pro-capite subirà un incremento del 57%, dai 5900 dollari del 2005 a 8600 dollari. Una popolazione mondiale più numerosa e ricca farà, quindi, crescere la domanda globale di servizi sanitari in grado di aumentare la qualità e la durata della vita, al pari della domanda di risorse naturali essenziali, come cibo, mangimi per animali, fibre per abbigliamento e arredamento, acqua pulita ed energia. Le biotecnologie offrono le soluzioni tecnologiche per affrontare in modo efficace queste sfide, rappresentando già oggi lo strumento per il raggiungimento di traguardi totalmente inimmaginabili fino a qualche anno fa in diversi settori: dalle Scienze della Vita alla sicurezza alimentare, dall’agricoltura all’industria, fino in generale alla Bioeconomia e tutto questo nel pieno rispetto del nostro pianeta. Non è straordinario?!